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Oggi
"Yelena", un bisbiglio poco udibile rimbombò nella biblioteca ottagonale del convento.
Yelena sognava sempre una voce che la chiamava, che le chiedeva aiuto.
"Aiutami Yelena".
"Come posso aiutarti se non ti mostri ai miei occhi?", ed ogni volta vedeva sbucare questa mano dalla penombra, e la aspettava.
"Vieni più avanti", chiedeva lei, nella speranza che riuscisse a vedere il volto del suo interlocutore.
"Non voglio che tu mi veda così".
"Non mi importa come sei", rispose lei, ed era vero. Non le sarebbe mai importato che aspetto avesse quella persona. Yelena era gentile, spesso persino con le persone che non meritavano la sua bontà. Scorgeva del bene in tutti e cercava di farlo emergere aiutandoli, per non fargli pensare che il Male fosse la via giusta. Lei sperava sempre in questo. Nessuno nasce cattivo.
"Ti prego, fidati di me...", la mano era ancora tesa.
Ed anche se lei non avrebbe voluto porre fiducia in quella voce, nonostante il suo subconscio la spronasse a non avvolgere le sue dita in quelle dello sconosciuto, ogni volta faceva il contrario di ciò che le suggeriva la parte razionale di sé e gli prendeva la mano.
Gli prendeva la mano perché, non appena la sua pelle toccava quella di lui, in lei affiorava un senso di completezza e non si sentiva più sola.
Sentire i suoi polpastrelli ruvidi accarezzarle dolcemente la mano le dava conforto: era l'unica persona, lui era unico.
Quando però entrò nella penombra con lui si accorse che pian piano stavano tutti e due sprofondando sempre di più nel buio.
"Aspetta", si girò verso la parte della biblioteca ancora illuminata, ma non vide più niente, nemmeno un filo di luce, adesso era totalmente immersa nell'oscurità.
Come se non bastasse, iniziò anche ad udire un ronzio, prima debole, che poi piano piano crebbe sempre di più, fino a diventare insopportabile, sembrava come se uno sciame di insetti le volasse intorno.
"Ti prego, lasciami andare", implorò chiunque l'aveva trascinata nelle tenebre.
"Yelena, ti prego aiutami", non faceva altro che ripeterlo.
"Ti aiuterò, ma fammi uscire di qui".
Il ronzio si attenuò fino a cessare del tutto e in quell'istante sentì dell'aria sul collo: il fiato di qualcuno, del suo interlocutore. Era vicino al suo orecchio, ma lei non osò aprire gli occhi, voltarsi verso di lui, era troppo spaventata. Non importava quanto desiderasse scoprire chi fosse il suo sconosciuto, non osò degnarlo di uno sguardo, nemmeno un'occhiata, era terrorizzata.
"Se prima non mi aiuti", dice con un sussurro, "non ne usciremo mai".
Ogni volta le ripeteva la stessa frase e ogni volta lei si svegliava con un piccolo sobbalzo, rimanendo sdraiata sul fianco, gli occhi sgranati, le sue mani aggrappate al cuscino a tal punto da poterlo rompere.
Sarebbero mai finiti quegl'incubi?
E se un giorno quella tortura dovesse finire, cosa le accadrebbe? Perché in fondo lei sapeva che c'era un motivo se ogni notte faceva lo stesso identico sogno, se ogni volta che chiudeva gli occhi il suo sonno veniva disturbato dall'ombra di una persona che aveva l'impressione di conoscere da tutta la vita. Qualcosa la attendeva, o qualcuno, ma lei non era riuscita ancora a capire cosa.
I corridoi vuoti e immersi nel convento la tranquillizzavano, specialmente la notte, quando l'aria fresca avvolgeva il suo esile corpo e lei poteva sporgersi sulla roccia degli archi che circondavano il giardino e guardare la luna, per poi ritrovarsi al caldo del piccolo fuoco che accendeva nelle cucine, mentre leggeva per l'ennesima volta uno dei libri presi nella biblioteca del convento.
