40. Il Posto Speciale

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Léon sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto parlare a Sebastiano del suo passato, ma ogni volta che lo guardava, ogni volta che provava ad aprire bocca per raccontargliene anche solo un piccolo pezzetto, le parole gli morivano in gola. 

I discorsi che si preparava prima di incontrarlo facevano la stessa fine di una candela messa sotto un bicchiere di vetro: si spegnevano lentamente e di loro rimaneva solo una piccola scia di fumo.

Nessuno sapeva perché fosse venuto in Italia, perché abitasse con sua zia, perché ridesse così poco.
E lui non aveva mai avuto intenzione di raccontare nulla.

Poi era arrivato Seba, che lo guardava come se avesse capito il suo bisogno di urlare, di buttare fuori tutte le cose che gli facevano male, e lui aveva sentito l'impulso di cominciare a liberarsi di tutti quei mattoni di dolore che appesantivano i suoi passi, giorno dopo giorno.

Era una sensazione costante quella che Léon aveva dentro al petto; un po' come il ronzio di un vecchio elettrodomestico: riesci a farci l'abitudine pian piano, ma, se ti ci soffermi un attimo, ti sembra di impazzire.

Quando si guardava allo specchio faceva quasi fatica a riconoscersi: gli occhi si erano irrimediabilmente spenti, e tutte quelle cicatrici non facevano che ricordargli quanto fosse rotto, spezzato, segnato.

C'era un meccanismo ormai inceppato dentro di lui e, a mano a mano che incontrava gente nuova, si rendeva conto di quanto difficile fosse diventato fidarsi di qualcuno.

A Parigi si sentiva soffocare.
Aveva come la sensazione che tutti sapessero di lui, che tutti avessero capito cosa gli era successo.

Per questo aveva accettato l'invito di sua zia a trasferirsi in Italia.
Aveva conosciuto Alex, che pian piano si era fatto strada nelle sue giornate e lo aveva presentato al suo gruppetto, a quei ragazzi che ora erano anche amici suoi.

Poi era tornato Seba, e da lì i suoi sentimenti erano stati sempre in bilico, sempre sul punto di precipitare in un rovinoso abisso da cui sapeva avrebbe fatto fatica a riemergere.

Aveva deciso di troncare ogni rapporto con lui; era convinto che allontanarlo fosse la scelta giusta per preservare quel briciolo di cuore che sembrava tornato a essere vivo, grazie al ragazzo dagli occhi d'ambra.

Ma chi lascerebbe un cuore marcio libero di battere così, senza controllo?
Solo un incosciente, ecco chi.

Così aveva messo in atto l'unico piano che gli era venuto in mente: farsi odiare da chi, di quell'anima lesa, sembrava non essersi ancora accorto.

Ma Sebastiano si era rivelato più testardo di quanto pensasse.
Aveva accettato di stare al gioco.
Aveva continuato a cercarlo, ad essere gentile; così tanto che i sensi di colpa di Léon si erano fatti pesanti come vestiti bagnati, e lui se li era dovuti trascinare addosso per quasi due settimane.

Dio, quei giorni gli erano sembrati infiniti.

Poi Seba aveva sbroccato: si era convinto di voler sapere la verità, voleva capire perché Léon lo odiasse così tanto.

Odiare... Era un sentimento che nemmeno si avvicinava a quello reale, quello che davvero provava dentro di sé.

Aveva provato di nuovo ad allontanarlo, a dirgli che non capiva, che non sapeva nemmeno quello di cui stava parlando.

Ricordava bene con quale intenzione lo aveva attirato a sé, quel giorno: era per fargli paura, per farlo allontanare almeno un minino, ché il viso di Sebastiano così vicino al suo era una cosa difficilissima da sopportare per lui.

Ma Seba lo aveva guardato con quegli occhi che lo pregavano di dargli una qualsiasi spiegazione; probabilmente gli sarebbe bastata anche una bugia pur di capire il perché di quell'atteggiamento tanto ostile nei suoi confronti.

Di Tutti Ma Non Di TeWhere stories live. Discover now