O2. 𝑃𝑢𝑟𝑔𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖𝑜

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( TW: Cicatrici, ospedale )


Dopo il buio

la luce mi acceca.

È questa

la morte?

È questo

il paradiso?

Non so se sperarlo.

Apro gli occhi e mi guardo intorno. Sono circondato da muri bianchi e spogli. Alla mia sinistra una grande finestra permette alla luce del sole di entrare nella stanza. Nonostante essa sia sufficiente per illuminare il piccolo spazio, sul soffitto sono accese delle grosse luci così accecanti da sembrare fari. Muovo le dita della mano sinistra e appena le allungo sento un dolore diffondersi in tutto il braccio. In un primo momento è così forte che devo stringere le dita intorno alle lenzuola. Aspetta, lenzuola? Abbasso gli occhi e scorgo il letto su cui giace il mio corpo esile. È alto, il materasso rigido, le lenzuola di un verde pastello molto chiaro, una coperta bianca è poggiata su di me in modo da coprire le gambe e l'addome. È senza dubbio un letto di ospedale. Visto che muovere la mano sinistra mi fa male, faccio uso della destra per scostare il lenzuolo. Spostandomi noto che un piccolo tubo parte dal polso per arrivare ad una sacca piena di liquido. Mi soffermo su di essa per alcuni secondi, poi decido di non preoccuparmi troppo e riporto l'attenzione sull'altro avambraccio. Una lunga cicatrice lo attraversa, segno che prima c'era un taglio. È stato ricucito per bene a partire da sotto il gomito fino ad arrivare al polso. Resterà per molto tempo.

In fondo

il dolore più forte

è inflitto dalle ferite

che lasciano il segno.

Un fiume di domande si fa largo nella mia testa. Perché sono qui? Da quanto? Perché? Come mi sono fatto quella ferita? Mi guardo nuovamente intorno in cerca di qualcuno che mi possa dare una spiegazione e solo allora noto la poltrona nell'angolo in fondo alla stanza. Su di essa dorme tranquilla una donna, i capelli castano scuro le ricadono sulle spalle in morbide ciocche ondulate. Le labbra sono colorate da un rossetto rosso acceso e spiccano sul viso dalla pelle chiara. Ha le palpebre chiuse, ma sembra stressata. Ha un'espressione corrucciata e la pelle tirata la fa sembrare abbastanza vecchia, cosa che sono sicuro non sia. Una strana sensazione mi assale, è come se panico e sollievo si mischiassero insieme in uno strano e armonioso contrasto.

"Mamma"

mormoro,

poi ricordo.

Lei non c'è più,

mi ha abbandonato.

La donna apre gli occhi di scatto e mi sembra di venire travolto da una bufera. Sono blu, un blu scuro come la notte, un blu che mi aveva impedito di cadere così tante volte che è impossibile contarle. Quell'inconfondibile blu profondo che conoscevo così bene. So che è strano, so che di solito l'amore viene associato al rosso o al rosa, ma per me l'amore è blu. È blu come quegli occhi. Solo che qualcosa non torna. Non sono gli stessi che conosco io. Il cielo in quegli occhi è privo di stelle. È solo scuro. Niente scintille luminose. È un cielo triste. Un cielo da cui presto scenderà la pioggia. E così succede. La donna inizia a piangere, grosse lacrime le scendono lungo le guance bagnandole. Corre verso di me, mi abbraccia, e quelle lacrime colano sul mio corpo, impregnano la coperta della loro tristezza tanto che il suo peso mi schiaccia il petto. "Jake" Mi chiama tra i singhiozzi.

Giusto,

Jake

è il mio nome.

Ma lo odio.

"No", dico. Lei mi guarda confusa. Non capisce. Non può capire. Faccio un lungo respiro e provo a far uscire le parole dalla mia bocca. "Non voglio essere Jake. Jake è il nome che mi hanno dato i miei genitori" spiego. La donna sorride, è un sorriso sollevato, come se per un momento avesse avuto paura che il no fosse riferito a lei. "Ma certo, va bene, come vuoi essere chiamato?" Ora che me lo chiede mi accorgo di non averne la più pallida idea. La guardo negli occhi, ma non mi viene in mente niente. "Non lo so" Ammetto. Lei mi accarezza la testa, passa la sua mano tra i miei capelli neri spostando il ciuffo che mi copre in parte la visuale. Ora ha un'espressione dolce, sembra quasi che in me veda un figlio. Ma io non sono suo figlio. Chi è allora suo figlio? "Sei la mamma di Adrien?" Chiedo, e lei annuisce lentamente, la malinconia negli occhi scuri. "E dov'è lui?" Indago ulteriormente. Il sorriso della donna si spegne. "Non è qui ora" è la sua risposta. Vorrei dirle che quello mi sembra ovvio, vorrei farle altre domande, ma qualcosa in lei mi dice che è meglio se non proseguo. Ci guardiamo per un po', imbarazzati, senza sapere cosa dire, poi lei si alza. "Vado ad avvisare la dottoressa che sei sve-" Le afferro il polso, bloccandola. "Vuoi essere anche la mia mamma?" Chiedo, pieno di speranza. Lei sorride di nuovo, e in quel sorriso c'è tutto ciò che ho visto nel corso di quei minuti. Malinconia, dolcezza, tristezza e amore sembrano essere tutti nella stessa persona. "Ma certo" Mi rassicura, e mi lascia solo. Di nuovo.

Qualcuno entra.

"Mamma?"

No, non è lei.

Sembra...

sembra Adrien.

Ma non è neanche Adrien.

Non può esserlo.


Adrien è morto. 


( 856 parole )

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 27, 2022 ⏰

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