Assassin's Creed~Jacob Frye~ ONE SHOT

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Victoria ricordava come tutto fosse iniziato.

Quella mattina, cercò di rendere il più presentabile possibile la sua piccola abitazione, raccattando tutti i vestiti che aveva lasciato sparsi sul pavimento e lavando le stoviglie che aveva usato la sera prima per cenare con quel poco che aveva. Aveva anche tentato di riparare le assi del tetto, ma aveva dovuto rinunciare quando aveva sentito scricchiolare il legno sotto il suo peso. L'ultima cosa che desiderava era precipitare a terra e farsi trovare in quel modo dal suo migliore amico.
Ancora non riusciva a capacitarsi di come Henry avesse finalmente deciso di arrendersi ai propri sentimenti, dichiarandosi a cuore aperto a Evie Frye, la quale aveva risposto con la stessa passione. Il matrimonio, la fuga d'amore per concedersi un po' di tempo per loro avevano fatto sorridere Victoria, che mai e poi avrebbe pensato di poter assistere a quel giorno.
Ed ora, dopo ben due mesi da quel giorno, avrebbe rivisto il giovane indiano, pronta a sentirlo blaterare per ore su quanto Evie fosse stupenda e soprattutto sua moglie. Poteva perfettamente immaginare l'espressione che avrebbe avuto in volto sussurrando quelle parole.
Victoria era felice, veramente felice per il suo amico, anche se una parte di sé si chiedeva come avrebbe fatto d'ora in poi. Lei e Henry erano amici fin dalla più tenera età, avevano costruito un rapporto fraterno, aiutandosi nei momenti difficili e ridendo dietro ad un boccale di birra in quelli felici. Henry si era preso cura di lei quando suo padre era venuto a mancare, cercando di tenere insieme i pezzi della sua vita ed impedendole di lasciarsi trascinare nella depressione. L'aveva sempre protetta, ripetendole che è quello che doveva fare essendo più grande di lei, anche se Victoria gli ricordava che erano solo un paio di anni e lei non era più una bambina da fin troppo tempo.
Inoltre, da quando suo padre era morto, la sua vita aveva preso una piega decisamente diversa da quel che si era sempre immaginata: aveva lasciato il lavoro da commerciante per intraprendere quello da Rooks sotto il comando dei fratelli Frye. Ad appoggiarla aveva sempre avuto Henry, che l'aveva aiutata i primi tempi, finché non era stata in grado di farcela con le sue sole forze.
Inutile dire che fra un incarico e l'altro, Victoria aveva dovuto sorbirsi lo sproloquiare innamorato di Henry sulla sua Evie.
Se solo ripensava a ciò le scorreva un brivido lungo la schiena: era passato più di un anno da quando i gemelli Frye erano giunti a Londra, cambiando la sua vita e quella di tante altre persone. Da assassini temuti e osservati da lontano, erano diventati rispettati e stimati dall'intera Inghilterra, soprattutto dopo che erano riusciti a liberare la città da alcuni dei templari più temuti e a riportare la pace tra i cittadini, per non parlare del fatto che la Regina Vittoria li avesse nominati cavalieri per quelle loro gesta così eroiche.
«Buongiorno Victoria!».
Henry entrò in casa senza bussare come era solito fare e Victoria gli corse incontro, lasciando che l'amico l'avvolgesse in un abbraccio talmente stretto che sentì l'aria mancarle nei polmoni, ma andava bene così. Gli era mancato così tanto. Henry era tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia e non avrebbe mai potuto fare a meno di lui.
«Henry! Mi sei mancato così tanto!» rispose la giovane, ricambiando la stretta sull'amico.
Si scostarono dopo qualche secondo, pronti a prendere posto sul tappeto scuro di fronte al camino spento per poter chiacchierare tranquillamente. Era una cosa che erano soliti fare a fine giornata, quando entrambi stremati si prendevano qualche minuto per essere semplicemente due giovani con nessun pensiero per la testa.
«Allora, com'è andato il vostro viaggio in India?» chiese curiosa, volendo sapere dove fossero andati e cosa avessero visitato in quelle settimane.
Le ore in compagnia di Henry passavano sempre troppo veloci e l'amico non stette nemmeno un secondo in silenzio, raccontandogli ogni più singolo dettaglio – anche quelli che Victoria non avrebbe voluto sentire. Alla fin fine le interessava solo sapere che il suo migliore amico fosse felice e dalle sue parole poté appurarlo: inoltre, il modo in cui il suo volto si illuminava quando parlava di Evie, fece intuire a Victoria quanto fosse innamorato della sua sposa.
Verso sera il ragazzo la salutò con l'ennesimo abbraccio, promettendole che si sarebbero rivisti presto.
Victoria una volta rimasta sola decise di uscire per una delle sue solite passeggiate serali, aveva scoperto che camminare sui tetti di una Londra illuminata dal tramonto le donava un senso di calma e pace come niente era in grado di fare.
La sua vita non era di certo una di quelle più facili, ma la rendeva felice. Non navigava nell'oro e durante il periodo invernale era veramente una tragedia, ma non avrebbe cambiato nulla. Aveva lottato per arrivare dov'era e ne andava orgogliosa.
Stava giusto pensando di tornarsene a casa, magari mettendo sotto i denti una mela prima di andare a letto, quando delle urla attirarono la sua attenzione.
La prima cosa che notò fu un gran fumo provenire a qualche via di distanza da dove si trovava: era di un grigio scuro e saliva sempre più in alto, rovinando lo spettacolo che era il cielo quella sera. Sentì un brivido percorrerle la schiena, quando capì che un'abitazione stesse andando a fuoco.
