Il Tocco

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Irene si strinse come poté nel cappotto. Con un sospiro, maledisse tra sé le imprevedibili temperature di quei giorni, percorrendo velocemente gli ultimi metri che la separavano dalla sua destinazione. Svoltò a destra per passare attraverso il parco. Sfiorò il grosso tronco del castagno centenario che dominava tutto il viale alberato e si ritrovò a contemplare un meraviglioso tappeto di foglie rosse e gialle.
Davanti a lei, la nera e tanto discussa Villa Senza Tempo dominava lo scenario.

Fece un respiro profondo per trovare il coraggio di spingere il portone. Un brivido l'attraversò, mentre superava le mutilate statue di pietra del giardino. Aumentò il passo, ritrovandosi in un lampo davanti alla pesante porta di legno. Bussò due volte con il battente e attese in preda all'ansia. Si sentivano voci di ogni tipo su quella dimora: alcuni sostenevano fosse infestata, altri che il demonio stesso l'avesse costruita. La famiglia che l'abitava, poi, era stata spesso al centro di pettegolezzi fantasiosi, che li vedeva un giorno praticare riti satanici e magia nera e l'altro a condurre blasfemi esperimenti. Non doveva sorprendere che l'unico superstite dell'illustre e maledetta casata godesse della discutibile fama data dalla paura e dal mistero...

Il rumore della serratura la ridestò dai suoi pensieri e, per un attimo, trasalì alla vista dell'occhio di vetro del domestico.

«Desidera?»

Irene deglutì per ritrovare la voce, dopo quell'inaspettata apparizione.

«Ecco ... Buongiorno. Sono qui per il lavoro di ...»

«Si accomodi.»

Irene lo scrutò perplessa, finendo per seguirlo all'interno. Notò subito la stranezza del sovrannumero di specchi ed orologi appesi alle pareti e, mentre contemplava il suo riflesso da diverse angolazioni, il suo disagio crebbe. Si strinse nelle spalle, cercando conforto nel suo stesso tocco e si sforzò di non pensare troppo alle dicerie.

«Aspetti qui.»

Il domestico scomparve, lasciandola ad attendere ai piedi dell'ampia scalinata che dava al piano di sopra. Iniziò a lisciare nervosamente le pieghe dell'abito. Presto lo avrebbe incontrato; avrebbe potuto scambiare qualche parola con Mida Maxia, Il tramutatore d'acqua in oro.
E se non l'avesse ritenuta sufficientemente qualificata?
Serrò le labbra, mentre il volto le s'incupiva. Chiuse i pugni attorno al manico della valigia e strinse, finché le nocche non le divennero bianche.

D'un tratto ebbe un sussulto, costringendosi a guardare cosa si stesse strofinando con tanto vigore contro le sue caviglie. Fu allora che incrociò lo sguardo di un gatto nero, restando sorpresa dal meraviglioso azzurro dei suoi occhi.

«Sembra che a Zaffiro voi piacciate, signorina... ?»

Una voce penetrante la raggiunse, ammutolendola. Irene scattò dritta, cercando di tenere a bada i battiti del suo cuore. Dinanzi a lei un giovane uomo la fissava dalle scale con i suoi intensi occhi neri. La pelle diafana, i capelli scuri e ribelli e la camicia completamente abbottonata, lo rendevano in tutto e per tutto un'apparizione spettrale. Si aggiustò i guanti immacolati, portò le mani dietro la schiena e avanzò verso di lei.

«Mi chiamo Irene Rocca e sono qui per il posto di assistente del mago, Signore.»

IL TOCCODove le storie prendono vita. Scoprilo ora