In Memoria Viri

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Carta, inchiostro, libri rovinati dal tempo, matite, risme di fogli erano posti disordinatamente sul tavolo in legno di tasso, e una flebile luce forniva quell'illuminazione sufficiente a render visibili gli oggetti nella piccola camera. Sul pavimento erano sparse idee, tra le fughe v'era lo sporco di secoli d'abbandono e le pareti e gli angoli estremi dei muri erano dominati da insettini e ragnatele; il letto era sfatto e le coperte e i cuscini parevano sozzi e rovinati. I fogli gettati avevano scritte parole provenienti da luoghi lontani e le risposte a quelle lettere erano ancora in fase di stesura. Su un appendiabiti in ferro ossidato era stato messo un largo cappotto color sabbia bagnata e c'era anche un cappello autunnale. Il proprietario dell'appartamento non si vedeva da mesi e nessuno sapeva cosa gli fosse capitato. Si conosceva la sua indole a interessarsi delle faccende altrui, il suo ermetismo, il suo celiare i lavori di una vita e le sue allusioni riguardo una certa donna dagli occhi di mare in tempesta, di cui non voleva diffondere il nome- forse nemmeno lo sapeva-. È proibito venire a conoscenza di ciò che scriveva in quella stanza, chiusa a chiave ogni volta che rifletteva e rimuginava e si trastullava coi ricordi del suo passato: spesso si chiedeva perché non cambiare, rimandando a un domani la risposta. Rovinata l'anima, tentava di non uccidersi colpendo la dignità. Pare sentisse voci: c'è chi ha detto fossero i demoni in quella testa tanto bizzarra, c'è chi ha detto fosse pazzo. In entrambi i casi, i suoni lo infastidivano. Lui non ascoltava; follia, pensava. Un giorno sparì, senza lasciare traccia alcuna. E a tutti ciò stava bene, a nessuno infondo importava realmente di quell'artista incompreso. O meglio, questo affermavano tutti, senza riflettere davvero.
Lui, un giorno alla stazione, le chiese quando mai avrebbe cessato quel corteggiamento, lei rispose che mai avrebbe smesso di prenderlo in giro, perché se da una parte le conveniva perpetuare quei discorsi melensi, a lui piaceva sentirsi apprezzato, e, siccome nessuno dei due non voleva annullare tutto per una moralità mai esistita, continuarono a vedersi in segreto, come avevano iniziato quella relazione tanto logorante, corrosiva, come un cancro. Ed ecco che un dì il suo sguardo stanco si posava su di un essere piccino, un passero che cinguettava e tutto in quel canto il bello diceva. La purezza, la voce soave gli diedero l'ebrezza e iniziò a scrivere...
E quelle parole  senza una fine rimasero là dove erano nate, su quella scrivania in legno di tasso rovinato, dentro fogli ingialliti dal tempo: così volle lo stravagante poeta di cui nessuno lesse le poesie.

De MortalitateWhere stories live. Discover now