Masticò un'imprecazione e si mise a correre in quella direzione, saltando da un tetto all'altro e sfrecciando velocemente, ignorando le proteste dei muscoli delle sue gambe: sapeva che in quella direzione ci fosse una vecchia fabbrica di Starrick ancora in attività nonostante la sua morte.
Arrivata al luogo dell'incendio non riuscì a non rimanere senza parole: quell'incendio era enorme, le fiamme avevano raggiunto velocemente il tetto dello stabile e poteva anche solo immaginare quanto l'aria fosse irrespirabile all'interno.
Un gruppo di persone si era radunata all'esterno, urlando frasi incomprensibili. La sua mente stava cercando di capire come agire, se all'interno ci fossero delle persone e se fossero ancora vive. Come aveva fatto a non accorgersi di quel focolare?
«Avete chiamato i soccorsi!? Ci sono dentro dei bambini!» urlò una donna, il volto sporco di fuliggine e le mani arrossate per il calore.
A quelle parole Victoria non esitò un solo secondo a gettarsi tra le fiamme, cercando fra le stanze colme di fumo quelle povere creature che erano rimaste intrappolate all'interno. Tra sé si chiese chi potesse aver provocato quell'incendio, senza tener conto della vita di quei bambini.
Svoltò nell'ennesima stanza, tenendo una mano di fronte al volto e cercando di non prendere respiri troppo profondi, per conservare più possibile il poco ossigeno che aveva e si accorse di non essere sola. Un uomo stava prendendo fra le braccia un bambino riverso a terra, pronto per portarlo via da quell'inferno. Rincuorata di non essere da sola, si voltò al suono del lamento di una bambina, che la guardava attraverso il fumo con due occhi azzurri arrossati e pieni di lacrime. L'afferrò tra le braccia e si avviò verso l'uscita, lasciando che la bambina le stringesse le braccia intorno al collo con tutte le sue forze. Lasciò la bambina ad uno dei paramedici giunti sul luogo e, dopo aver preso un profondo respiro, tornò all'interno puntando direttamente al piano superiore. Non voleva lasciare quel posto finché non fosse stata sicura di aver messo in salvo chiunque vi fosse all'interno.
Purtroppo, le fiamme e il fumo le impedivano di muoversi come voleva e i polmoni iniziavano a bruciare, lamentandosi della scarsità di ossigeno. Cercò di scorgere qualsiasi rumore le suggerisse che ci fosse ancora qualcuno all'interno, ma dopo aver constatato di essere sola cercò di tornare fuori dalla struttura in fiamme. Mentre percorreva i pochi metri che la dividevano verso l'uscita si scontrò con l'uomo che era dentro quell'inferno con lei.
A causa del fumo non riuscì ad osservarlo bene in volto, ma si premurò di parlare, anche se i suoi polmoni bruciarono per lo sforzo.
«Non c'è più nessuno.» sussurrò e lui annuì, afferrandola per un polso e trascinandola verso l'esterno evitando i detriti e le fiamme più alte.
«A parte voi.» rispose l'uomo, facendola arrossire senza nessun motivo particolare. Avrebbe voluto rispondergli, spiegargli che non era la prima volta che affrontava qualcosa del genere, ma non era sicura di aver abbastanza fiato per farlo.
Una volta all'esterno ed a distanza di sicurezza, rimasero a fissare l'edificio venir divorato dalle fiamme mentre riprendevano fiato. Il primo a parlare fu l'uomo, che non le aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo.
«La ringrazio per il suo aiuto. Mi chiamo Jacob Frye, anche se credo che questo lei lo sappia già.»
Victoria rimase senza parole e dovette trattenersi dal mettersi a ridere di se stessa: aveva appena aiutato l'assassino più famoso di Londra e lei non se n'era resa conto! Henry la rimproverava sempre di farsi trascinare dalle situazioni e di focalizzarsi sempre troppo su un solo obiettivo, non tenendo conto di ciò che la circondasse. Decise di non far notare a Jacob quanto fosse sbadata e si limitò ad annuire leggermente.
«Non mi deve ringraziare, lo avrei fatto in ogni caso.» mormorò la giovane, prima di mordersi la lingua per la sua sfacciataggine. «Mi chiamo Victoria, comunque.»
L'uomo la guardò qualche secondo facendola sentire in imbarazzo sotto il suo sguardo così intenso: sembrava che riuscisse a vedere la sua anima e questo la destabilizzava. Victoria non poteva negare di essere affascinata da Jacob Frye e di trovarsi tremendamente in disaccordo con Henry, che lo aveva sempre descritto come un ragazzino arrogante e impulsivo. Ai suoi occhi sembrava tutto tranne che quello.
«In ogni caso ti ringrazio, Victoria. Ora è meglio che torni a casa a riposare, qui ci penso io.»
La ragazza si ritrovò ad annuire, mentre la sua mente le riproponeva il suono del suo nome pronunciato dalla voce di Jacob. Nessuno l'aveva mai chiamata in quel modo, con quel tono pieno di riconoscimento e ammirazione, e il suo cuore non poté che stringersi in una morsa prima di iniziare a battere talmente veloce da farle credere che anche Jacob potesse sentirlo.
Si avviò verso casa cercando di non voltarsi per guardarlo, ma con scarso successo. Dopo essersi arrampicata sul tetto dell'abitazione più vicina, si era voltata per guardare un'ultima volta Jacob Frye e quello che vide le fece scaldare il cuore. L'uomo era chinato di fronte ad un ragazzino dai capelli coperti di cenere e gli occhi colmi di lacrime e stava cercando di consolarlo, rassicurandolo che era al sicuro e sarebbe andato tutto bene.
Victoria sorrise e si appuntò mentalmente di dare un pugno a Henry: Jacob era tutto tranne che arrogante o pieno di sé e quella ne era la prova lampante.

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