2. Come un moderno Dorian Gray

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-NICHOLAS-

Musica: ♫Get right - Jimmy Eat World

Ognuno di noi gioca ogni giorno un'estenuante guerra contro il tempo. C'è chi ne vorrebbe di più, chi ne spreca troppo perché non sa che farsene, e chi ne è spaventato.

Io ero tra questi ultimi.

Avevo paura del tempo che passava, inorridivo all'idea di invecchiare e di ritrovarmi pieno di rughe con una lista fitta di sogni mai realizzati.

Le catene che mi sentivo addosso ogni istante non facevano altro che alimentare quella fame di vita che mi stringeva lo stomaco, mi schiavizzavano davanti all'orologio e me ne facevano osservare maniacalmente ogni ticchettio; come a scandire la mia condanna a morte.

Il tempo non ha prezzo. Così dicono, ma in realtà il mio, di tempo, un prezzo ce l'aveva. Come un moderno Dorian Gray, ogni tanto lo ingannavo immortalando la mia immagine per circa duecento sterline l'ora.

Imbrogliare il tempo che passava, restando giovane e bello per sempre su una foto, mi dava una sensazione di euforia che durava circa mezz'ora. Giusto quella che impiegava Harry, il mio autista, a portarmi dallo studio fotografico, situato in un modernissimo palazzo nel centro di Londra, fino a uno degli hotel più esclusivi della città. Quello che io chiamavo casa.

«Per oggi abbiamo finito. Bel lavoro, Nicholas.»

Roger mi sorrise di sfuggita. Con la coda dell'occhio si godette la sua immagine allo specchio mentre smontava l'obiettivo dalla sua Nikon. Era giovane, popolare, di successo, libero: aveva il mondo in mano. Avrei regalato tutti gli anni che ci separavano e sarei passato di colpo ai suoi trenta, se avessi avuto la certezza di poter controllare il mio destino.

Ricacciai indietro i pensieri e mi infilai al volo maglia e scarpe. Non ero libero, ma senza dubbio giovane e bello.

Mentre mi specchiavo, i miei occhi incrociarono gli sguardi languidi di un paio di ragazze lì accanto; ufficialmente stagiste all'ufficio marketing, di fatto gatte morte professioniste.

Facevo caso a loro solo quando il mio ego aveva bisogno di lusinghe, ero abituato a ricevere attenzioni. Era come un balsamo, anche se sapevo che era solo un contentino, uno specchietto per le allodole. A loro non piacevo.

Erano attratte da Nicholas Foster, il modello dagli occhi da cerbiatto; o da Nic, il biondino con gli addominali capitano della squadra di football; o da Nicholas Alexander Turner Foster, l'affascinante unico erede di una delle famiglie più altolocate di Londra. Ottimo pianista, brillante studente e futuro diplomatico; come il padre.

Nessuna di loro avrebbe provato interesse per un ragazzo come il vero me. Uno di quelli che aspettano l'alba con una chitarra tra le dita, cercando la nota perfetta per una canzone, che sperano nella pioggia solo per il gusto di sentirne affiorare l'odore dalla terra.

Troppo impegnativo, quel Nicholas, per piacere a qualcuno.

«Nicholas, ha chiamato sua madre», disse Harry, con lo sguardo perso tra il traffico di Londra.

Fantastico, pensai.

«Mi ha pregato di dirle che stasera dovrete partecipare al diciottesimo compleanno di Katherine, la figlia dell'ambasciatore Wells. Ho ritirato il suo smoking poco fa, è lì dietro, accanto a lei.»

Un sorrisetto mi curvò la bocca. «Lei? Beh, uno smoking per una signorina non mi sembra la scelta più appropriata, Harry.»

Da circa cinque mesi avevo compiuto sedici anni e, nonostante mi conoscesse da quando ne avevo sei, Harry tentava ancora una volta di parlarmi in modo formale.

L'ennesima ramanzina di mia madre. Senza dubbio.

«Lo sai che tua madre esige che mi rivolga a te in un certo modo.» Harry mi guardò dallo specchietto retrovisore e io ridacchiai.

«Tranquillo, quando vedrà le foto scattate oggi, questo sarà l'ultimo dei suoi problemi.»

Avevo accettato quel lavoro da modello, e in particolare quella campagna di intimo, con il solo scopo di far dispetto a mia madre: la donna più cinica, calcolatrice e ambiziosa sulla faccia della Terra.

