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Hanno poco in comune, Lisa e James.

Lei si fa desiderare, con tutte le frasi lasciate a metà da puntini di sospensione, lui invece è un libro aperto già letto un centinaio di volte, con tutto quel che scrive che a volte è di troppo. Lei è più piccola e ancor più riservata, si chiude come un bocciolo al principio di ogni domanda che solletica la sua persona, mentre lui che già lavora ha così tanto da raccontare di sé, l'esasperazione in ogni dettaglio, l'esagerazione in ogni espressione.

Lisa però sa sempre come rispondere dove James talvolta tentenna, Lisa è ferma e sicura dove James si lascerebbe andare alle incertezze.

E Marco, Marco è un girasole che tende i suoi petali stremati verso entrambi, conciliando le divergenze del quadro che è la relazione che stanno dipingendo in un luogo fuori dal mondo, lontano dal tempo e dallo spazio, lontano dalla realtà e dalla vita che tutti e tre conducono.

Giorno dopo giorno, la piattaforma digitale su cui si contattano diventa la quarta dimensione, un posto dove il mondo è lasciato fuori e dentro ci sono solo loro, loro e la connessione che si fa sempre più intensa, intrinseca nel loro essere.

È qualcosa che va oltre la comprensione di tutte quelle persone che si affannano per cercarsi, pensa Marco. È qualcosa che prescinde i classici canoni del rapporto tra esseri umani.

Lisa e James lo hanno trovato in un luogo che non esiste ed esiste al contempo, che non è nulla ed è tutto nello stesso momento. Ciò che hanno è incomprensibile agli occhi degli altri, ma loro proseguono e stendono pennellate lungo la tela di quel quadro, giorno dopo giorno, come se tutto il resto non avesse importanza.

C'era stato un tempo in cui Marco si era affannato per un gesto, un saluto, un minuscolo cenno, una parola, una frase di circostanza, una conversazione inutile.

Marco non aveva nessuno e in preda alla disperazione cercava qualcuno, convinto che chiunque sarebbe bastato a colmare quel vuoto che cresceva a dismisura, che si apriva come un buco nero. Era un fossato che lo isolava all'interno di una fortezza fatta di mattoni e solitudine, e coloro che stavano fuori potevano solo guardare come affondava, lento, nell'abisso.

Nessuno poteva pensare di entrare, nel buio non vedeva le mani protese verso di lui. Marco era cieco al centro del fondo e il mondo era ormai una proiezione lontana, troppo lontana per poterla sfiorare con i polpastrelli delle dita.

Poi, un giorno, la luce. Avrebbe potuto trattarsi di un'allucinazione, un miraggio, un'illusione. Era una lucciola da qualche parte immersa nel buio e Marco, intorpidito, aveva strizzato le palpebre più e più volte, restio a crederle.

Quando all'improvviso qualcosa tenta di tirarti su non sempre sei disposto a collaborare, pensava Marco, gli occhi divenuti neri come il buio al quale si era abituato.

Quella luce era una mano grassoccia che si agitava ogni giorno nella sua direzione, era un viso paffuto che gli mostrava un paio di fossette sorridendogli dall'altro lato della strada, era una corsetta un po' squilibrata, sbilenca e rumorosa che lo seguiva e lo affiancava poco prima di andare a scuola, era un insieme di goffi gesti e improbabili parole che cercavano la sua attenzione e che si ripetevano incessantemente sotto il suo sguardo scuro e assente.

In un paio di settimane, la lucciola ebbe un nome e una nuova ragione di esistere. Si chiamava Cameron. Voleva solo essergli amico, eppure Marco non faceva che respingerlo, mandarlo via, allontanarlo da sé. Chissà se da imputare furono quelle manine grassocce, oppure quella corsetta sgraziata che terminava nelle risate delle cornacchie che gracchiavano a pochi passi da loro.

crows and a corn field Where stories live. Discover now