Un amore vestito di giallo

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L'orologio della stazione segnava le otto del mattino.

Avevo tempo per un caffè.

Entrai in un bar - Un cappuccino, per favore - e il barista mi sorrise - Arriva subito -

Andai a sedermi su un tavolino isolato, nell'angolo, c'era un giornale appoggiato e lo sfogliai: guerra, guerra, bombe che esplodono, bambini che piangono, desolazione.

Mi portarono il cappuccino, lo bevvi ma non era molto buono, aveva il gusto amaro della mia tristezza. Cominciò pure a piovere, le gocce cadevano a terra, dolcemente, scivolavano dalle mani degli angeli, che come madri le stavano accudendo, ma le hanno lasciate andare. Erano, queste gocce, note, note, che creavano una musica dolcissima, malinconica e triste; era questa musica il sottofondo dei miei pensieri, malinconici e tristi.

8:20. Il mio treno sarebbe partito dopo dieci minuti. Andai.

Ero diretto lontano da qui, volevo cambiare luogo, cambiare aria, perchè dove stavo prima avevo perso tutto e me stesso, mi ero perso nelle strade più scure e malfamate e non avevo più trovato la retta via. Andavo a cercare me stesso, a ricomporre me stesso.

In stazione c'erano parecchie persone, ma erano silenziose, silenziosi ascoltatori della musica della pioggia.

Pensai.

Forse esse sono tristi,

malinconiche

e stanno pensando

a dove stanno andando

che non è quella la strada che volevano prendere.

Forse sono felici

forse non lo sanno

cosa stanno facendo

cosa sta succedendo

e infine

chi sono.

Percorsi le scale per andare al binario da cui sarebbe partito il mio treno e camminando vidi un uomo, seduto a terra, su un cartone. Era tutto rannicchiato, con le gambe strette al petto, tra le braccia; cercava di nascondersi? Aveva una coperta a quadri blu, viola e verde, con cui si copriva, ma era troppo piccola per lui, troppo corta e le dita dei piedi gli rimanevano fuori. Aveva i capelli ricci, sporchi, neri e tutti arruffati, la barba lunga. Il suo volto era quello di un uomo stanco.

Mentre gli passavo vicino i nostri sguardi si incrociarono e lui mi mi chiese aiuto, mi disse che si era perso, dentro di lui correva un vicolo cieco. Non usò parole, ma solo i suoi grandi occhi color nocciola, che non sapevano più piangere.

Non feci nulla.

Alle 8:32 il treno ancora non era partito. Alle 8:34 annunciarono un ritardo di venti minuti, così andai a sedermi su una panchina vuota, ma non rimasi solo troppo a lungo, dopo qualche istante si avvicinò a me una donna vestita di giallo, mi chiese "Posso?" e si sedette poi affianco a me.

In quel momento pensai che volesse chiedermi il permesso per sedersi lì, ma ora credo invece che quella donna intendessi chiedermi "Posso cambiarti la vita?"

Il vestito giallo che indossava era bruttissimo e mi chiesi come avevo fatto, tra tutta quella gente grigia, a non notarla prima nella stazione. Era però incredibilmente bella, bella come un quadro che non sai perchè ti piace, forse perchè rispetto a tutti gli altri ha qualcosa di diverso e ti suscita emozioni nuove. Non era molto alta, nonostante portasse delle scarpe con il tacco. Il vestito, attillato sul petto, le evidenziava le curve. Aveva i capelli castani, leggermente ondulati, legati in una coda bassa. Sulla fronte le cadeva qualche ciuffo più chiaro rispetto alla coda. Avevano riflessi ramati che con la luce del sole si accendevano. Aveva grandi occhi, grandi come quell'uomo seduto su un cartone, ma di diverso colore, erano un po' gialli e un po' verdi, un po' colore del rame. Sul naso, piccolo e grazioso, c'erano alcune lentiggini, appena accenate, che sparivano sulle guance. Quando camminava sembrava danzasse ad ogni passo per come appariva leggera ed elegante.

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⏰ Last updated: Jul 16, 2021 ⏰

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