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Londra 1919

Corsi verso la stazione ferroviaria senza preoccuparmi delle persone che urtai con la valigia. Mia figlia stretta a me era prossima al pianto, ma non rallentai fino all'entrata della stazione. Raggiunto il binario ripresi fiato e constatai con amarezza che il treno per Birmingham era già partito da una decina di minuti, l'avevo perso per pochissimo. Cercai di non lasciarmi andare al panico e mi guardai attorno, ma scoprii che per il prossimo treno avrei dovuto aspettare il giorno dopo.

Non me lo potevo permettere, dovevo raggiungere la mia famiglia il prima possibile.  Trovai la soluzione proprio fuori dalla stazione, un vecchio camion che trasportava delle casse era in partenza per Birmingham. L'autista pretese di essere pagato in anticipo con cinque sterline, dopodiché ci fece salire nel retro e partì.

Viaggiammo per ore senza fermarci e Chloe per fortuna dormì per tutto il tempo, ma verso sera si svegliò affamata. Allattarla con il movimento del mezzo non fu per niente facile, ma alla fine ci riuscii e lei si riaddormentò soddisfatta.

Raggiunsi Birmingham che era già notte. Quando il camion si fermò in un magazzino ringraziai l'autista, presi i pochi bagagli che avevo e mi diressi verso il quartiere di Small Heath con mia figlia ancora addormentata in braccio.

Watery Lane era esattamente come l'avevo lasciata un anno prima, perciò non ci misi molto a trovare la porta giusta e bussai, per poi posare a terra la valigia. Pochi secondi dopo si presentò alla porta una donna sulla quarantina, l'espressione impensierita. «C'è ancora posto per noi?» chiesi allargando l'unico braccio libero. «Oh mio Dio, Lily!» zia Polly mi abbracciò. Quanto mi era mancata quella sensazione di calore famigliare.

Senza perdere altro tempo la matriarca della famiglia Shelby mi fece entrare in casa, aiutandomi con i bagagli. «Ada guarda chi c'è!» mia zia si rivolse alla terza figura presente nella stanza. Mia sorella si girò verso di me e appena mi riconobbe scattò in piedi e corse ad abbracciarmi a sua volta. «Accidenti Lily, è da mesi che non ti fai sentire! Iniziavamo a chiederci che fine avessi fatto.» Ada pronunciò quella frase quasi con leggerezza, tanto per dire, ma mi fece sentire in colpa. Era vero. Non scrivevo a casa da almeno tre mesi, ma gli impegni causati dalla nascita di Chloe mi riempivano interamente le giornate.

«Scusa sorella, lo sai che comunque vi penso sempre, no?» temporeggiai con il discorso anche se immaginai fosse questione di minuti prima che mi venisse chiesto perché ero arrivata a Birmingham da sola e di notte per giunta.

E difatti, nemmeno a farlo apposta zia Polly mi prese la mano e guardandomi negli occhi mi chiese «cos'è successo a Londra?» non le servì fare altre domande, bastava quella per capire tutto.

Esitai. Non volevo rivivere le immagini dell'accaduto, figuriamoci parlarne.

Decisi che avrei parlato solo una volta, così chiesi «Dove sono gli altri? Vorrei che sentissero anche loro.» Polly capì e a voce alta chiamò il nome di mio fratello minore, che poco dopo si presentò nella stanza. Salutai anche lui con un veloce abbraccio, poi Polly parlò ancora. «Finn, corri da Thomas, digli di tornare subito a casa.» Spinse il piccolo verso la porta, poi si girò nuovamente verso di me.

Mi prese mia figlia dalle braccia e la diede a mia sorella, io però non ci feci nemmeno caso. Senza accorgermene iniziai a tremare. «Vieni a sederti, ti preparo un tè finché aspettiamo i tuoi fratelli.» mi prese il gomito spingendomi delicatamente in direzione del soggiorno.

«Chloe...» scostai leggermente il braccio dalla sua presa, non volevo lasciare sola mia figlia.

«A lei ci sta pensando Ada, calmati adesso, sei a casa.» mi riprese il braccio e questa volta non mi lasciò controbattere. Mi accompagnò più vicina al fuoco e mi fece sedere sulla poltrona. Se ne andò, ma tornò poco dopo con una tazza di tè fumante tra le mani.

«Ecco, bevi che ti farà bene. È il tuo preferito, alla frutta» la ringraziai con un cenno della testa e iniziai a sorseggiare la bevanda. Nel frattempo Ada si congedò e uscì dalla stanza per portare a letto Chloe.

Poco dopo sentii la porta di casa aprirsi, subito dopo dei passi pesanti diretti verso di me. Qualcosa scattò in me, mi sembrò di essere tornata a poche ore prima, perciò saltai in piedi, pronta a difendermi. La tazza mi scivolò dalle mani e si infranse al suolo. Polly rimase al mio fianco osservandomi in silenzio, ma quando iniziai a indietreggiare mi prese per le spalle, come per darmi coraggio.

