𝙿𝚛𝚘𝚕𝚘𝚐𝚘.

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Erano gli ultimi minuti nella mia stanza. Lasciare quella casa dopo dieci anni era straziante. Sembrava essere passato poco tempo, da quando zia Amber, la sorella di mia madre, mi portò a vivere con lei, zio William e mia cugina Jessie, che all'epoca aveva cinque anni. Perché? Avevo perso mia madre Rosie all'età di sei anni, un incidente stradale pose fine alla sua vita, lasciandomi con mio padre John. Purtroppo l'amore che aveva per me, non era abbastanza per rimanere al mio fianco -dopo la perdita di mia madre, di sua moglie- e quindi proteggermi da tutto e tutti, come farebbe un padre.

Incontrò una donna, solo qualche mese dopo la morte di mia madre. Quella donna riuscì a far cambiare John, trattando male me che avevo sei anni, usando la sua adorata figlia come arma contro di me, cosi da non sporcarsi le mani. Ero il loro giocattolo e si divertivano prendendomi in giro, facendomi i dispetti, prendendosi mio padre, dunque: rovinandomi la vita per sempre. Due anni dopo, John se ne andò a New York con lei, preferendo degli estranei a sua figlia, il suo stesso sangue, quella bambina che chiamava polipetto. Avevo quel soprannome perché ero sempre incollata alla sua gamba. Il mio primo amore.

Così mia zia, vedendo il comportamento di mio padre, prese la mia custodia, diventando legalmente mia madre e zio William, mio padre, che non avrei mai smesso di ringraziarlo per quello che aveva fatto e che avrebbe continuato a fare per me, rivestendo il ruolo di un vero padre. Mi diedero una sorella, un'amica, un rifugio con la quale parlare di tutto: la mia Jessie.

Da piccola, mi chiedevo perché io non avessi una famiglia come la loro, unita, felice, che si amava. Durante i primi anni, tutte le notti piangevo sempre, addormentandomi stremata per via dei singhiozzi e il cuscino bagnato per le lacrime. Ma crescendo capii, che piangere per qualcuno che non mi aveva voluto bene, era uno spreco di tempo.

La famiglia Miller, mi aveva cresciuta come una figlia, mi avevano sostenuta in tutto: nella scuola, nello sport, in qualunque cosa mi interessasse, anche per la scelta del College. Cosa che mio padre non aveva fatto in dieci anni e non era d'accordo sulla scelta che avevo fatto. Ovviamente per lui il Boston College non era all'altezza dei Walker, cosa che Yale faceva perfettamente. La sua alma mater. Sentivo la sua voce e vedevo il suo viso che veniva segnato dall'età, solo tre-quattro volte l'anno. Non potevo far altro che lasciami tutto alla spalle e andare avanti, perché avevo già una famiglia. I vecchi saggi dicevano, "che il tempo guarisce le ferite", ma con un cuore come il mio, avevo l'impressione che non funzionasse.

«Maddie tesoro!» la voce di zia al piano di sotto mi portò alla realtà, cancellando quei pensieri.

«Sì, sono pronta!» urlai per farmi sentire. «Arrivo» sfiatai in fine. Prendendo la valigia e il borsone in spalla, mi fermai davanti la porta. Un sorriso malinconico mi si dipinse in viso e guardando per l'ultima volta la mia stanza, con le mura color crema piene di poster vecchi e foto, chiusi la porta e mi avviai al piano di inferiore. Ma un uragano dagli occhi azzurri mi investii, il suo nome: Jessie.

«Aspetta ti aiuto» disse triste senza guardami in faccia.

«Jes?» la richiamai, cercando il suo sguardo.

«Mh?» continuò a camminare, arrivando alle scale.

«Non fare così, ti prego...» dissi sottovoce, «mi fa star male vederti così» la segui giù per le scale senza avere una risposta. Arrivò alla fine dell'ultima rampa davanti l'ingresso di casa e dopo aver posato il borsone a terra, mi trovai abbracciata a lei.

«Mi mancherai» disse singhiozzando.

«Anche tu sorellina.»

Sì sorella, eravamo cresciute come tale e sarebbe stata per sempre mia sorella. Cercai a stento di trattenere le lacrime, ma non ci riuscì. Dopo dieci anni, quella fu la prima volta in cui dovevamo separarci. «Non sai quanto» respirai così a fondo, che sentii l'odore di pollo arrosto che zia aveva preparato. Lentamente mi trovai faccia a faccia con lei e i suoi pollici mi asciugarono le lacrime.

«Andiamo a pranzare dai.» Mi prese per mano e mi trascinò in cucina, dove zia Amber, come avevo intuito, aveva preparato un pranzo con i fiocchi prima della mia partenza.

«Eccoti!» esclamò mio zio, mentre portava a tavola il pollo. Lui era un tipo molto sportivo, stava attento all'alimentazione e di conseguenza io e Jessie, fummo trasportate in quel meraviglioso mondo che tanto amava. Grazie a lui, avevo la passione per lo sport, ore e ore di tifo sul divano di casa con Jessie e lui guardando qualsiasi tipo di sport, ma principalmente football. Tutto questo, quando William non era dietro una scrivania ed essere l'amministratore delegato di un'azienda di pubbliche relazioni. Zio da giovane, faceva parte dei fantastici Eagles del Boston College e i suoi racconti mi erano sempre piaciuti, perciò non vedevo l'ora di assistere alle loro partite. Per molti gli Eagles erano delle leggende, tanto da essere presi come esempi sul campo e William Miller lo era.

«Sì scusate, stavo ultimando la valigia» dissi lasciando un bacio sulla guancia a zia e uno al mitico papà, per poi andarmi a sedere accanto a Jessie.

«Hai preso tutto?» chiese zia sedendosi a tavola.

«Sì, manco solo io» dissi sorridendo di poco.

«Andrà tutto bene piccolina, qualsiasi cosa e ci precipitiamo da te» rassicurandomi con i suoi occhi verdi.

«D'accordo» dissi ridacchiando e afferrando la brocca piena d'acqua.

Insistettero nell' accompagnarmi a Boston, soprattutto mio zio. Così, alle cinque del pomeriggio eravamo all'Hartsfield-Jackson Atlanta International Airport, diretti a Boston. Ero sempre più vicina a quella che sarebbe stata la mia casa per quattro anni, più vicina al mio futuro e alla mia nuova vita e l'ansia prese il sopravvento quando misi piede sull'aereo.

Amore e...Regole?  (CARTACEO)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora