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Pov Taylor (so che aspettavate questo momento.)

Quella sera andammo al parco e ci divertiamo molto... anzi, si divertirono. Avevo mille pensieri per la testa, così mi sedetti su una panchina del parco. All'inizio avevamo deciso di andare al ristorante per mangiare, ma Jennifer aveva detto ciò che volevo dire anche io, già da tempo, ma che non ho mai detto, ciòe che quel ristorante era un po' troppo formale e che forse sarebbe stato più divertente andare al parco per chiacchierare fra di noi senza timore di parlare troppo forte e senza avere paura di disturbare le persone con le nostre risate. Le loro risate. Già, perché io ero l'unica che non si diverti quella sera. Me ne stavo sdraiata su quella dannata panchina a fumare e a guardare il cielo scuro senza stelle. Era totalmente buio, quasi da farmi pensare che da un momento all'altro potesse riuscire ad inghiottiti tutti, senza pietà. Pregai che potesse succedere a me, perché volevo sparire, non volevo stare lì con loro ad ascoltare le loro chiacchierare e tantomeno a ridere con loro. Avrei voluto svenire, o forse morire in quello stesso istante, perché se fossi svenuta, probabilmente avrei attirato troppa attenzione, mentre se fossi morta, non me ne sarei nemmeno accorta. Ero sola anche se in compagnia. Sono anche arrivata a pensare di mettermi gli auricolari per ascoltare la musica, in modo da non sentire quegli stupidi schiamazzi, ma ci ripensai, perché probabilmente, per un piccolo capriccio, avrei fatto pensare male di me, non sarebbe stata per niente buona educazione cercare di ignorarli, ma solo una mancanza di rispetto.
'Che noia, la solita perfettina che pensa solo all'educazione e a queste stronzate.'. In realtà non sarebbe stata educazione, perché l'educazione non la adotti per gli altri, solo per far passare te stesso in modo positivo davanti ad altre persone. Sarebbe stato, come ho detto prima, solo rispetto nei loro confronti. Presi il cellulare quando mi accorsi che forse era un po' troppo tardi e che sarebbe stato meglio tornare a casa, ma quando vidi l'ora, capì che era solo una mia idea, perché era solo la mezzanotte passata da qualche minuto. Feci cadere le braccia a peso morto lungo il mio corpo facendo attenzione a non fare troppo chiasso, per poi sospirare e chiudere gli occhi. Mi misi a sedere, presi dal pacchetto di sigarette l'ennesima che Fumai quella sera, per poi sentire la voce di un ragazzo parlarmi scherzosamente.
"Finalmente sveglia. Hai dormito bene?" Rise. Era Sauron. Sulla faccia di Jenny vidi un pizzico di frustrazione nel sentire il suo ragazzo parlare, vidi con la coda dell'occhio, mentre fissavo le mie scarpe, che si strinse più a lui istintivamente. Erano tutti seduti per terra, dato che io avevo fregato all'intero gruppo una delle poche panchine vuote presenti nel parco. Proprio per questo, Jennifer riusciva a stare meglio in braccio al suo ragazzo. Dopo un po' di tempo che sentì gli occhi di tutti di su di me, sforzai qualche parola ad uscire dalla mia bocca.
"Scusate ragazzi, io devo tornare a casa." Avevamo progettato di restare lì per l'intera notte, così a loro parve strano, anche perché mi conoscevano bene e sapevano che spesso rimanevo fuori fino a tardi. "Ma come? Ma i tuoi non ti fanno stare sempre fuori fino a tardissimo? Approfittane te che puoi. Io, lo sai, oggi posso, ma solitamente oltre la mezzanotte non posso stare fuori. E guarda Fillia, è dovuta rimanere a casa perché sua madre non vuole farla uscire dopo che ci ha litigato per questo motivo." Disse Dylan. Non sapeva quanto avrei preferito io rimanere a casa pur avendo i miei genitori che potessero parlarmi. Pur di riavere mia sorella gemella accanto, una persona che io sentivo essermi vicina fisicamente, ma non capivo dove era. Eppure c'era chi mi ha sempre detto che pur di non dover stare più ad ascoltarli, avrebbe fatto di tutto. Come Sauron, che mi aveva sempre detto di non sopportare più il padre e le donne che si portava a casa.
