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Era su quel ponte, il suo preferito da sempre, l'unico luogo dove si sentiva veramente al suo posto, con la penna che suo padre le regalò il giorno del suo quindicesimo compleanno ed un quaderno arancione preso in un posto di cui non aveva memoria. Suo malgrado erano le uniche cose che davvero la rendevano felice, le sue uniche gioie, quegli oggetti le servivano per scrivere. Scrivere era la sua passione, sin da quando aveva memoria. Quando sua madre e suo padre la iscrissero alla scuola materna, ed ancora non sapeva scrivere, si divertiva a incidere col pennarello lettere a caso su dei fogli per creare dei 'libri'. Il solo pensiero la faceva ridere. Nella sua vita non esisteva altro che questo, non le piaceva la scuola, posto in cui per anni fu costretta ad andare e che ancora per molto tempo avrebbe dovuto frequentare. Non un ragazzo, non un'amica, era sola, misteriosa, ma le piaceva così. Perché lei era così. Ciò che pensava non veniva a saperlo nessuno, perché ciò che aveva in testa, rimaneva lì, l'unico posto in cui venivano messi i suoi pensieri era sulla carta, che poi nascondeva nel suo armadio sotto i vestiti, lì nessuno avrebbe osato metter mano.
Durante le estati, si sedeva su quel ponte, isolato dal resto del paese e mentre ascoltava il meraviglioso Fruscio del ruscello sotto di lei, sotto al sole con in mano i suoi fogli, scriveva liste storie.
Quel giorno miliardi di parole erano impresse sulla carta, e pure sembravano voler scappare, per poter volare insieme agli uccelli che danzavano nel cielo, formando forme e disegni. Le sue idee e la sua creatività sembravano voler essere libere. Come lei che lo voleva da tempo. Solo questo la faceva sentire così. Voleva diventare scrittrice, cosa che però i suoi coetanei ritenevano antica, così quella volta che volle raccontare in classe il suo sogno, dopo la richiesta della sua insegnante di raccontarsi un po', le espressioni dei suoi compagni sembravano tutt'altro che comprensive, ma forse era solo una sua impressione. Molti volevano fare i dottori, chirurghi, avvocati, qualcuno anche la ballerina, ma sicuramente, un sogno così insolito, non era decisamente realizzabile. Eppure Lei sentiva che quella era la sua strada, voleva che fosse quella la sua strada, nonostante la disapprovazione che si leggeva sui volti della gente, anche se la influenza vano molto. Quel pomeriggio il cielo era azzurro e solo qualche molesta nuvola che spegneva il sole di tanto in tanto era presente. L'ispirazione faticava ad arrivare, così decise di tornare a casa, anche se sicuramente l'umore, in quelle quattro mura non sarebbe stato dei migliori. Durante il tragitto incontro Anna, la sua vicina, qualche anno più piccola di lei. Spesso i genitori la tenevano chiusa in casa, a suonare. Avrebbe dovuto iniziare a frequentare il conservatorio di musica non appena avesse compiuto l'età. Alla ragazza sembrava che la vicina non avesse tutta quella grande simpatia per il pianoforte, eppure lo faceva ugualmente. Le uniche volte in cui usciva era per fare una passeggiata con i genitori. A lei, nessuno riusciva a costringerla a fare qualcosa anche se tale cosa voleva farla di sua volontà se le veniva ordinato non l'avrebbe fatto, perché pensava che nessuno dovesse darle ordini. Se qualcuno l'avesse costretta a coltivare una passione che non le interessava, si sarebbe ribellata, perché avrebbe cambiato totalmente la sua vita e il suo futuro. La saluto con un semplice 'ciao' ed essa rispose: "Ciao, Larissa. ".
