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Saint-Germain-en-Laye è nuvolosa, cadono leggere goccioline di acqua quando lei scende dall'auto.
Il suo sguardo viene subito attratto dalla scritta a caratteri cubitali che recita: "Il Camp des Loges". Spera davvero di essere nel posto giusto.

Il rumore della ghiaia che scricchiola sotto le sue scarpe la porta via da tutti quei pensieri che affollano la sua mente ormai da un paio di settimane a questa parte.

Spinge leggermente le grandi porte d'entrata, andando poi dritta verso la reception.
Ci vuole qualche minuto per far girare la signora che si trova di fronte, che appena alza lo sguardo su di lei abbozza un sorriso impostato.

<<Salve, come posso aiutarla?>>
<<Vorrei poter parlare con Kylian Mbappè>> Lo dice quasi balbettando, troppo imbarazzata da far diventare color porpora le guance.

<<Mi spiace, ma i fan non possono avere appuntamenti su richiesta con i giocatori>> La donna le risponde quasi divertita, uno sguardo critico verso i jeans e la sua polo a trecce bianca, che stona così tanto col blu che le circonda.

<<Ma io non sono una fan.>> Lo dice cercando di mettere un pò di sicurezza in quella voce che proprio non la vuole aiutare. Si rende però conto subito che non è riuscita nella sua intenzione.
<<Beh signorina, non importa ciò che è o non è, quel che conta è che i giocatori non possono essere chiamati da sconosciuti durante le sedute di allenamento.>>
<<Beh, vorrà dire che aspetterò qua fuori.>> La sua voce aumentò finalmente di un'ottava, la frustrazione improvvisa. Corse fuori di tutta fretta, non voleva farsi vedere in lacrime da quella sconosciuta che era stata così poco cortese nei suoi confronti.

Mentre si appoggiava ad un angolo della grande struttura, le mani che cercavano di asciugare furiosamente il volto, maledì fortemente i suoi ormoni dirompenti.

Non sa per quanto sta ferma lì, immobile mentre le spalle tremano, il viso freddo mentre le lacrime scorrono. Sa solo che ad un certo punto una figura le si avvicina, lo sguardo preoccupato di un giovane ragazzo la squadra.

<<Ti senti bene?>> Il ragazzo le appoggia una mano sulla spalla, la voce intrisa di timore.
<<Si, sto bene>> Marta risponde con la voce ancora rotta, lo sguardo fisso a terra.
<<Sei sicura? Non hai un bell'aspetto>> Gli occhi di lui riflettono una preoccupazione evidente.
<<E' che non riesco a smettere di piangere, ci sto provando giuro, solo che il mio corpo non mi risponde.>> Il suo sguardo si alza puntando finalmente gli occhi verso il viso del ragazzo che si trova di fronte a lei.
<<E perchè hai iniziato a piangere?>> La voce improvvisamente cheta.
<<Perchè ho fatto un errore alcuni mesi fa, e sono venuta qua per cercare di non farne un secondo, ma la signora all'entrata non è d'aiuto, ed ho una voglia matta di andare via, anche se so che andando via da qua non troverò mai il coraggio di tornare.>> Le parole escono come un fiume in piena della bocca di quella ragazza, la voce rotta, lo sguardo di chi ha bisogno di parlare.

Il suo interlocutore la guarda rammaricato, dispiaciuto davvero per ciò che sta vivendo, ma con sulla punta della lingua una domanda semplice:
<<Cosa hai chiesto alla segretaria?>>
<<Di parlare con Kylian Mbappè. Lei mi ha detto che i fan non potevano richiedere incontri con i giocatori, ma io non sono una fan, gliel'ho detto e ripetuto>>
<<Vieni con me>> Il ragazzo glielo dice con una grande sicurezza, un sorriso che la rassicura, una mano offerta che lei stringe compiacere.
La porta dentro l'edificio, varcano la soglia e la donna alla scrivania non dice niente, li guarda entrambi con gli occhi spalancati.
Non apre bocca neanche quando loro imboccano un corridoio sulla destra, prima di scomparire dalla sua vista.
La giovane sta in silenzio al fianco del ragazzo, guarda bene dove vanno, lo sguardo che corre lungo decine di porte.

