𝟏𝟗. 𝐀𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐦𝐢

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Bea aveva tenuto per tutto il tempo le dita incrociate mentalmente affinché una volta concluso l'allenamento se ne andassero finalmente via da lì, lontano da tutti quegli occhi curiosi e da quel vento che secondo dopo secondo diventava sempre più fastidioso e meno sopportabile; allo stesso tempo, però, sapeva bene che era solo una sua speranza vana perché figurarsi se i suoi amici si sarebbero mai lasciati convincere a tornare a casa senza aver prima rubato qualche scatto e qualche autografo ai calciatori.

Bryan era stato molto gentile, le aveva proposto di aspettarli in macchina se non aveva più voglia di rimanere in piedi, ma Abbey si era opposta – non l'avrebbe lasciata andare via ora che le cose iniziavano a farsi più interessanti –, l'aveva tirata per un braccio e adesso erano entrambe stipate contro le transenne, a guardare i giocatori fare il giro del campo per cercare di salutare quanti più tifosi possibile.

«Non ci posso credere, non ci posso credere», aveva continuato a ripetere Michael per tutto il tempo e Bea capiva perfettamente il suo stato d'animo: per quante volte fosse stata allo stadio nella sua vita, per quante volte avesse visto quegli stessi calciatori attraverso uno schermo – tante che i loro volti si potevano oramai definire famigliari –, essere lì e averceli tutti a una distanza così insignificante, che tra non molto si sarebbe ridotta ancor di più, facendola trovare faccia a faccia con ciascuno di loro, non sembrava reale, era come osservare se stessi e la scena dall'alto, da spettatore esterno.

«Ragazzi, avete una penna?» domandò Bryan tutto trafelato. Era strano vederlo così, quell'agitazione ce l'aveva addosso solo durante i calci di rigore, nient'altro era in grado di metterlo in quello stato. «E un foglio.»

Bea guardò il gruppo e si rese conto di essere stata l'unica a prendere con sé la borsa invece di lasciarla in macchina come intelligentemente era stato fatto dai suoi amici.
«Ti passo tutto io», gli disse.

«Grazie, Bea, ma sbrigati che stanno arrivando verso di noi.»

Si chinò a frugare nella sua enorme borsa di tela e come le succedeva ogni volta la cosa di cui era alla ricerca era anche l'ultima a lasciarsi scovare.
Un pezzo di carta l'aveva trovato subito, avrebbe usato uno dei quaderni di appunti e poi avrebbero tagliato le pagine, ma dell'astuccio neanche l'ombra, sicuramente doveva essere finito sotto ai libri; sarebbe stato più facile se avesse potuto tirare tutto fuori per recuperare le penne che, ovviamente, erano finite sul fondo, ma in quella circostanza non aveva dove appoggiarsi, quindi continuò a frugare con una mano mentre con l'altra teneva la borsa.

Le arrivò una gomitata imprevista che la fece sbuffare ed esclamare: «Un po' di calma, arrivo.»
Ma quando il gesto si ripeté una seconda volta, perse definitivamente la pazienza. «Cristo!» sbottò alzando lo sguardo, le dannate penne finalmente tra le mani.

«Bea», la richiamò Abbey.

Si voltò verso di lei. «Hai finito di lanciarmi gomitate a caso?»

Questa non disse niente, le labbra tirate in un leggero sorriso, le fece solo un cenno con gli occhi, muovendoli appena alla sua destra.

Tutti i giorni della mia vitaWhere stories live. Discover now