Capitolo 1 (parte due)

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Finita la lezione, sgattaiolai fuori come per la lezione precedente. Quella volta non mi fermò Patrick, fortunatamente, ma Danny. «Ehi, Krystal, aspetta un secondo...» disse, allungando il passo per raggiungermi. «Mi potresti indicare la strada per arrivare al laboratorio di chimica? Da questa cartina non si capisce nulla...» mi chiese un po' imbarazzato, girando all'incirca cinque volte la cartina che teneva ben salda tra le mani.

Non volevo e non potevo farmi vedere in giro con qualcuno, soprattutto con un ragazzo. Patrick non mi avrebbe mai lasciata in pace. Mi sarei marchiata da sola per il resto dell'anno.

«Io... ehm... d-dovrei...» borbottai.

Ma mi bloccò subito, dicendo: «ti prego, non voglio fare una brutta figura all'inizio...»

E ora?

Tutti i miei piani se ne stavano andando a farsi fottere. Essere gentile o fare la stronza per togliermelo dai piedi? Cavolo, non sapevo cosa fare.

Il panico cominciò a salirmi nuovamente e il respiro si fece pesante. Maledissi in silenzio la mia ansia.

«Ok» conclusi, facendo ben tre respiri profondi. Avevo deciso di aiutarlo, semplicemente perché, se fossi stata nella sua stessa situazione, mi avrebbe fatto piacere che qualcuno mi indicasse la strada, visto che il mio orientamento non era dei migliori. Anzi, il mio orientamento era più che pessimo, perché non esisteva proprio.

Mentre camminavamo per arrivare all'aula di chimica, che si trovava dall'altra parte della scuola, Danny iniziò a farmi domande, spezzando quel silenzio imbarazzante che si era creato lungo il tragitto. «Sai per caso se ci sono degli autobus che passano in Lincoln Street o da quelle parti?»

Pensai di aver capito male: era la mia stessa via! Mia madre mi aveva raccontato che in fondo alla strada si era appena trasferita una nuova famiglia. Era la sua allora, non c'erano dubbi.

«Sì... la fermata è proprio fuori dal cancello della scuola...» spiegai. «Però passa dopo mezz'ora...» aggiunsi dopo un paio di secondi e cominciai a stringermi forte la mano per l'ansia. «Quindi fai prima a tornare a casa a piedi.»

Avevo tutte le mani rovinate: non mi facevo mai lo smalto, perché mi mangiavo le unghie per il nervoso e lo stress. Erano sempre screpolate, soprattutto durante il periodo invernale, e, secondo il mio umile parere, avevo le dita leggermente storte, in particolare i mignoli.

«Oh...» fu la sua reazione. «E come fai a sapere che arriva sempre dopo? Prendi quell'autobus?» cercò di indagare.

«Io vivo in quella via...» dissi a bassa voce, sperando non mi sentisse. Ma non fu così, aveva capito benissimo.

«Davvero? E dove?» chiese incuriosito, ma non lo guardai in faccia, perché abbassai lo sguardo sul pavimento.

«Sì... al 32...» ammisi.

«Oh, wow! Io abito al 35... Ma è fantastico!» esclamò, facendo un sorriso a trentadue denti.

«Già» risposi, cercando di mostrare entusiasmo, che proprio non trovavo.

Arrivati a destinazione, l'aula di chimica, mi ringraziò e mi salutò con un sorriso riconoscente.

*

Il resto della giornata, per buona sorte, proseguì senza vedere Patrick e l'insegnante di storia non chiese nemmeno i compiti che ci aveva assegnato per le vacanze, i quali non avevo indubbiamente fatto.

Finalmente suonò la campanella, che segnava la fine di quella lunghissima e faticosa giornata. Uscii a passo svelto per non incontrare né Patrick né Danny, ma mi sentii toccare la spalla, facendomi scendere un brivido lungo la schiena.

AurigaWhere stories live. Discover now