1. Quella porta aperta

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Volare agili e leggeri dentro la città, all'ombra dei palazzi. Seguire dall'alto il tracciato delle strade deserte e voltare sospesi gli angoli degli edifici.

Giungere nelle piazze assolate dove poter ascoltare solo le cicale insistenti e lo scorrere dell'acqua delle spopolate fontanelle.

Poi risalire verso un cielo tanto luminoso da scorgerne appena il tenue celeste, ormai diffuso e sbiadito in un bianco chiarore, simile a quello degli stralci immobili delle nuvole. E volare allora sopra la città e riguardare quelle case, improvvisamente piccole e remote e vedere lontane nubi, dense e grigie...

E allora riscendere velocemente, in picchiata, e soffermarsi di nuovo, costeggiando le serrande abbassate dei negozi, argentee e arroventate da un sole ancora implacabile.

Scrutare le imposte chiuse di abitazioni buie, silenziose e solitarie, che attendono di riaccogliere fra qualche giorno chi ora le ha dimenticate e, con la pelle umida ed insabbiata, chiacchiera animatamente in un chiassoso bar sulla spiaggia, scegliendo un gelato con le mani poggiate sul vetro di un congelatore, tra voci squillanti, musica e il continuo tintinnare di tazzine, cucchiaini e piattini.

Continuare a volare nel pacifico silenzio cittadino, scrutando le finestre, e scorgerne una socchiusa... avvicinarsi, sbirciare e decidere di entrare, come un piccolo insetto.

Nella tiepida e muta penombra della stanza, una ragazza apparentemente giovanissima sta dormendo abbandonata. Il chiaro colore delle lenzuola assume il tenue verdognolo della tenda che filtra la scarsa luce del sole penetrata dallo spiraglio delle imposte accostate. Un cellulare è buttato sul cuscino, accanto a lei.

Il leggero brusio di un ventilatore ai piedi del letto ed il tic tac di un rotondo orologio da parete coprono il respiro lento e leggero del sonno.

I suoi capelli sono scuri, cortissimi e sottili. È minuta, sembra una bambina, una bambina vivace. Ma il suo copro è femmineo e sinuoso. La pelle è leggermente abbronzata e delicatamente profumata del latte rinfrescante dopo sole.

A terra è abbandonata una leggera borsa di tessuto semiaperta ed un grande asciugamano colorato è ammucchiato sul davanzale della finestra, alcuni vestiti sono appoggiati disordinatamente su una sedia davanti ad una scrivania, nascosta da libri aperti, fotocopie, fogli scritti e residui di gomma da cancellare. Dal bagno si sente il lieve gocciolare di un costume appeso alla cipolla di una doccia ancora bagnata e spolverata da rari granelli di sabbia.

Lei deve essere appena tornata dal mare. Quel mare giornaliero, vicino alla grande città, raggiungibile in poco tempo con il treno e frequentato da chi non è ancora andato in vacanza o non ci andrà.

È un po' presto però per essere già rincasati dal mare, non sono nemmeno le tre del pomeriggio ed è sabato 20 agosto... Aspettare...


Un brivido le corse sulla schiena e si svegliò, ritrovandosi raggomitolata sotto le lenzuola, in una stanza più buia di quanto dovesse.

Ruotò inquieta lo sguardo verso l'orologio appeso alla parete: erano quasi le cinque e mezza. Per un pelo non aveva fatto troppo tardi.

Allora si sollevò e gattonando stordita sul letto arrivò a spegnere il ventilatore, mentre un tuono rimbombava all'esterno. Scese pigramente ed a piedi nudi raggiunse la leggera tenda, la scostò, poggiò a terra  l'asciugamano ammonticchiato sul davanzale ed aprì la finestra.

Il tempo era decisamente e velocemente cambiato. Ora il cielo era scuro, carico della pioggia di un prossimo acquazzone estivo ed un vento fresco indisciplinato faceva svolazzare le cartacce gettate in strada.

Sabato 20 agosto. PioveWhere stories live. Discover now