30 SETTEMBRE

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Sono passate circa tre settimane dall'incontro con Fujiwara. Devo essere sincero, non sono quasi più tornato in quel giardinetto e, se ci andavo, solitamente era notte fonda, quindi non c'erano molte possibilità di trovarla.

Sono le dieci passate. Qualche giorno fa è ufficialmente cominciato l'autunno, le temperature hanno già iniziato a scendere. Quando sono uscito, stamattina, non ho neanche pensato di portarmi dietro una giacca o una felpa. Ho qualche brivido.

Mi appoggio alla solita ringhiera, vicino ad un lampione la cui luce si interrompe ogni tanto. Sfilo l'accendino e il pacchetto di sigarette dalle tasche. È il momento della mia mezz'ora di tranquillità.

Accendo, inspiro, espiro. Facile, semplice. Continuo. Mi passo una mano tra i capelli. Sono arruffati, più del solito, a causa della mini rissa in cui mi sono imbucato qualche ora fa.
Non c'è un motivo per cui io l'abbia fatto, mi annoiavo e basta. Ho preso un paio di pugni in faccia e sul torace, nulla di che, in sostanza.

Sfiorandomi uno zigomo sento un leggero dolore. Domani mi apparirà un livido che andrà via in una settimana, anche meno. Girando la mano sinistra, ho qualche graffio e taglietto sulle nocche: stesso tempo. Non sono profondi, non rimarranno segni o cicatrici.
Ormai sono diventato bravo.

Non ho voglia di controllare se ho macchioline di sangue sulla maglia o sui jeans. Qualora ce ne sia qualcuna, me ne occuperò dopo, appena tornerò in quel buco chiamato casa.

<<Hanma>> è una voce ad interrompere i miei pensieri. Viene dall'alto e, di riflesso, alzo la testa, guardando verso i corridoi esterni dei condomini. La vedo. È al quarto piano dell'edificio alla mia destra. I capelli sciolti fluttuano mossi dalla brezza di inizio autunno e lei tende una mano verso l'esterno, come se volesse salutarmi. <<Ora scendo!>> urla, poi, un crescendo di passi.

<<Potevi chiamarmi, no?>> mi dice, ancora con il fiatone per la corsa fatta scendendo le scale. <<Non so dove abiti, o meglio, a quale campanello devo suonare>> rispondo con nonchalance, scrollando un po' di cenere dalla sigaretta.

<<Appartamento tre, piano cinque>> parla mentre fruga nelle tasche dei pantaloni, cercando il suo pacchetto di sigarette.
<<Poco fa non eri sul quarto?>> domando io, inclinando la testa verso di lei.

La ragazza annuisce. <<Ti ricordo però che in molti palazzi non esiste il quarto piano>> ghigna dopo, appoggiandosi una cicca sulle labbra. <<È per la superstizione>>.

Vero, la superstizione. In giapponese, il quattro si leggerebbe come la parola "morte", nel parlato si usa un'altra pronuncia. È da lì che nasce il mito secondo cui il quattro porti sfortuna.

<<Parlando di numeri, anche Dostoevskj aveva delle sue teorie sul numero quattro, lo cita varie volte in "Delitto e Castigo", poi farà una sorta di teoria in "Memorie dal sottosuolo", se non ricordo male>> continua Fujiwara, guardando verso il cielo.

<<Non l'ho letto, ma forse ce l'ho in libreria>> scuoto le spalle. <<Di che parla?>> chiedo, sapendo già che ignorerò quasi del tutto la risposta. Ho fatto una domanda di cortesia, come si suol dire.

<<È complesso come libro, nonostante sia abbastanza corto. Un personaggio principale raccoglie tutte le sue riflessioni riguardo a temi sociali, politici ed altro in una sorta di dialogo diretto con chi sta leggendo. Poi parla anche di alcune cose che ha fatto in passato e di cui sente i sensi di colpa.>> racconta, io non la fermo. <<C'è anche un ragionamento filosofico dentro, che mette in contrapposizione le leggi di natura con la volontà individuale. Sappiamo che due per due fa quattro, ma se a qualcuno non dovesse piacere? Se qualcuno dicesse due per due fa cinque e lo rivendicasse come vero? Sarebbe la vittoria dell'individualità>>.

10 RAGAZZE | Hanma ShujiWhere stories live. Discover now