"Mir Miseri", una voce giunse debole alle orecchie di Yelena, al che lei si girò, chiudendo il libro di colpo, come se all'interno vi fossero scritti i suoi segreti e lei non volesse rivelarli.
"Yelena, ancora in cucina, dovresti essere nel tuo letto a dormire", la rimproverò Melke Malkin nella sua veste da notte e la cuffia che le nascondeva i capelli.
Si avvicinò alla ragazza e le accarezzò le punte dei capelli scalati male: "Ancora stento a capire perché tu non ti sia fatta tagliare i capelli da me, hai fatto un pasticcio".
E non aveva tutti i torti: i capelli di Yelena erano stati tagliati in malo modo da una delle sue sorelle dopo aver perso una scommessa, ma lei non avrebbe mai potuto rivelarlo, visto che scommettere era vietato.
Appena Melke Malkin si voltò verso i fornelli della cucina lei si pettinò i capelli biondo cenere con le dita.
"Hai fatto di nuovo quel sogno?", le chiese la sacerdotessa, prendendo un pentolino e versandoci dentro del latte.
"Sì".
"Mhm, è sempre lo stesso?".
"Identico al precedente e a quelli prima ancora".
La donnona non proferì parola e rimase girata, dando le spalle a Yelena, con l'intento di accendere il fuoco del fornello per riscaldare il latte.
"Non so chi sia, la persona nel mio sogno", aggiunse Yelena subito dopo.
"Forse è perché non hai ancora incontrato lo sconosciuto. Magari sei destinata ad incontrarlo e i tuoi sogni cercano di darti degli indizi".
La ragazza dagli occhi da cerbiatto rise alle sue parole, al che Melke Malkin si girò e la fulminò con lo sguardo.
"Non osare ridere, sciocca ragazza, dal momento della nostra nascita siamo destinati a seguire un percorso".
Melke Malkin era quel tipo di persona che credeva nel fato e nel destino; niente è una coincidenza, tutto è predestinato a seguire un percorso che può condurre al Bene o al Male, due entità che persistono costantemente nella vita di ogni individuo, tanto astratte quanto del tutto concrete, come il Dalney, descritto molto spesso nei libri sacri come il Nemehrathe, come la forma sotto cui si manifesta il Male.
Si dice che assumendo l'aspetto di qualsiasi essere umano, abbia sedotto una donna che poi ha dato alla luce l'ultimo dei suoi stratagemmi per portare il mondo alla misera: un demone che, secondo uno dei virizna più potenti di quel secolo, avrebbe portato la Maliniya, a tal punto che è stato soprannominato lui stesso la "malattia".
Per fortuna però i veggenti sono spesso considerati portatori di verità incerte e quindi, grazie al sacrificio di Miseri Liliya, il demone è stato soppresso prima che riuscisse a produrre innumerevoli perdite.
"Tieni, prendi un po' di latte", disse la donnona posando una tazza sul tavolo di fronte a Yelena e versandovi dentro il liquido bianco, "ci vuoi del miele?".
La ragazza annuì, adorava il miele con il latte caldo, la calmava.
"Secondo te, dovrei cercare di fargli capire che voglio incontrarlo?", chiese la ragazza muovendo la tazza in modo circolare, in modo da aiutare il miele a mescolarsi con il latte.
"Ogni cosa a suo tempo, mes krezna", rispose la sacerdotessa, riponendo il pentolino sporco nel lavello e cominciando a dirigersi verso l'entrata della cucina.
"Melke Malkin", la chiamò un'ultima volta Yelena, girando leggermente la testa di lato.
La donna si fermò sulla soglia: "Dimmi bambina mia", chiamava così tutte le orfane che erano state accolte nel convento.
"Percepisco dell'oscurità in lui. E se fosse proteso verso il Male?".
"Allora sii la sua bussola, per ricondurlo sulla via del Bene".

Aching SoulsWhere stories live. Discover now