Capitolo 13 - Incidente

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30 aprile 1780

Buckingham House

Mi trovavo nelle scuderie reali in attesa che il cavallo venisse sellato. Dovevo recarmi dalla levatrice personale della sovrana che risiedeva in una casetta poco lontana dal castello poiché Sua Maestà non voleva che quella donna al suo fianco.

Accarezzai il muso del cavallo alla mia destra che, nitrendo, mi soffiò via il cappello da cavallerizza. Lo raccolsi ridendo e mi accinsi ad allacciarlo più stretto quando mi sentii afferrare per il braccio e gettare dentro uno scomparto vuoto.

«Perdonate lady Amelie ma era l'unico modo per avvicinarvi senza destare sospetti».

La rossa era di fronte a me. «Miss Florence».

«Ho delle novità riguardo il nostro... fine comune».

«Gli avete parlato dunque?»

Lei annuì. «Parlerà con suo padre entro questa settimana. E sono fiduciosa» disse, accarezzandosi il ventre che sembrava già più prominente.

La sensazione di scorrettezza e di dubbio tornò a farsi sentire. Seppur lei fosse convinta di questo lieto fine la mia coscienza lo teneva a freno.

«Lo pensante davvero? Dopo tutto lui è...» ma non riuscii a finire la frase perché si udirono chiaramente dei passi in avvicinamento e Florence si dileguò.

«Lady Amelie, il vostro cavallo» disse l'inserviente, consegnandomi il destriero.

«Vi ringrazio».

Troppo presa da Florence e dalla quella sensazione negativa, non riuscii a sentire il brivido di eccitazione che provavo ad ogni cavalcata finché l'adrenalina non vinse e, stringendo i fianchi all'animale, tornai a sorridere."Forse non tutto è perduto" pensai, scioccamente.

Notai che ero giunta a pochi chilometri dal villaggio così mi chinai sulla schiena del destriero che aumentò maggiormente l'andatura.

Fu in quel momento che vidi un'ombra accanto a me. Sussultai dallo spavento e persi l'equilibrio cadendo sul selciato. L'ombra nel frattempo afferrò le redini del mio cavallo, fermando la sua corsa, e poi tornò verso di me.

Cercai di scappare ma, non appena mi alzai, gemetti dal dolore. Vidi due paia di stivali davanti a me e il respiro si fermò in gola.

«Amelie! Vi siete fatta male?»

«Thomas?» sospirai, sentendomi al sicuro.

Lui rise. «Vi posso aiutare?».

In un baleno mi afferrò in vita e mi issò di peso; cercavo di non appoggiare il piede e quindi dovetti sostenermi totalmente a lui.

«Riuscite ad appoggiare il piede?»

«No, milord. Credo di aver combinato un grosso guaio questa volta».

«Potrebbe essere rotta. Dovremmo consultare un medico» affermò, accompagnandomi al mio cavallo. «Cosa fate tutta sola?» mi chiese, issandomi in sella.

«Voi piuttosto? Non solo mi avete seguita ma anche spaventata»

«Vi chiedo umilmente scusa. Di nuovo» sospirò.

Le sue mani erano sui miei fianchi e i suoi occhi mi scrutavano intensamente; sembrava sinceramente dispiaciuto e ne aveva ben motivo. Non sarei stata in questa situazione se mi avesse semplicemente affiancato.

«Non vi stavo seguendo, in verità. Stavo cavalcando per il parco quando vi ho visto correre come un fulmine. Dio, donna. Sembrate in fuga e...» rispose accigliato per poi abbassare la voce. «Temevo per voi»

Intrigo a CorteWhere stories live. Discover now