4. Resort

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La chiacchierata che tanto anelavo non c'era stata. Con la scusa che fossi stanca ero stata gentilmente accompagnata nei miei appartamenti: una cella camuffata da camera con tutti i comfort: un ampio letto, una libreria e una scrivania con pc. Una porta nell'angolo faceva accedere a un piccolo e pulito bagno; bianchi asciugamani odorosi di ammorbidente erano impilati sul ripiano accanto al lavabo. Un gradevole profumo di lavanda permeava l'intero ambiente.

Sarebbe stato tutto incredibilmente confortante se non appena entrata, la porta non fosse stata chiusa con uno scatto metallico. La feritoia aperta dall'esterno e Griffen che avvicinava il volto allo spiraglio giusto per comunicarmi che si sarebbe rifatto vivo di sera.

Non feci in tempo a rispondergli che lo sportellino fu richiuso e mi ritrovai da sola nella mia cella.

Corsi alla mia finestra, scostando la vaporosa tenda azzurra e le sbarre metalliche che si pararono alla vista fecero morire ogni mia vana speranza di poter scappare da lì.

Mi serviva quanto prima una lima. Non avevo una grande esperienza in evasioni, ma non potei fare a meno di pensare al fatto che non ero mai stata un granché nel fare i nodi. Vidi la mia immagine precipitare dalla finestra, le lenzuola utilizzate per creare un'improvvisata corda che si separavano con uno schiocco secco. Qualcuno era davvero mai riuscito in una simile impresa? Appariva talmente ridicola...

No, non avevo scelta, dovevo aspettare, dovevo stare al loro gioco. Gli avrei fatto credere che fossi pronta a collaborare e poi... Poi me la sarei data a gambe.

Ignorai il disagio che provai quando la mia mente mi rispose che non ce l'avrei fatta.

Una cosa alla volta: raccogliere informazioni. Mi avvicinai al computer e lo accesi. Attesi che fosse tutto pronto e provai l'accesso al web. Password richiesta. Ovvio.

Tagliata fuori da tutto Elise e nessuno ti sta cercando.

Non era vero, la scuola avrebbe indagato. Un'assenza protratta avrebbe fatto sorgere delle domande... Non sperarci, eri arrivata da soli due mesi, trasmetteranno l'informazione alle autorità e tutto finirà lì.

Mi sedetti sul letto sbottonandomi con lentezza il mio giubbotto rosso, mi guardai attorno e iniziai a prepararmi.

Osservai la fettuccia che girava tutt'attorno allo scollo, quella che in teoria andrebbe tirata per stringere il cappuccio ma che nessuno utilizza perché ti fa sembrare un marmocchio a cui manca solo il ciuccio.

Con i denti strappai un poco la cucitura per far scorrere meglio la cordicella e la sfilai completamente saggiandone la consistenza tra le dita: non era molto lunga, ma appariva abbastanza resistente per il mio scopo ossia strangolare chiunque avrebbe attentato alla mia vita. Pensi davvero che una cordicella sarà sufficiente contro di lui?

Una cosa alla volta ho detto!

Attesi in silenzio per ore, seduta sul letto. Vidi la luce cambiare, gettare dapprima ombre sul pavimento, le sbarre riprodotte in forma allungata per poi sparire del tutto sostituite dal prevedibile buio. Come sempre accadeva, l'arrivo della notte faceva mutare il mio umore: l'inquietudine mi assaliva e i sussurri diventavano più frequenti.

Un tocco deciso alla porta mi fece sobbalzare. Affilai lo sguardo – sapevo chi era – e strinsi nella tasca della felpa il laccio che avevo preparato.

Sulla soglia Griffen teneva un vassoio in equilibrio, mentre nell'altra mano stringeva un sacchetto. Me lo mostrò sfoggiando un sorriso a trentadue denti. "Servizio in camera!".

Non potei fare a meno di rispondere con una smorfia amara. La ignorò poggiando il vassoio colmo di cibo sulla scrivania. Il mio stomaco traditore brontolò, non mangiavo dal giorno prima. Non c'è niente di peggio di uno stomaco rumoroso quando vuoi apparire tosta e scostante.

Griffen fece finta di non averlo notato, accese la abat jour sulla scrivania e si avvicinò alla finestra. Scostò con un dito la tenda e gettò un'occhiata attenta all'esterno. "Mangia", mi suggerì senza guardarmi. "E poi se vorrai potrai cambiarti, ti ho portato dei vestiti puliti".

Gentilissimo. "A cosa mi servono? Se sono qui rinchiusa e senza la mia libertà? Posso restare anche così, grazie".

Le mie parole, buttate giù tanto per dire qualcosa di oppositivo, lo distrassero più di quanto mi sarei mai aspettata. Distolse il suo sguardo dalla finestra e mi guardò con intensità. "Ma tu sei libera, il problema è che non te ne rendi conto".

Risparmiami la fuffa new age, ti prego. Aspetta: dove sono finiti i suoi lividi e i tagli? Strinsi più forte il laccio nella tasca. Non ancora, Elise, non avresti scampo, tienilo per le emergenze. Ma io ero nel bel mezzo di un'emergenza.

Avevo sempre intuito che ci fosse nel mondo qualcosa di oscuro, qualcosa da cui mio padre mi aveva  difeso e per cui mi aveva allo stesso tempo preparato. Ma tutto questo... Ero completamente sola.

Griffen continuava a guardarmi in quel modo, come se si aspettasse una replica; cercai di annuire in maniera convincente, ignorando la tachicardia che il suo volto e il suo cappotto integro mi stavano procurando. Facciamolo contento e sopravviviamo.

Mi sorrise brevemente, era evidente che non lo avessi convinto. Si avviò alla porta, pronto a uscire.

"Griffen".

Si voltò sorpreso, probabilmente perché lo avevo chiamato per nome. "Perché sono qui?".

Mi studiò con una strana punta di malinconia nello sguardo. "A tempo debito, bambina".

Brividi... Raccapricciante...

"Lascia la lampada accesa, la luce è nostra amica".

Guardai automaticamente la lampada ad occhi sgranati e lui, approfittando del momento, si dileguò al di là della mia cella, facendo scattare il meccanismo di chiusura; un rumore che sapeva di definitività, di ineluttabilità.

Il ragazzo non era normale, poco ma sicuro; comunque lasciai la luce accesa, giusto in caso.


Buon martedì a tutti. E grazie per essere qui! Dal prossimo capitolo entriamo nel vivo ;)

B.

MateriaWhere stories live. Discover now