22. La giostra della morte

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VIVIENNE

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VIVIENNE

Nei miei sogni, nei miei incubi, ha le mani sporche del mio sangue; la camicia in seta imbrattata dalla mia innocenza, mentre freneticamente scava a fondo in quel cumulo di terra e fango. Ed io me ne sto ferma, tremante, sull'orlo del precipizio, con le mani a mezz'aria e il vestito a brandelli; col buio che mi accarezza piano il collo, sussurrandomi il giudizio del diavolo con voce melliflua.

Ma il sangue, che sgorga senza sosta dal mio stomaco, colando lungo il busto, attraversando la vita e colorando le mie cosce, sporca il tessuto bianco che indosso; stoffa così intrisa d'acqua salmastra d'attaccarsi alla cute come fosse un secondo strato di pelle, mentre un'entità, sconosciuta ed immane, aggancia le sue dita abili appena sopra le mie clavicole; rubandomi gli ultimi respiri, mentre le mie pupille si colorano di lacrime salate.

Ed il sangue, il nostro, malato e irascibile, si mischia fino a trasformarsi nell'antitesi della purezza, del candore, della virtù.

«È colpa tua.» Sussurra, alzandosi piano con le ginocchia sporche di terriccio; mentre si trascina dietro l'odore nauseabondo della morte. Ed io scuoto il capo, avvertendo una corona di spine appena sotto al mento, un magone in gola che mi impedisce di parlare, di urlare, di strillare, di ribadire che non sia per nulla colpa mia; un magone che m'impedisce di affermare la mia virtù. «È tutta colpa tua,» e nei suoi occhi si plasma Lucifero, mentre il mondo circostante prende a vorticare fino all'inverosimile ed una schiera di corvi passa poco sopra le nostre teste «sei stata tu a fare tutto questo.»

Ma le parole mi muoiono in gola, mentre i miei singhiozzi si perdono assieme all'ultimo soffio di vento, trascinati nel girone delle voci perse; della purezza illecitamente punita.

«Non l'ho ucciso io.» Avvolgo le braccia attorno al mio petto e lui, di passo in passo, avanza nella mia direzione, impugnando nella mano destra la sua lama affilata, macchiata di scarlatta ingiustizia. «Non avrei mai potuto.» Eppure della mia voce non vi è traccia, perché è come se ne fossi stata privata per sempre, destinata a ripetere il mio assordante silenzio in questo sciame di morte.

E lui, malcontento, avanza, affondando la punta affilata nella mia ferita sanguinante, lasciandomi ricadere all'indietro senza pietà alcuna, in quel mare di vuoto ostile; facendomi precipitare nelle viscere dell'inferno, costretta ad abbandonare quel corpo inerme, cosparso di sangue, che giace a terra col cuore a pezzi, e quei suoi occhi verdi che non vedranno mai più luce, se non l'accecante nuvola di candore liquido del paradiso.

***

In punta di piedi barcollo fino al bordo del vecchio pontile in legno, le cui assi cigolano rumorosamente ad ogni nostro passo — ed è facile ignorare lo strato superficiale di sale posato sulla nostra pelle quando il sole che cala, specchiandosi in acqua, colora il cielo delle sue migliori sfumature. Un senso imprescindibile di libertà si muove nel mio petto, mentre corro verso l'acqua, respirando la brezza estiva a pieni polmoni.

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