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Sarà almeno mezz'ora che fisso la scatola di latta dove Adam tiene l'erba.

Da qualche giorno ho sempre voglia di fumare. Ho smesso da più di un anno, ma che importa. Lui di certo non se la prenderebbe se gliene rubassi un po'. Siamo tutti e tre piuttosto liberali, noi coinquilini: ognuno può fare quello che vuole, portare a casa chi gli pare, a patto che si rispettino gli spazi vitali degli altri due.

Sul balcone nel caldo di agosto, con un libro in una mano e il cellulare nell'altra, non faccio caso a nessuno dei due. L'occhio e la mente cadono sempre alla scatola buttata in un qualche modo sul tavolino di legno.

È quasi il tramonto e si schiatta di caldo. Anche questa notte non dormirò, me ne starò lì, con il ventilatore sparato in faccia e le lenzuola incollate dal sudore a proiettare sul soffitto ruvido il solito film di tutte quelle ansie sul futuro che si presentano puntuali solo dopo una certa ora.

Fisso il cielo rosa contro cui risaltano, in ordine: l'orologio di Gran Vía che di notte si illumina di blu, quel palazzo verde orribile della Plaza Colón, l'antenna della televisione e, nell'ultimo angolino a destra del mio campo visivo, le quattro torri di Chamartín che riflettono la luce del sole che cala all'estremità opposta del cielo. La vista da quest'appartamento è forse l'unico privilegio che abbiamo.

Alla fine decido di aprire la scatola, ma qualcosa mi trattiene anche questa volta. Nemmeno a farlo apposta, mi vibra il telefono.

Le notifica mi informa che ho un nuovo messaggio su Facebook. Sul serio c'era ancora gente che manda i messaggi su Facebook?

Lo apro senza farci troppo caso, sarà uno dei soliti gruppi di spam. E invece... No, impossibile.

Leggo di nuovo per essere sicura che non sia un'allucinazione del caldo: Elisa. Sì, è proprio lei.

«Ciao, come stai?».

Rivolgo una smorfia di fastidio al telefono come se fosse colpa di questa scatolina di componenti elettronici questo suo interesse improvviso per me.

Non rispondo. Anzi, butto il cellulare sul tavolino, scazzata. Ma dopo pochi secondi vibra di nuovo. C'era da aspettarselo, una non ti scrive dopo anni solo per sapere come stai.

Guardo il display accendersi per la notifica e poi spegnersi piano, mentre mi convinco che no, non me ne frega niente, qualunque cosa abbia da dirmi.

Me lo ripeto come un mantra, mi ci aggrappo, cerco di convincermi: non me ne frega niente.

Entro in casa, vado in cucina, apro il frigo e mi stappo una birra. Tengo lo sportello aperto più del dovuto, cerco un po' di sollievo. Sto sudando e non solo per il caldo.

Poi mi dico che è inutile rimandare l'inevitabile, tanto prima o poi lo leggerò quel messaggio. Tanto vale togliersi ogni dubbio. Mi sprono, mi dico di non fare la cagasotto, non mi si addice.

Così torno sul balcone, mi risiedo sulla sdraio con la bottiglia ghiacciata in mano, sblocco il telefono.

«Senti... Ti devo dire una cosa... Si tratta di Julia».

Certo. Di chi, se no?

«Sua nonna è in ospedale... È grave».

Rileggo il messaggio due, tre volte. Voglio capire bene il senso, escludere ogni possibilità di malinterpretazione... Ma cosa c'è da malinterpretare? È più chiaro del sole alla mia sinistra.

Ovvio che si tratti di qualcosa di grave, qualcosa che, secondo il criterio di Elisa, è mio diritto sapere, altrimenti non mi avrebbe mai scritto.

Quattro anni. E Facebook è l'unico contatto che ha sempre avuto con me. In fondo, non siamo mai stato amiche.

Ovvio che si tratta di Julia.

Mi scolo a una velocità impressionante, mi rigiro la bottiglia vuota ancora fresca tra le mani. La vorrei lanciare oltre il parapetto, urlare. Cosa vuole ora questa da me? Che cosa si aspetta dopo una messaggio del genere? E perché non è Julia a scrivermi?

Domande inutili di cui so già le risposte, in uno di quei rari momenti di cui riconosci l'importanza già mentre li vivi e che richiedono una presa di posizione, una decisione rapida.

Invece io non riesco a pensare, sono bloccata. Fisso il cielo farsi sempre più scuro con la mente svuotata.

L'unico pensiero che mi si presenta nella testa è che, una volta tanto, sono contenta di non essermi fatta una canna: avrebbe reso tutto più difficile.

Devo risponderle e non so cosa dire. Potrei usare il mio solito sarcasmo, uscirne come una signora, una a cui, ormai, non interessa più. In fondo, chi si crede di essere? Chi è lei per sganciarmi addosso una bomba del genere? In un modo così freddo, poi. Come se non fossi nessuno, come se non contassi più un cazzo...

Ma invece non è colpa sua. Se non mi avesse avvertito lei, nessuno l'avrebbe fatto. Lo sapeva lei quando ha deciso di scrivermi e lo so io.

In fondo, per quanto io mi incazzi, per Julia non sono più nessuno.

Poi il cervello si sblocca, i pensieri ricominciano a fluire. Valuto la situazione, vaglio tutte le opzioni razionali sul da farsi. Come se non sapessi cosa farò, come se non l'avessi sempre saputo.

Come se non ci fosse un'opzione che batte di gran lunga le altre, nonostante sia la meno razionale di tutte.

AsfaltoWhere stories live. Discover now