Inventai qualche scusa per riuscire a scappare da lì, per non dover rimanere con loro. Dissi semplicemente che mia madre mi aveva inviato un messaggio che mi diceva di tornare a casa perché l'indomani avremmo avuto da fare. Salutai i ragazzi e, quando fui lontana da loro, cominciai a correre per arrivare al più presto possibile alla mia destinazione. Non volevo tornare a casa, sarei caduta nella tentazione di vedere e salutare per la notte i miei genitori, la quale pensiero non mi avrebbe fatto dormire. Tanto valeva la pena starmene fuori. Volevo andare in quell'albero che da tanto custodiva ogni singola goccia del mio malessere e della mia frustrazione, racchiudeva ogni mio segreto, svelato solo a lui, l'unico che realmente sapeva ascoltare, senza saper lasciare uscire nemmeno una gaccia di tutto ciò che sentivo. Era lui la mia vera casa. Al suo interno si poteva dire qualsiasi cosa ma nessuno avrebbe sentito nulla. Era un vecchio albero che era stato colpito da varie magie durante le battaglie che erano spesso in corso in quel luogo prima che io nascessi. Decisi che il cratere al suo interno sarebbe servito a qualcosa, così, a circa cinque anni lanciai un incantesimo trovato nel libro di magie preferito da mia madre. Rendeva tutto ciò che si decidesse insonorizzato, poi ne lanciai un altro, che faceva rimanere viva una pianta fino al momento in cui la persona che lo aveva lanciato non sarebbe morta. Sapevo, così che dentro quel posto sarei riuscita a dire una qualsiasi cosa. Mi ci infilai all'interno e cominciai ad urlare per la frustrazione, lasciando scendere ogni singola lacrima che trattenevo da tempo. Ero in ginocchio e la parte nuda della mia pelle, dove i miei jeans neri erano strappati, era a contatto con le foglie secche, bagnate e fredde, come quella sera di Gennaio. Le mie mani erano strette attorno alle radici che spuntavano dal terreno, su cui solitamente mi sedevo per mangiare, quasi da diventare bianche, anche se per il freddo, il colore violastro aveva preceduto il bianco latte. Cercavo di resistere, cercavo di non fare come aveva tentato di fare il mio migliore amico, cercavo di riuscire a fingere, a recitare. Perché tanto un giorno, prima o poi tutto sarebbe cambiato. Tutto prima o poi si sarebbe sistemato, anche se nella mia vita non c'era mai stato niente al suo posto. I miei singhiozzi e i miei respiri riempivano quel piccolo spazio dedicato a me. Nonostante spesso nei libri avevo letto la frase 'tutti hanno un posto nel mondo' io non ci credevo, perche, nonostante fossi una principessa, io non servivo a nulla. Ero una nullità. Ero uno schifo. Quel poco che avevo non lo apprezzavo, volendo altro, tutto ciò che la vita non aveva riservato per me ma per qualcunaltro. Una volta calmata, mi misi a sedere dentro all'albero, fino al momento della giornata da me più odiato: l'alba. A quel punto me ne tornai al palazzo, con gli occhi gonfi e il mascara colato sulle guance. Non mi feci aprire da nessuno, perché non volevo mi vedessero in quelle condizioni, così entrai dal retro, dove regolarmente la porta, dalle sei del mattino era aperta, perché cuochi, rifornitori e chiunque altro non facevano altro che avanti e indietro. Mi chiusi in camera mia, mi struccai e mi misi sul letto a leggere il libro appena cominciato. Misi in carica il cellulare una volta ricordatomi di esso e mi feci portare qualcosa da mangiare in camera, anche se fame non ne avevo, sentivo che se non avessi mangiato mi sarei potuta sentire male.

*Ciao a tutti. Questo capitolo non lo aspettavo nemmeno io, non pensavo di scriverlo adesso, ma più tardi in un altro momento, ma ne avevo bisogno, così l'ho scritto oggi. Spero vi sia piaciuto perché ci ho messo tutta me stessa ed anche le mie emozioni, più che con gli altri capitoli. Come ho detto in un'intervista vinta in uno scambio di lettura, io mi rappresento di più in Jennifer per alcuni aspetti, mentre per altri in Taylor. Ricordatevi la parte in cui Taylor dice di non servire a nulla perché tornerà in uno dei sequel.*

SofyFantasy

La Luce Del BuioWhere stories live. Discover now