Commento al film È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino

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E' stata la mano di Sorrentino

Da quando è uscito, il film di Paolo Sorrentino produce un tasso di discussione elevatissimo, di gran lunga superiore ad altre pellicole uscite di recente. Questo è un bene, un effetto che solo un grande artista può provocare, anche se talvolta è criticato. Un'autobiografia? In parte, ma non solo. Il dichiarato scopo di raccontare se stessi è solo parte della sostanza narrativa. A volte, come accade in questo caso, si declina un racconto autobiografico riuscendo a toccare l'universale; spesso succede invece il contrario, si pensa di trattare temi universali e invece ci si riduce a guardare la punta dei piedi.
La storia è lui, l'uomo. Nient'altro. Era impossibile costruire una narrazione su un solo personaggio, e Paolo Sorrentino c'è riuscito, alla faccia di chi considera il film lento e vuoto. Il regista ha danzato sull'orlo del baratro quanto il ragazzo diciassettenne, che se non avesse avuto un'urgenza interiore così profonda avrebbe, forse, seguito le orme del contrabbandiere. Nel film il ricordo personale, poeticamente trasfigurato, non è mai eccessivo, aleggia con garbo, accompagnando il viaggio di un eroe apparentemente scalcinato, ma invece compatto quanto le cose che tiene da dire.
La diagnostica per immagini del film è unica, evocativa, fervida. Non c'è un solo scatto che non ne suggerisca mille altri di luoghi, situazioni, location di divertimenti e conflitti di una generazione che non si curava di granché e pensava che il mondo le sarebbe stato servito a colazione. Lo snodo del film ruota intorno ad un unico pensiero: avere la capacità di trasformare una disgrazia in opportunità, di trovare un orlo di vita da mordere, di prendere un tram al volo, di vincere la paura di dover bastare a se stessi, per tutto il tempo, anche quando ci sono migliaia di persone intorno ma sai che l'apparenza inganna. Essere soli è il tappeto su cui scivola chi entra nel film, e Napoli è la sede naturale per vivere e oltrepassare la solitudine. Alla fine del tunnel c'è il luogo della sublimazione, che esiste per tutti  ma per chi vive a Napoli vale doppio, perché dalle nostre parti i posti sono quello che sono. Parlano, e non li può smentire nessuno. Secondo Elias Canetti c'è una sola tensione legittima: la vicinanza del presente e la forza con cui lo si respinge da sé. E ancora: non si può fare nulla, ci si può lamentare oppure si può diventare migliori. Proprio questo è il dilemma, che poi corrisponde alla frase recitata davanti al teschio dal principe di Danimarca. Un napoletano che torna a Napoli per dimostrare come un uomo, da solo, possa realizzare i propri progetti anziché perdere tempo a lamentarsi è cosa preziosa. Insegna molto anche a noi, a quelli che fuori e dentro le Istituzioni dicono che non cambierà nulla perché non hanno la forza di cambiare loro. E non tengono nient'altro da dire. Quella generazione, comprensiva di  dotti, medici e sapienti alla Edoardo Bennato, ha voglia di mettersi in gioco o le basta perpetuare il passato? Sono cambiati gli strumenti, l'informatica, la comunicazione viaggia nella fibra ottica, le chat di whatsapp volano nell'aria ma non è tutto amore, il webinar conquista il centro dell'attenzione ma alla fine la sostanza non cambia. La grande assente è l'attitudine a mettere in gioco se stessi, e nel contempo a riconoscere il valore altrui, con onestà intellettuale, per far progredire tutti. Questo si coglie nel film: la mano di Dio diventa quella di Capuana che stimola, aggredisce, rimprovera e in tal modo invoglia un giovane a guardarsi dentro anche se lui, il regista affermato, non avrebbe alcun bisogno di mettersi ad aiutare un piccoletto. Un mentore che stimola, un preparatore atletico alla vita non tutti ce l'hanno. Non si sa se l'hanno avuto quelli nati negli anni settanta e ottanta, che in televisione guardavano Heidi e Jeeg Robot quando si approvavano riforme importanti come lo Statuto dei lavoratori, la legge sui rapporti patrimoniali tra coniugi, la riforma del sistema sanitario e la legge Basaglia; quando la magistratura fronteggiava il terrorismo, iniziava il contrasto alla mafia e avviava il primo maxi processo; quando l'affaire Moro sbriciolava anime e politica e dopo qualche anno un segretario di partito moriva tragicamente durante un comizio; quando a Napoli dominava tristemente il caso Cirillo. Paolo Sorrentino ha dimostrato che si può avere qualcosa da dire anche nell'apparente calma piatta e indifferenza di un contesto che non si cura di te; ha chiarito che ciascuno ha il suo destino se è capace di cercarselo. Ad alcuni servirebbe davvero un po' di autentico spirito autocritico e di capacità di soffrire mettendosi in gioco veramente, con senso etico e spirito di servizio scevro da narcisismi. Speriamo. Magari il 2022 porta qualcosa di buono.
Linda D'Ancona

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⏰ Last updated: Jan 08, 2022 ⏰

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