Controbattiti 11 p.m

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«Sto bene. Davvero. Non succederà niente e se dovessi sentirmi angosciata, depressa o anche solo troppo stressata...», solleva il cellulare con aria conciliante. «Lo userò.» 

Luna continua a truccarsi, spostando lo sguardo per un centesimo di secondo su sua madre. Esther la stava fissando con aria riflessiva e straordinariamente enigmatica, lei e sua madre stavano funzionando perché poteva prevedere le sue mosse, ma stavolta no. Non c'era traccia sul suo viso dell'indizio di un pensiero. Nulla. Zero. 

«Va bene.» le risponde con un sospiro pensieroso, Luna si volta verso di lei incredula. Per un momento la guarda con gli occhi e la bocca spalancati di felicità, una felicità controllata. «Davvero?», chiede con prudenza mentre appoggia il set di ombretti sul mobile del lavabo. Ruota il busto e comincia a scrutarla con sospetto, immagina che da lì a breve avrebbe aggiunto qualcosa che avrebbe spento per sempre la propria volontà -improvvisa e rarissima- di uscire di casa. Da sola. Al solo dirselo mentalmente, prova una fitta ad altezza della bocca dello stomaco. Lo sente stringersi. Contorcersi. Luna sta già cambiando idea, lo sguardo che finisce furtivo sulla porta del bagno diventa inequivocabile. 

«Stai per dire qualcosa che mi impedirà di uscire, vero?» Esther la osserva con circospezione spostando lo sguardo da un occhio all'altro della figlia. 

«No.» 

«Davvero?» Luna incalza incredula. «Davvero, davvero?», compie qualche passo incerto verso sua madre, torturandosi le dita e la bocca che stringe sotto gli incisivi.

«Davvero. Ma se ti succede qualcosa, qualsiasi cosa, anche un evento paranormale... io verrò con te. Ovunque. E per sempre.», la durezza dello sguardo è in netto contrasto con la dolcezza del sorriso.

«Dio mamma, lo sanno tutti che Star Trek non è il mio genere», finto tono di biasimo, le scappa un sorriso e un abbraccio che spiazza Esther, per prima. Restano per qualche attimo chiuse in un abbraccio silenzioso, compatto, sicuro. 

«Non potresti cambiare genere di scarpe?» Esther la pungola con un sorriso divertito.

«Le sneakers stanno benissimo con i pantaloncini.» corruga la fronte tornando a spiarsi sullo specchio del lavandino, pantaloncini neri, costume blu elettrico intero e giacca di pelle nera con maniche a tre quarti. 

«E anche con il fango, la sabbia, l'erba e tutta quell'accozzaglia di colori che hanno coperto il bianco di partenza.» il tono di Esther si piega all'ironia bonaria, il sopracciglio si solleva al biasimo. Luna divide la coda alta in cui ha stretto i lunghissimi capelli castani in due parti, gira lo sguardo su sua madre allo specchio e tira verso l'esterno per assicurarsi una perfetta capigliatura. 

«Vero.» risponde con un sorriso teso. «Tu starai bene?» Esther si lascia andare ad un lungo respiro pensieroso. 

«Sì. »

«Se dovesse succedere qualcosa...» non fa in tempo a finire la frase che sua madre la anticipa sollevando l'iPhone.

«Ti chiamo.» lo sventola imitando la figlia qualche attimo prima.

«Bene.»

«Adesso vai a fare la giovane adulta problematica. Buona serata.» è la prima volta che loro due si dicono qualcosa di davvero, davvero, normale. 

Esther è un ex insegnante di arte del liceo, alta, magra, con i capelli sempre perfetti, il trucco mai sbavato. Impeccabile, nell'abbigliamento, al tal punto che sembra sempre uscita da una rivista di moda. Un giorno ha annunciato alla figlia di essersi ritirata dall'insegnamento per andare a lavorare nella galleria del marito, il padre di Luna: Giorgio Maffei Rossi. Dal giorno dopo, ha contato più le volte che sua madre ha dovuto restare a casa che a lavoro. Da quel momento ha contato le volte in cui suo padre accumulava sbronze, su sbronze. Ha contato le volte in cui arrivava nel cuore  della notte su di giri, con l'unica intenzione di procacciarsi una bella lite coniugale. Prima, c'era silenzio. Poi, sono cominciati i rumori. Colpi sordi. Cocci a terra. Sedie. Luna, da quel momento, ha scoperto come un taglio potesse calmare la paura che le scorreva sottopelle, come se con il sangue scivolasse via -da lei- anche il dolore. Man mano accumulava tagli sulle braccia, prima il destro, il sinistro, sulla nuca, sulle cosce, sui palmi, sui fianchi. Scriveva, così, la mappa segreta per raggiungere un mondo segreto dove esisteva solo lei e tutto quello che le piaceva. La sua malattia mentale, silenziosa. Subdola. Fedele. Un giorno, il riflesso che lo specchio le ha schiantato in faccia la trasformazione che stava subendo, si è sorpresa più per il fatto che non ricordava l'ultima volta che si era vista, che per le cicatrici che la stavano divorando. Non ha mai saputo dire se, quel giorno, avesse provato paura, dolore, preoccupazione. Luna ha cominciato a parlare, a raccontare, a dire. Più svuotava il sacco, più si sentiva leggera. Luna parlava con il mondo invisibile che colonizzava la sua testa. Ha avuto il primo attacco di panico durante una manifestazione scolastica, è rimasta a terra per ore, pietrificata, seppellita da respiri che le sbranavano i battiti cardiaci. Infine, buio.

In to. Il caos è un animale silenzioso.Where stories live. Discover now