«Lilian.» quella voce l'avrei riconosciuta tra mille. Il timbro profondo e leggermente rauco di mio fratello era inconfondibile. Fu proprio quella a risvegliarmi dallo shock e senza pensarci gli corsi in contro e lo abbracciai.

Per un attimo sembrò non reagire, ma prima che potessi staccarmi, Tommy ricambiò l'abraccio, sospirando. Era dalla sua partenza per la guerra che non lo vedevo.

Sentii qualcuno schiarirsi la voce alle sue spalle e alzai appena la testa dalla sua spalla per guardare verso la porta. «Artie! John!» Tommy mi lasciò andare e io corsi tra le braccia dei miei altri due fratelli che mi accolsero subito calorosamente.

Poco dopo ci sedemmo tutti assieme attorno al caminetto, John e Tommy ai miei lati sul divano mentre Arthur e la zia rimasero in piedi. L'episodio della tazza non sfuggì all'attenzione dei miei fratelli, che non persero tempo a chiedere spiegazioni. Fu Tommy il primo a parlare, non prima di essersi alzato per lasciare il posto a Polly, che nel frattempo raccolse i cocci.

«Allora, come mai non sei a Londra con tuo marito?» John lo interruppe prima che potesse pormi altre domande. «Avete litigato? Ti ha fatto qualcosa? Giuro che se è così...» Non lo lasciai finire e decisi di essere il più diretta possibile. «George è morto.» Il silenzio calò nella stanza. Persino Tommy sbiancò a quell'affermazione e spense subito la sigaretta accesa poco prima.

Polly mi posò una mano sul ginocchio. Probabilmente aveva intuito già prima che doveva essere successo qualcosa di grave per farmi tornare a Birmingham da sola con mia figlia, ma di certo non si aspettava nulla del genere. Nessuno se lo aspettava.

«Cos'è successo?» la freddezza del suo tono mi colpì. Come al solito Thomas Shelby non si perse in giri di parole. 

Guardai mio fratello negli occhi, le parole non mi uscirono di bocca. Non trovai subito il coraggio, ma la mia famiglia meritava di sapere. Presi un respiro profondo e mi alzai per provare ad essere alla stessa altezza di mio fratello, fallendo. Non distolsi comunque lo sguardo dal suo, mi feci forza e una volta raccolto il coraggio necessario, iniziai a raccontare.

«Questa mattina, poco prima delle nove, sono entrati in casa dei poliziotti. Cercavano la Shelby. Me.» abbassai lo sguardo verso il fuoco per riprendermi, lo sguardo di mio fratello così simile a quello di mia figlia mi fece male. Come avrei fatto a crescerla senza il padre?
Ripresi il racconto. «Uno dei due mi trascinò in cucina facendomi sedere, l'altro andò a cercare George. Poi quello rimasto con me iniziò a farmi delle domande. Voleva sapere di un furto.» alle mie parole notai uno scambio di sguardi tra mia zia e Tommy. Ignorai la cosa e continuai con il racconto.

«Ovviamente gli dissi che non ne sapevo nulla, ma evidentemente la mia non era la risposta che desiderava. Dopo un po' perse la pazienza e mi colpì.» indicai con la mano il labbro spaccato. Al che Arthur si avvicinò e mi strinse a se in segno di conforto. «Quando George vide il sangue, perse la pazienza e provò a liberarsi per venire da me.» smisi di parlare stringendo gli occhi, il ricordo dell'accaduto ancora vivido nella mia mente. «Non so bene cosa successe poi. So solo che un attimo prima George stava provando a venire da me e un attimo dopo era steso a terra, immobile.»

A quel punto le gambe non mi ressero più e se non fosse stato per Arthur alle mie spalle sarei crollata a terra. Imprecando, mi prese al volo e con l'aiuto degli altri due fratelli che scattarono verso di noi, mi fece distendere sul divano. Polly rimase ferma vicino al fuoco in attesa di capire come rendersi utile.

Mi coprii il viso con le mani, senza accorgermene iniziai a urlare. «L'hanno ucciso davanti a me. Sua figlia era nella stanza accanto. L'hanno ucciso a suon di botte come un animale.» ormai avevo perso la lucidità e Tommy lo capì prima degli altri, perché ordinò al fratello maggiore di aiutarlo e mi portò al piano di sopra, nella mia vecchia stanza.

Più volte mi parlò, ma non lo sentii. Seppi solo che mi aveva messa a letto grazie alla sensazione delle lenzuola calde su di me. Prima che potesse andarsene però fui abbastanza lucida da stringergli il braccio. Si voltò nuovamente verso di me e io lo pregai di restare. Almeno per una notte non volevo rimanere sola.

Forever a Shelby - Peaky BlindersWhere stories live. Discover now