-7, Vanderbilt Mansion-

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Fu uno dei più lunghi viaggi della mia vita.
Alec non faceva altro che mettermi le mani addosso e parlare, parlare, parlare. Avrei voluto infilargli un sedile in bocca, ma non potei fare altro che cercare di distrarmi guardando fuori al finestrino.

Sarà stata la prima volta in tutta la mia vita in cui sono salita su un auto. Certo, ne avevo viste davvero tante parcheggiate di fronte al cancello, ma le uniche occasioni in cui uscivo dall'orfanotrofio erano le gite scolastiche e in quei casi viaggiavamo con dei pulmini abbastanza economici. Ovviamente gli altri ragazzi uscivano di nascosto molto spesso e i professori e chiunque altro lavorasse lì dentro chiudevano un occhio frequentemente, specialmente se dimostravano di non trascurare le materie scolastiche e di tornare all'orario di cena. Un po' come farebbero dei genitori amorevoli.
Ma io ho sempre preferito una serata accanto a Maelle a un gelato al parco. O qualsiasi altra cosa facessero in quel fottutissimo parco. O qualsiasi cosa fumassero.

Un particolare paesaggio fuori dal finestrino destò la mia attenzione. Il cielo era ormai ricoperto di stelle che si riflettevano sulla calma superfice di un lago di media grandezza. All'orizzonte scorgevo un piccolo boschetto e villa Vanderbilt, la mia nuova casa, a dir poco gigantesca, il cui esterno era in un rigoroso stile vittoriano.
La luce calda dei lampioni la illuminava esaltandone la maestosità e la bellezza.

Dopo aver percorso un lungo viale ed essere entrati dal cancello in ferro battuto l'autista parcheggiò di fronte al grande portone della villa.
Mi tremavano le ginocchia al pensiero di cosa mi stava aspettando, ma mi feci forza e uscii cercando di mostrare più sicurezza possibile quando l'autista venne ad aprirmi la portiera.
Ci accolse nella villa una delle domestiche, una ragazza di media altezza e dai capelli castano cioccolato.
"Bentornato signorino Alec, benvenuta signorina Leila. Il padrone vi aspetta in soggiorno."

Alec si voltò dalla mia parte, mi rivolse un sorriso trionfante e prese la mia mano con forza.
Il mio sguardo di odio si mischiò al dolore. Detestavo quell'uomo già da prima di sposarlo.
Entrammo e guidata dalla fin troppo forte presa di Alec percorremmo i lunghi e lussuosi corridoi fino al soggiorno.
L'esterno di quella casa non tradiva assolutamente l'interno. Pure la polvere lì dentro sembrava essere costata un mucchio di soldi.
Arrivati in quella sala di dimensioni sconsiderate che veniva definita come soggiorno, Alec mi fece sedere di fronte a un uomo sulla sessantina d'anni. Era la fotocopia di Alec, una bellezza quasi identica, se non fosse stato per i quarant'anni di differenza. Da quanto mi ricordassi dalle foto viste quel giorno in sala informatica, era Abner Vanderbilt.

"Signorina Leila!"
Abner poggiò il bicchiere di cristallo, che reggeva con noncuranza, sul tavolo e sembrò quasi raddrizzarsi dalla posizione svogliata in cui si trovava, per poi adottarne un'altra ancor più irrispettosa.

"La aspettavo con ansia, sa?"

Non risposi, puntandolo con uno sguardo freddo e ostile.
Non avevo nessuna intenzione di farmi mettere i piedi in testa in quella casa. Se devo vivere una vita da schifo, allora la voglio vivere con dignità.

L'uomo fece finta di non accorgersene e riempì nuovamente il suo bicchiere.

"Abbiamo organizzato una cenetta di benvenuto per lei sta sera. Sarà una splendida occasione per conoscerci, vero Alec?"

"Certo" rispose sicuro Alec, stringendomi forte le spalle da dietro, fino a trafiggere le mie clavicole.

"Ora voglio che lei salga sopra, si faccia bella e si prepari per la prima di una lunga serie di meravigliose e piacevolissime serate."

Ordinò alla domestica in fondo al soggiorno di accompagnarmi nelle mie stanze. Alec allentò finalmente la presa sulle mie spalle e fui libera di andare.

Appena io e la domestica fummo fuori dal soggiorno, lei mi poggiò una mano sulla spalla.

"Vieni tesoro, la cena è alle otto in punto. Facciamo in fretta, così avrai un po' di tempo per riposare."

Il suo sguardo di triste compassione era lo stesso che mi aveva accompagnato nel mio ultimo mese all'orfanotrofio.
Avevo paura di tutto quello con cui avrei avuto a che fare ma avevo anche una sorta di sensazione che c'era qualcosa che mi legasse a quella casa, a quella famiglia.
Per il corridoio che avrebbe portato alla mia camera notai un ragazzino e una donna sui trent'anni che camminavano a passo svelto.
La donna aveva il rossetto sbavato e i capelli ridotti a una disordinata massa informe, il ragazzo aveva invece tutto il viso sporco di rosso carminio. Bastava fare due più due.
Si precipitarono in una stanza e il ragazzino mi strizzò l'occhio prima di chiudere la porta dietro di se.
Bel ragazzo e tutto il resto, ma avrà avuto quindici anni.
La domestica alzò gli occhi al cielo e mi fece segno di non farci caso.

Mi spalancò le porte di una stanza luminosa, quasi interamente arredata di bianco e oro. Salutò chinando leggermente il capo e mi lasciò sola nella mia nuova stanza.
Era spaziosa, costosa quanto pulita.
Era tutto conservato meticolosamente, non si trovava neanche un granello di polvere.
Spesi una ventina di minuti a sistemare le mie cose, per poi decidermi a cominciare a sistemarmi per la cena. Della marea di stupidaggini uscita dalla bocca di Alec durante tutto il viaggio, ricordo di averlo sentito parlare di qualche vestito comprato per me nell'armadio, così, mossa dalla curiosità, ne spalancai le ante.

Lo spettacolo davanti ai miei occhi era raccapricciante.

Avevo un piccolissimo conforto quando feci quella scelta. Mi consolavo al pensiero che almeno lì dentro avrei potuto lasciare quel palco scenico e tutti quei terribili ricordi alle spalle... Che illusa.

Tutti gli abiti presenti in quell'armadio, fin troppo spinti, sembravano provenire dalle serate più disgustose della mia vita. Ci sarei dovuta arrivare prima, era logico che non avrebbero perso occasione per ricordarmi le mie origini, ogni aspetto più vergognoso della mia vita.
Presi un corpetto a caso, decisa a non farmi abbattere, non così presto.
Lo indossai, ci abbinai le calze e le scarpe. Mi acconciai i capelli, stesi un po' di trucco e finsi un sorriso.

Dovevo resistere almeno fino al ritorno di Levi. Dovevo farcela.

"Dear Maelle,"Onde histórias criam vida. Descubra agora