Roger mi aveva notato in un negozio mentre stavo comprando una camicia durante uno dei miei raptus di shopping compulsivo, e alla firma del contratto mi ero assicurato che la pubblicità sarebbe stata affissa proprio all'altezza dell'incrocio che precedeva il circolo del golf di mia madre.

La sua faccia scioccata, alla vista del suo altolocato e bellissimo figlio in mutande nel cuore di Londra, avrebbe ripagato tutte le angherie a cui mi costringeva ogni giorno.

Vivere con mia madre era uno strazio. Stare sotto il suo stesso tetto voleva dire partecipare a ogni singola, noiosissima festa, pullulante di ragazzine in piena tempesta ormonale. Per mia madre erano solo conti in banca ambulanti, e io il suo affare sicuro. Ogni compleanno, o ricorrenza, passava sotto il suo sguardo carico di attesa. Pieno della speranza di vedermi sfruttare il mio fascino per qualcosa, come diceva lei, di produttivo.

Il suo sogno era vedermi usare i miei occhi verdi per far innamorare la figlia di una qualsiasi importante famiglia, in modo da ritrovarmi a capo di chissà quale impero. Come se ne avessi avuto bisogno, poi.

Sottostare alle rigide regole di mia madre era stato il prezzo da pagare dopo il divorzio dei miei, era l'unico modo per poter continuare a studiare musica. Più che un accordo era un ricatto: le lezioni di chitarra, pianoforte e canto, in cambio del mio futuro. La mia unica chance di salvezza scambiata con una catena temporanea.

Un bello schifo.

E così mi sorbivo lezioni di etichetta, di tedesco, cinese e di francese; per non parlare di quelle di ballo. Aggiungiamoci anche le esaltanti gare di cavalli, corredate da viscide signore di mezza età, dispiaciute solo di avere troppi anni per potermi mettere le mani addosso. Tutto questo calvario per un unico motivo: continuare a sognare.

E la musica era il mio sogno.

Mentre le vetrine scintillanti di Londra si riflettevano sul vetro della mia auto, io mi sentii venduto. Guardavo lo smoking accanto a me come fosse una tuta carceraria.

«Tutto bene, Nicholas?»

A Harry non era sfuggita l'espressione di disgusto dipinta sul mio volto. Lui non era un semplice autista, era come un secondo padre per me; un amico fidato su cui avrei sempre potuto contare. A Harry bastava puntarmi addosso i suoi piccoli occhi blu, come la divisa che portava, per cogliere ogni incertezza o velo di tristezza nel mio sguardo.

Nei miei giorni peggiori, un accenno di broncio andava a enfatizzare il suo già vistoso doppio mento; poi se ne usciva con qualcosa di divertente in grado di ridarmi il sorriso anche solo per un istante. Harry mi regalava un p'o di affetto sincero in quel mondo patinato. Prendeva il posto di mio padre, quando era lontano.

«Sì, sto bene, grazie. È solo che non capisco, Harry, perché devo andare a questa festa? È la settima in questo mese. Insomma, io neanche me la ricordo Katherine! Chi è Katherine?» Per quanto mi sforzassi non rammentavo nessuna ragazza con quel nome.

«Solo un paio di anni, Nicholas. Una volta maggiorenne potrai fare della tua vita quello che desideri. Tieni duro. E poi, chi lo sa, magari a furia di andare per feste incontri qualche bella ragazza.»

Harry era sempre ottimista e romantico, sarebbe stata l'unica persona a mancarmi se me ne fossi andato di casa.

Sfruttai il riflesso del finestrino per aggiustarmi il ciuffo dorato. «Io e l'amore siamo due rette parallele. Forse mia madre ha ragione: il conto in banca resta, l'amore no.»

Chissà se il mio riflesso ci credeva davvero.

«Non dare retta a tua madre. Tu, grazie a Dio, sei come tuo padre, e per lui l'amore è tutto. Non sorrideresti neanche un giorno accanto a qualcuno che non ami.» Vidi il mio riflesso nel vetro reprimere un ghigno di approvazione. «Puoi fare quel sorrisetto impertinente quanto vuoi, ragazzo, ma ti conosco», disse Harry soddisfatto.

Abbassai gli occhi e il mio sorriso sghembo s'addolcì.

Aveva sempre ragione.

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⏰ Last updated: Aug 07, 2022 ⏰

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La panna solo sul gelato (Capitoli in anteprima)Where stories live. Discover now