9. Alibi.

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«Sono tornata» Ayako annunciò alla famiglia la propria presenza in casa.

Era di ritorno da un altro caotico pomeriggio da manager di basket, quindi poteva comprendersi bene quanto la sua testa somigliasse ad un tamburo suonato da un musicista rintronato che non chiudeva occhio da due settimane.

Con i muscoli smorti, aveva solo l’ardente desiderio di compiere tre semplici cose: rilassarsi con un bagno caldo, poi di nuovo nel suo soffice letto e per ultimo fare i pochi compiti che i professori le avevano lasciato.
Si sentiva già rigenerata a pensasi dentro la vasca da bagno circondata dall'esclusivo balsamico odore del bagnoschiuma, ma nel momento in cui la madre si catapultò all'entrata di casa, Ayako comprese che la loro famiglia era stata nuovamente appestata da un insalubre malaugurio.

«Mamma» disse sentendo vibrare la gola.
Si stava togliendo la scarpa sinistra, bloccandosi a metà azione, quando si era accorta dello stato pietoso in cui stava navigando l’anima della madre: il suo volto inondato di lacrime sembrava fatto di cera sciolta e urlava di una sofferenza inesprimibile, le mani congiunte al petto, la scongiuravano di correre immediatamente verso il soggetto per il quale lei si struggeva tanto.

«No» pronunciò coincisa.
Il campanellino di allarme stava trillando così forte da potergli squarciare il cervello in due.
Solo un avvenimento poteva essere indice di quella sua condizione tristemente sconvolta ed era la stesso per cui l’aveva vista dolersi l’ultima volta.

«No. Non di nuovo» inveì risalendo la scalinata conducente al piano di sopra.
Ti prego fa che stavolta il mio intuito ha fatto cilecca”.
Ragionava nel mentre che percorreva i meandri del corridoio.

Non poteva essere possibile. Saeko pareva aver risolutivamente superato quel suo orrido periodo di depressione.
Adesso tingeva i suoi sorrisi di gioia, aveva un compatto gruppo di amici e si era persino presa una cotta per qualcuno.

Non poteva essere che fosse ricaduta in quell'oblio nero. A meno che.
Le palpebre dei suoi occhi si stirarono per potersi spalancare totalmente.
No. Non può essere”.

Ayako, si rafforzò lo spirito giunta davanti alla porta della stanza della sorella, già pronta con il braccio ad aprirla.

Non attese oltre. Non si pose delle altre domande inesplicabili.
Facendosi coraggio, la accostò al muro di libri con pacatezza e identificata la sorella rannicchiata in posizione fetale nel letto, il corpo mosso da intermittenti tremori, realizzò che avrebbero passato delle giornate terribili.

«Saeko» la chiamò poggiando cautamente il piede sul pavimento per paura di procurare un forte attacco di spavento alla gemella.
Ma la reazione di Saeko, fu ad ogni modo inimmaginabile.

Reagendo all'enunciazione del suo nome, si voltò di scatto verso la sorella – il volto impaurito inamidato dal sudore, gli occhi arrossati dai singhiozzi strazianti - di colpo poi, inaspettatamente, si sollevò dal materasso per gettarsi in ginocchio ai piedi di lei e stringerla alla vita in un abbraccio traboccante di un'inconsulto pianto emotivo.

L’empatia inalterabile dovuta al loro legame gemellare, quel loro elastico, indistruttibile legame che aveva superato flussi di complicazioni intransitabili, macigni di astruse tristezze, stava assorbendo parte del suo dolore, facendogli desiderare di mettersi anche lei in ginocchio per scoppiare a piangere sulla spalla della sorella.

Quasi le sembrò di sentire il pavimento sotto di lei defluire come acqua di cascata e farla piombare dentro una voragine oscuratamente tossica.
Ma non cedette all'invito di condividerne la tortura.
Una delle sue doveva essere consapevolmente forte, inesorabilmente protettiva, quindi spettava a lei assumere le redini di questa pregevole autorità.

Change my rules | Slam Dunk FanfictionWhere stories live. Discover now