A.I. Algoritmi Indissolubili

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Anno 2020

Ero in contemplazione del mio dipinto preferito, "La zattera della Medusa", che rappresentava con toni drammatici i superstiti del naufragio della fregata Méduse. Tra le opere esposte al Louvre, che amavo ammirare ad ogni mio soggiorno a Parigi, quell'enorme quadro aveva il potere di incantarmi. I colori cupi, la luce crepuscolare, la composizione, le figure possenti mi stregavano a tal punto che, immancabilmente, mi ritrovavo sul divanetto posto di fronte a fissare quei naufraghi disperati, chiedendomi cosa avrei fatto al loro posto.

I colleghi non capivano la mia passione per l'arte, sono un informatico e la mia vita dovrebbe essere dedicata a numeri e algoritmi, invece nel tempo libero bazzicavo per musei.

Così, dopo aver partecipato ad un convegno, avevo declinato ogni invito ed ero ritornato lì: avevo molto tempo a disposizione prima del volo per rientrare in Italia.
Dopo un lungo giro, in cui mi ero soffermato su capolavori meno noti, ero giunto alla mia sala prediletta e, a differenza delle volte precedenti, mi ero avvicinato al quadro per osservare meglio quei volti sofferenti, in particolare l'uomo anziano che teneva tra le braccia il figlio morto.

«Una grande capacità tecnica, la composizione si regge su due triangoli compositivi» Una voce di donna dal tono basso e gradevole si levò alle mie spalle, parlando in un perfetto francese.  «Un padre non dovrebbe mai sopravvivere al proprio figlio» risposi nella stessa lingua, continuando a guardare il dipinto.

«Mi scusi, non volevo interferire nelle sue riflessioni» continuò la donna.

Mi volsi verso di lei. Era alta quasi quanto me, un caschetto di capelli color cognac, probabilmente poco oltre la quarantina, quindi mia coetanea. I pantaloni e il giubbotto, entrambi di pelle nera, la rendevano un tantino aggressiva, ma aveva un sorriso aperto e gentile.

Fissò gli occhi scuri nei miei e proseguì «Mi piace molto quest'opera e ho notato l'attenzione con cui la osservava, ecco perché le ho parlato, non era mia intenzione disturbarla».

«Non mi disturba, anzi, apprezzo molto. La prego, continui», le indicai il divanetto di fronte al quadro e ci sedemmo.

Per un attimo il suo sguardo si perse in lontananza, poi iniziò a raccontarmi un'infinità di dettagli su quel capolavoro, al punto che le chiesi se fosse una esperta d'arte. Lei mi rispose che era un'analista finanziaria ed era a Parigi per lavoro.

«Lei è italiano, ne sono certa. Io abito da anni a Milano. L'ho capito dal suo abbigliamento.» proseguì con mio stupore.

Concludemmo insieme la visita al museo e, senza nemmeno rendermene conto, la invitai per un aperitivo in un bistrot lì vicino. Davanti a una flûte di Kyr, che lei sorseggiò appena, le raccontai che anch'io lavoravo a Milano e abitavo in un casale nei pressi del Naviglio. Con garbo mi portò a rivelare parecchie cose su di me, mentre mi disse poco di lei, solo il suo nome insolito, Alia, e che aveva vissuto molto tempo lontano dalla patria.

A malincuore dovetti lasciarla: il mio aereo partiva nel tardo pomeriggio, perciò ci salutammo con la promessa di risentirci a Milano quando fosse tornata.

*****

Tre giorni dopo Alia mi chiamò proponendomi una serata al Teatro alla Scala per "Madama Butterfly". Le confessai che non ero amante dell'opera: consideravo sfibrante seguire una storia raccontata attraverso incomprensibili gorgheggi, ma lei, decisa, ribatté che bisogna sempre conoscere per poter giudicare. Non mi restò altra scelta che accettare e, ammetto, lo feci con piacere.

Ci incontrammo nel foyer e mi guidò in un palco riservato, spiegandomi che il suo capo le doveva un favore. Aggiunse che non dovevo preoccuparmi. Fissò lo sguardo verso un punto indefinito, un'abitudine che mi sarebbe diventata familiare, poi mi spiegò cosa dovevo aspettarmi e, nel corso della rappresentazione, mi guidò in quel mondo a me sconosciuto.

ALGORITMI INDISSOLUBILIWhere stories live. Discover now