𝚖𝚢 𝚋𝚒𝚐𝚐𝚎𝚜𝚝 𝚏𝚎𝚊𝚛

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Il teatro era gremito di persone: le ricche famiglie sedute regalmente fra le prime file, abiti succinti impreziositi da accessori a regola d'arte, gruppi di bambini con le suole delle scarpe sporche di terriccio e annacquate dalla pioggia di quello stesso pomeriggio, schiamazzano in preda ad un intensa sessione di collezione di carte di calciatori seduti sulle gradevolissime poltrone in pelle bordeaux della struttura.

Gruppi di anziane signore adagiate nelle file laterali della platea confabulano e si scambiano qualche pensiero in merito al gossip del giorno. Gli adolescenti esuberanti e rumorosi si riuniscono scompostamente sul fondo del teatro, quasi come se volessero fondersi con le pareti tortora grezze e graffiate di nero, per restare il più lontano possibile dalle occhiate indignate della controparte anziana.

Il sipario è ancora calato, appoggiato alle estremità sul pavimento freddo e legnoso di quel finto grande teatro, che di grande ha soltanto le crepe fra un'asse e l'altra.

Dietro le quinte, intanto, orde di truccatrici, parrucchieri e assistenti ai costumi corrono da una parte all'altra gridando e mettendo in mostra le loro preoccupazioni e ansie in merito all'evento di ballo che si sarebbe tenuto fra poco meno di un'ora.
Gli insegnanti, altrettanto tranquilli, ripassano con gli allievi gli ultimi passi che, a detta loro, dovevano essere perfetti, puntando il dito laddove ci fosse uno sbaglio, anche impercettibile, anche di poco conto, perché qualsiasi cosa accada, dovrete dimostrare di non avere esitazioni. Non dovete sbagliare.

Poco più distante, seduta su una delle poche seggiole in ferro presenti in uno dei tanti camerini, vi era Lei.

Stravaccata e seduta in modo poco graziato, si guardava le mani tempestate di anelli in argento sottili, riuscendo a cogliere sotto gli anelli i numerosi calli e le pellicine sporgenti dalle unghie, colorate di un bianco panna, quasi sporco. Sporco come la sua anima, macchiata da decine, da centinaia di aghi che spruzzano colore nero, in netto contrasto con il suo incarnato pallido e il suo appena accennato sorriso a contornare i suoi lineamenti paffuti. Sulle labbra solo un filo di lucida labbra trasparente, insapore.

Felicità, si chiede. Innumerevoli significati sono racchiusi in questa parola, pensa.

Nel corso della storia dell'essere umano si sono succedute tante teorie che hanno cercato di estrapolarne il valore, ma senza alla fine giungere ad un'univoca interpretazione.

È diventata sinonimo di qualcosa che si può, anzi si 'deve' avere.

E sorride. Si deve avere. Che sciocchezza è mai questa? pensa, confutando le sue stesse teorie.
La felicità non esiste. Poi guarda davanti a se, si prende qualche momento per respirare, rumorosi e lunghi respiri, incanalare quanta più aria possibile. Ormai ci è abituata.

Riabbassa lo sguardo, puntandolo sulle scarpe da ginnastica appoggiate sul pavimento accanto alla sua seggiola in ferro.

La felicità si cerca continuamente, durante tutto l'arco della nostra vita. Analogamente, ci si aspetta quasi che sia Lei ad accarezzarci, come se fosse un nostro diritto, un diritto che ci fa vivere meglio.

Io vivo già benissimo, risponde.

Che ci cambia i connotati, che ci fa essere addirittura migliori.
I media ne danno una visione alquanto distorta, facendo credere che, per essere davvero felici, bisogna 'possedere'. Soprattutto denaro, relegando il concetto che ognuno di noi può avere della felicità ad un nudo e crudo bisogno di 'avere'.

Ai ajuns la finalul capitolelor publicate.

⏰ Ultima actualizare: Dec 26, 2021 ⏰

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𝒆𝒔𝒑𝒆𝒅𝒊𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒂𝒕𝒆 𝒈𝒓𝒊𝒈𝒊𝒆Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum