Tatuaggi e cicatrici

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Simone è impaziente, non vede l'ora di sbarazzarsi del tutore e la mattina del suo appuntamento in ospedale tempesta Manuel di messaggi in cui esterna tutta la sua gioia.

Da qualche ora però quest'ultimo non ha più notizie dell'amico. Gli ha scritto una decina di messaggi, l'ha addirittura telefonato, senza mai ricevere risposta. Avrebbe voluto accompagnarlo ma l'hanno costretto ad andare a scuola piuttosto, quindi alla fine, visto che Simone non sembra volergli rispondere, dopo qualche ora bussa alla porta della sua camera.

«Oh»

Non il più elegante dei saluti, ma è stato in apprensione l'intera giornata ed ora vuole solo capire perché l'altro non gli abbia risposto. Scrutandolo, non gli sembra ci siano problemi, anzi, dopo più di un mese vede il suo braccio libero e gli sembra di respirare meglio, tanto è sollevato.

«Ma te non bussi mai Manu?»
«E te non rispondi mai Simo?» ribatte, agitando il cellulare all'altezza del suo viso.

Gli viene da sorridere ma quando incrocia i suoi occhi velati di lacrime quel sorriso si piega come uno stomaco colpito da un pugno ben assestato.

«Che c'è? Oh, che è successo?» domanda, ed il fatto che Simone sia seduto alla scrivania e lui sia in piedi non lo aiuta, quindi si siede sul suo letto e con la mano lo trascina più vicino a sé, grazie alla sedia girevole, facendolo girare verso di lui.

Ora sono alla stessa altezza. «Mi dici che c'hai? Mi sto preoccupando Simò» sussurra, come se un tono leggermente superiore potesse ridurre l'altro in frantumi, tanto gli sembra delicato e indifeso.

Nell'attesa che Simone risponda, cerca di prendergli il braccio ormai scoperto, per accarezzarlo, ma lui lo ritrae, come scottato.

«Simone» lo esorta, lasciando poi che le mani gli ricadano in grembo.

Simone finalmente parla, ma lui non ci capisce molto. «La vedi?» sente solo, e no, non vede nulla.

«Cosa Simo?»
«La cicatrice, guarda»

A quel punto le lacrime a fatica tenute prigioniere dalle palpebre di Simone sgorgano libere, scivolando lungo quel viso che Manuel vorrebbe proteggere da ogni male, se solo potesse.

È quando ne sente una bagnargli il dorso della mano che decide di fare qualcosa.

«Viè qua» dice, e con una mano lo tira su di sé, finché non è ben posizionato sulle sue gambe, petto contro petto, abbracciato stretto a lui, seduto in punta al materasso.

Nessuno dei due in quel momento si cura del fatto che quella situazione è decisamente inusuale per due migliori amici, continuano semplicemente a bearsi del calore e dell'odore del corpo dell'altro, in silenzio.

«Che c'è Simò?» prova a chiedere Manuel, con la bocca all'altezza dell'orecchio di Simone, incastrato nel suo collo.

Gli sta bagnando sia la pelle che la maglietta con le lacrime, ma è l'ultimo dei suoi pensieri. Vorrebbe solo trovare un modo per farlo smettere di piangere, ma non sa neanche perché stia piangendo in primo luogo.

«Tutti abbiamo delle cicatrici, perché te fa tanto strano?» cerca di domandare, e quel quesito qualche effetto sembra sortirlo, perché Simone si sposta, mettendosi ora a sedere accanto a lui.

«Ogni volta che la vedo, penso a Jacopo, penso all'incidente, che mi mancherà sempre qualcosa, che non ne valgo la pena per nessuno» spiega, leggermente affannato a causa del pianto.

È istintivo per Manuel intrecciare la mano con la sua, accarezzando proprio quella cicatrice con il pollice.

«A me piace un sacco lo sai Simò?» dice, e l'altro sbuffa una risata.

ya'aburnee ― simuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora