10. Lo Specchio infranto

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Tenuta dei Johnmark - Notte del 15° giorno del 7° mese dell'anno 842° - Era Waruliam


Sentì qualcosa di soffice sotto di sé. Era terra mista a erba incolta, poté capirlo dal tocco leggero delle sue dita. Gli steli più sottili di festuca le accarezzavano delicatamente le guance, mentre l'aria limpida della sera le riempiva i polmoni. Di nuovo quella pace. Di nuovo la leggerezza di poter aprire gli occhi senza il timore di rivedere la sua vita, mentre il cielo serale si faceva abbracciare dai primi richiami della notte. Solitaria, nel silenzio pacifico di un terreno che non vedeva orizzonte. Non come l'incubo ricacciato nei meandri più occulti della sua memoria. Il profumo della natura era tinto dalla nota fresca e fragrante dell'erba. Si, poteva richiudere gli occhi, continuare a bearsi della quiete che non osava desiderare ad alta voce. Poi giunse un lampo improvviso, e quel riflesso luminoso le fece stringere le palpebre poco prima di azzardare un'occhiata curiosa. Si sedette, posando le mani dietro di sé e inclinando la schiena. Incurante di qualsivoglia traccia di sterpaglia che potesse essersi fatta avviluppare dai suoi capelli bruni. Sebbene i sensi fossero ovattati dall'abulia, il placarsi improvviso degli spiragli d'aria fresca le diedero l'impulso di guardare il cielo. Nubi immobili e fitte implodevano di lampi dorati che non s'azzardavano ad abbandonare la coltre. Vedeva solo un lucore pulsante, a tratti. Un ritmo incalzante e in crescendo che gonfiava il nugolo attraendo altri nembi. Aveva sempre pensato fosse il vento a trascinare gli strati candidi che obnubilavano il Sole, ma l'aria era ferma. L'erba, immobile. Non c'era nulla da temere nella visione che si dipanava davanti ai suoi occhi, questo fino all'istante in cui un boato non vide incendiare l'ellissi che si stava formando nel cielo. I lampi s'arrossarono come tizzoni ardenti, e al centro di quella forma innaturale qualcosa squarciò il candore delle nubi. L'incognita si schiantò nel terreno di fronte a lei, talmente distante da farle ammirare con curiosa apatia una cupola d'aria, terra e polvere, protendersi al cielo. Il lampo di luce le fece distogliere lo sguardo chiudendo gli occhi, e fu talmente rapido da ricordarle il monito del lampo prima del tuono. Tutto tacque. Azzardò un'occhiata mentre il buio calava come un'alitata bollente durante l'estate. Nella calma d'improvviso avvertì tremare la terra. Quel rombo cavalcante la raggiunse con una violenta sferzata d'aria che la fece ripiombare distesa, imponendole di rotolare su un fianco a rannicchiarsi, proteggendosi in posizione fetale.

«Samsara...»

Aprì a fatica gli occhi per poi richiuderli di scatto. Anche la minima fonte di luce, per quanto tremula provenendo da dei candelabri, le urtava la vista. S'accorse di tenere la testa fra le braccia, avvoltolata nella morbidezza di coperte troppo pregiate per lei. Aveva la bocca impastata. Le tempie pulsavano come sempre dopo i suoi incubi. Il suo piccolo paradiso di pace era stato innaturalmente violentato dai lampi e dai tuoni, ma non riusciva ancora a scindere la realtà dal sogno. Avvertiva ancora il rombo. Sentiva le orecchie fischiare, tramutando la voce femminile che l'aveva appena chiamata in un sottotono fastidioso. Mugolò, infastidita.

«Come ti senti?» Sussurrò Hilde.

Un movimento sotto di sé, nella morbidezza del materasso, le fece avvertire l'impressione che qualcuno le si fosse seduto accanto. Pian piano osò riaprire gli occhi per cercare di individuarla. Rimase a palpebre socchiuse facendo lentamente scivolare le mani verso il basso. La moglie del Langravio la osservava dall'alto, con la luce soffusa delle candele che enfatizzavano la crespina dorata attorno ai suoi capelli. Il volto era parzialmente in ombra, tanto da darle la possibilità di riconoscerla soltanto da voce e occhi.

La sentì accarezzarle il viso con il dorso delle dita, ma avvertì altrettanto intensamente il freddo metallo degli anelli che gliele cingevano.

«Mi hai fatto spaventare».

I Ritratti di SamsaraWhere stories live. Discover now