Capitolo 2

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Jeremiah
In ospedale i medici mi dissero che avevo una costola incrinata, mi diedero degli antidolorifici e mi dissero che sarei dovuto stare a riposo. Decisi di non chiamare mio padre quella notte e di aspettare la mattina successiva per non spaventarlo. Non appena l'infermiera mi portò nella mia stanza e mi fece accomodare, le chiesi come stesse la ragazza. Mi disse che non poteva darmi alcuna informazione e la calma che avevo riacquisito grazie al cocktail di farmaci evaporò in un istante. Mi consigliò di rimanere fermo, ma mi spiegò comunque dove trovarla. Così raggiunsi il corridoio che si affacciava alla sua stanza e vidi che la stavano portando in camera in quell'istante. Era su una barella, ancora priva di sensi. Mi sentii di nuovo le gambe molli e dovetti sedermi. Gli infermieri uscirono dalla stanza dopo averla coricata, andai loro incontro, ma quando li raggiunsi le parole mi si bloccarono in gola. La guardai da lontano, prima che chiudessero la porta.
"È un familiare?" mi domandò uno di loro.
"No, io... Ero lì, sono andato a sbattere nella sua auto con la mia. Come sta?" tentai comunque.
"Non possiamo rilasciare informazioni, né farla entrare, mi dispiace." mi congedò l'altro.
Attesi che si allontanassero e entrai poco dopo.
Mi avvicinai facendo dei passi lenti, sentii il mio respiro diventare sempre più affannato. Quella ragazza doveva avere più o meno la mia età, probabilmente stava tornando a casa e non era riuscita ad arrivarci perché io le avevo fatto questo. Era colpa mia. Se solo fossi andato più lentamente, avrebbe avuto il tempo di entrare in strada, o mi avrebbe visto arrivare e avrebbe potuto frenare. Mi senti gli occhi pungere e crollai in un pianto disperato, ero stato io a farle questo. Rimasi con lei per un po' di tempo, prima di tornare a sedere in una delle sedie in corridoio, appoggiando la testa al muro. La sua famiglia arrivò non molto tempo dopo, i suoi genitori corsero all'interno della stanza e sentii una voce spezzarsi e piangere violentemente. Una donna, che compresi essere sua madre, uscì e incrociò il mio sguardo incamminandosi verso di me con gli occhi infuocati: l'infermiere doveva averle raccontato tutto. Prima che potesse raggiungermi però suo marito la chiamò, lei si voltò e tornò indietro, proseguendo a passo spedito. Che diavolo avevo fatto. Se solo fossi andato più piano sarei riuscito a vederla entrare in strada e rallentare, o schivarla.

Non è sempre estate | Jeremiah FisherDonde viven las historias. Descúbrelo ahora