Poco contenta continuò per la strada di casa. Dopo aver salutato alcune persone, sue conoscenti, arrivò finalmente alla sua abitazione, ma la sola vista della facciata, aumentò la sua malinconia. Salì le scale esterne, dopo aver aperto il cancellino prima di esse, busso al battiporta. Dopo poco tempo la porta venne aperta da sua madre, nervosa come sempre, che dopo averla fatta entrare, tornò sulla sua sedia e continuò q a tagliare le patate che avrebbero mangiato per cena. Sua sorella era ancora ai giardinetti vicino a casa, a giocare con i suoi amici. Prese dalla libreria un libro, quello che stava leggendo da qualche giorno, si avviò per la sua stanza, si sdraio sul letto e ripresa da dove lo aveva lasciato, alla pagina 327. I minuti sull'orologio passavano e diventavano ore. In tanto Svetlana, sua sorella, tornò a casa, l'umore era sempre più nero, non le piaceva stare al chiuso per troppo tempo, la faceva sentire claustrofobica. Di alzò dal letto e si affacció alla finestra che si trovava proprio di fianco alla porta della stanza. Il suo candore rifletteva i raggi solari che di conseguenza illuminavano la stanza. La camera, condivisa con Svetlana era in disordine. La scrivania inutilizzata da troppo tempo era ricoperta da fogli e libri, i porta matite colmi di evidenziatori, pastelli e penne colorate, montagne di libri da leggere, libri di scuola e molte altre cose. Per terra c'erano valanghe di oggetti ed il pavimento sembrava implorare pietà. Sulla sedia davanti alla scrivania c'erano i vestiti che aveva usato i giorni prima e qualche coperta colorata, difatti, il letti, sia il suo che quello di sua sorella erano disfatti, giorno, sera e notte. Che era una persona disordinata si capiva solo a guardarla, appunto, forse, era l'unica cosa che chi la conosceva sapeva davvero di lei. I suoi 16 anni, secondo lei, erano sprecati, dato che non erano serviti a nulla, né per lei né per gli altri. Il suo talento era sprecato, perché non appena avrebbero scoperto il suo carattere chiuso, secondo quello che pensava lei, nessuna casa editrice avrebbe neanche minimamente pensato mi prendere in considerazione un suo racconto. Dopo un po' di tempo ad ammirare il paesaggio dalla finestra, decise di scendere al piano terra dove si trovava la cucina, per passare un po' di tempo con la madre, cosa che facevano molto raramente, ma appena scese metà dei gradini, si accorse che essa stava parlando al cellulare, così decise di tornare indietro, sbuffando. "Dove vai, signorina? Devo dirti una cosa. Sia io che tuo padre siamo d'accordo. "
Preso un grosso respiro, chiuse gli occhi e si voltò verso la madre, poi, lentamente, scese le scale, si piazzò davanti alla madre e le chiese cosa ci fosse di così importante da dirle. "Io e papà ne stavamo parlando proprio adesso al telefono. Ha avuto un aumento, quindi, anche se tu non vuoi, come ci avevi già detto, andrai al campo scuola, d'altronde è ancora il 15 giugno e comincerà il 17, quindi dopodomani." Sospettava che ci fosse qualcosa che non tornava nella sua voce era la voce da, come la chiamava lei, 'ti do una notizia che so che non ti piacerà ma voglio che tu faccia quello che dico io.'
Non voleva andare al campo scuola perché non le piaceva stare in compagnia, sicuramente in quel posto si sarebbe solo annoiata. "No, mamma. Io non ci vado, lo aveva già detto. e poi non ci va nessuno che conosco."
"Non mi interessa. Ti farai nuove amicizie. Ti ho già iscritta per telefono quindi fila a fare la valigia."
Non poteva non fare come le diceva la madre, altrimenti quello che le sarebbe successo non avrebbe potuto fare analizzare il suo sogno.  Le avrebbero impedito di scrivere se avesse rifiutato una stola volta di fare ciò che le dicevano e le avrebbero fatto studiare medicina, come del resto, ciò che avano fatto tutti i primogeniti e primogenite della famiglia di suo padre, pertanto esso l'aveva frequentata. Le avevano detto questa cosa qualche settimana prima, quando, mentre erano in auto, avevano cominciato a parlare dell'università che avrebbe dovuto fare e quando lei disse che dopo la scuola non voleva studiare altro ma voleva subito lavorare, era uscito fuori dalla bocca della madre quanto detto precedentemente. Sbuffando per l'ennesima volta, con l'umore sotto alle scarpe, sali su per le scale per tornare in camera sua. Pensava che avrebbe potuto trovare una scusa migliore di quella che diceva che non conosceva nessuno che ci andava, appunto era proprio quello un motivo per cui non sarebbe voluta andare. Secondo il suo parere potevano usare quei soldi per qualcosa di concreto come un bagno nuovo, che da tanto volevano, ma ovviamente bastava renderla infelice anche al costo di rinunciare a qualcosa che volevano. Avvicinandosi all'armadio trascinava i piedi per terra e le braccia gli ricadevano dietro alla schiena. Scelse accuratamente i vestiti, doveva starci per un mese intero e perciò non doveva scordarsi niente, altrimenti sarebbe rimasta per molto tempo senza poter tornare indietro a prenderlo. "Ah, Larissa!" La chiamo sua madre. "Non puoi portare il tuo quaderno per scrivere. Ti distrarresti. Devi andare lì per socializzare e per imparare a stare dietro alla casa. A proposito: pulisci quel porcile in camera tua." Annuii e torno nella sua stanza per scegliere quali vestiti portarsi dietro. Socializzare: lei non voleva. A cosa le sarebbe servito? A farsi giudicare? A permettere a chiunque di trattarla come voleva? Certamente l'ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella. Il quaderno lo avrebbe portato, perché, forse, in quel posto avrebbe avuto un po' più di ispirazione che a casa sua. L'unica cosa che la consolava era il fatto che sarebbe rimasta lontano da casa per parecchio tempo.

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⏰ Última actualización: Oct 01, 2021 ⏰

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