<<Io comunque sono Marta.>> Le lacrime ormai secche sulle guance che si piegano in un timido sorriso, gli occhi colmi di gratitudine.
<<Io sono Presnel>> Il ragazzo risponde al suo timido sorriso con uno davvero grande.

Ispira affetto, pensa Marta. Lo sguardo che trasmette fiducia, il sorriso che riesce a tranquillizzare. Per un attimo è perfino dispiaciuta che non sia lui il ragazzo per cui ha preso un aereo, poi però si sente in colpa..

Poi Presnel si ferma davanti ad una porta, si gira e le chiede di rimanere là, le dice che entra lui, che chiama Kylian e lo fa uscire. Gli dice di stare tranquilla, che non sbaglierà.

E poi entra.





Sono passati appena due minuti quando la porta si apre, permettendo alla figura di Kylian di uscire.
Marta non lo vede da due mesi, da quella notte.
Non è poi cambiato molto, osserva. Sembra stanco.

L'occhiata che le rivolge è neutra, fredda.
Anche l'ultima volta la guardava così.

<<Cosa ci fai qui?>> È lui che apre per primo la bocca, che interrompe quel silenzio fin troppo strano.
Nonostante la cattiveria che Marta percepisce nella sua voce non si lascia abbattere, l'aveva messo in conto.

<<Dovevo parlarti. In privato.>> Le ultime parole vengono aggiunge perché non vuole che qualcuno possa sentire quello che lei gli vuole dire.

Lui non la guarda neanche, si gira, dandogli le spalle, e inizia a camminare, svoltando a destra, prima di entrare in una stanza.

Marta lo segue, ed appena entra in quella che lei scopre essere la stanza con i lettini di fisioterapia lui chiude la porta.

Si appoggia ad un armadietto, incrocia le braccia al petto, aspetta che lei inizi a parlare.

La osserva però di sottecchi.
Infondo, anche se non lo dimostra, lui si ricorda di lei.

<<Non volevo venire. Ho passato un mese a cambiare idea. Sono partita sapendo che appena avrei parlato con te sarei stata etichettata come un'approfittatrice, una sgualdrina. Non so se mi crederai, probabilmente no. Il fatto è che io a te non devo niente. Sono qua in parte per me, perché mi devo una vita da vivere tranquillamente, senza il timore che un giorno tu possa spuntare alla mia porta, con la pretesa di togliermi ciò che amo. L'ho scoperto un mese fa che sono incinta, ho fatto tre test, sono andata dalla ginecologa. Sapevo fin da subito che era tuo, infondo non ho avuto altri rapporti. Non voglio i tuoi soldi. Non mi interessa se dovrò fare un test per la paternità. Non mi importa se non riconoscerai questo bimbo. Mi importava che lo sapessi. Solo questo.>>
Marta parla tutto d'un fiato, cerca di non far vacillare la voce, di non incartarsi in quella lingua che non sente sua. Lo fissa mentre parla, perché ha bisogno di sapere che lui l'ascolta.

Quando finisce aspetta, aspetta che lui metabolizzi. Infondo ha ventitré anni.

Loro hanno ventitré anni.

<<Lo riconoscerò. Non ti conosco, è vero, ma non hai sbagliato solo te quella notte, l'abbiamo fatto entrambi. Io ti credo.>>

La voce di Kylian rimane ferma e controllata per tutto l'arco di tempo in cui lui parla, come se non avesse appena saputo di star per diventare padre.
Sembra però che dire quelle parole gli pesi immensamente.

<<Grazie>> È l'unica cosa che Marta riesce a direi. Perchè infondo ne è davvero riconoscente, troppo piccola per quel ruolo così pieno di responsabilità che l'aspetta. Sapere di dover condividere quel peso la tranquillizza.

Peso.

Ha appena definito suo figlio, o sua figlia, un peso.
Si sente disgustosa.
Gli occhi gli si inumidiscono.
Kylian se ne rende conto, ma non si avvicina, anzi, si avvia verso la porta dandogli le spalle.

La realtà gli si abbatte subito addosso, Kylian le starà vicino perché deve, perché vuole essere il padre di suo figlio, sa di dover prendersi le sue responsabilità.
Ma non starà accanto a Marta, non la sorreggerà.

E non sa perché, ma quella nuova consapevolezza fa più male del previsto.

PARIS | KYLIAN MBAPPÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora