Prologo

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Τὰεἰς ἑαυτόν


Tutto iniziò con la morte del maestro.

Se questo scritto avesse un intento educativo, o se avessi anche solo una vaga speranza che sia letto da qualcuno - possibilmente prima che io percorra la via verso il regno di Ade - avrei certamente aggiunto che la morte del grande Socrate fu il giorno più triste e amaro della mia vita. Senz'altro avrei scritto di quanti lamenti, battiti di petto, grida e pianti abbiano accompagnato la profonda tristezza che albergava nel mio animo.

La realtà è che ero – e probabilmente sono tuttora – troppo arrogante per provare qualcosa di più che un leggero fastidio alla punta del naso. Di quelli che si hanno quando sta per giungere uno sgradevole malanno invernale.

Ero sinceramente più impegnato a pensare a cosa sarebbe stato della mia vita da quel momento in avanti, di come sarei sopravvissuto io, piuttosto che avere del sincero dolore.

Intendiamoci, non è che odiassi il mio mentore, anzi, gli dovevo molto. Mi dispiaceva del modo ingiusto in cui era stato accusato e condannato a morte. Ma, all'epoca, la mia preoccupazione principale non era la felicità altrui, solo la mia.

E' quasi ironico riflettere ora sul fatto che sentissi l'obbligo morale di dovermi sentire triste e scorato. Ancor più ironico che non mi sentissi per nulla un ipocrita, né un mentitore.

Come tutti i giovani, in cuor mio, sebbene mi piacesse mostrarmi saggio, prudente, riflessivo, calmo, non ero che uno dei tanti inseguitori di Achille. No, lo ammetto apertamente ora: il mio eroe non era Socrate. Ero un banalissimo e normalissimo ragazzo greco, che voleva essere ricordato per l'eternità per qualcosa di grande, nobile o coraggioso.

Un bel progetto, tralasciando il fatto che non avessi alcun piano concreto per metterlo in pratica. O forse...

Vi parrà credo orribile, ma mentre il sangue del grande filosofo ancora non era divenuto freddo, già meditavo sul coraggioso Critobulo che, in parte disobbedendo al proprio saggio maestro, diventava famoso scrivendone una biografia letta ai quattro angoli di Atene. No, che dico, della Grecia intera.

Non solo: sognavo di diventare io stesso, con la mia nota abilità retorica, una guida, il nuovo faro per i discepoli di Socrate. In altre parole, il suo erede e successore, se non di sangue, almeno in spirito.

Ognuno ha il suo modo per avvicinarsi agli dei, essere un novello Achille. Quello era il mio. O, perlomeno, tale era l'intenzione.

Intenzione che andò in fumo molto rapidamente.

Molti proverbi, si sa, distinguono gli uomini in due grandi categorie: coloro che agiscono e coloro che pensano. E, di solito, gli eroi appartengono alla prima di esse. E' superfluo, suppongo, rimarcare anche che la maggior parte degli uomini non ha una chiara e onesta visione delle proprie qualità. Motivo per il quale, vi è la pessima tendenza a sbagliare nell'individuazione della categoria a cui si appartiene.

E io non ero certo un'eccezione.

In altri termini, mi pensavo uomo d'azione, ma, nel concreto, non è che fino a quel momento mi fossi particolarmente distinto presso i miei simili per particolari capacità di guida e comando, o anche solo fervoroso slancio...

Di sicuro, nel circolo dei discepoli di Socrate ce n'erano parecchi più portati di me a interpretare 'Achille'. O anche solo 'Ettore' (perché dopo il maestro, l'idea di morire gloriosamente per difendere la nostra 'famiglia' aveva una sua certa – e stupidamente folle –attrattiva)


Uno di essi era Platone. Ho dei seri dubbi che non sia il livore che ancor oggi riservo per lui a farmi dire questo, ma, a onore del vero, non era gran che. Non aveva mirabolanti abilità retoriche (anzi, parlava poco) e, sebbene all'interno della nostra comunità di discepoli non facessimo distinzioni di ceto o di appartenenza politica, il fatto che fosse nipote di Crizia e, soprattutto, che fosse un po' troppo conscio di esserlo, lo metteva ai primi posti della lista di coloro che non mi sarebbe affatto dispiaciuto venissero ostracizzati dal gruppo (anche da Atene, a dirla tutta).

CritobuloWhere stories live. Discover now