Capitolo 7. Denti sporgenti

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"E do il tuo nome a un uragano tropicale, ogni telegiornale poi parlerà di te."

Capitolo 7. Denti Sporgenti

La testa mi girava quando, per colpa di un spasmo e un incubo terribile, mi svegliai in una stanza tutta bianca e dall'odore fortissimo di alcol etilico e disinfettante puro

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La testa mi girava quando, per colpa di un spasmo e un incubo terribile, mi svegliai in una stanza tutta bianca e dall'odore fortissimo di alcol etilico e disinfettante puro. La mia vista era appannata, così come i miei ricordi su quanto fosse accaduto prima di ritrovarmi in ospedale, e sentivo una leggera pressione sul naso e sulla bocca che mi fece venire la nausea. Ci misi due minuti buoni prima di rendermi conto di essere attaccato alla mascherina dell'ossigeno. Strizzai gli occhi, guardandomi attorno alla ricerca di Jimin, e rimasi vagamente colpito nell'incontrare un paio di occhi scuri che mi osservavano dallo stipite della porta aperta. Con cautela mi misi appoggiato, fissando stupefatto Jay, che con passo strascicato si avvicinò al mio letto. Un'infermiera seguì i suoi movimenti, mi liberò della mascherina e mi sistemò i cuscini. Nel frattempo Jay si mise comodo sullo sgabello e mi rivolse uno sguardo preoccupato. Il ritmo cardiaco si era calmato, e l'aria attraversava i miei polmoni nuovamente. Jungkook non c'era, e nemmeno gli attacchi di panico. Tutto era tornato normale. O forse, era tutto normale per il momento.
Una goccia di sudore mi attraversò la fronte e cadde sul leggero lenzuolo di lino che mi compriva dallo stomaco in giù, mentre nella mia testa cercavo qualcosa di sensato da dire, o da fare. Che ci faceva Jay lì? Come aveva saputo del mio malore? Era davvero lui, o la testa mi stava giocando dei brutti scherzi? Ma non poteva essere frutto della mia fantasia. No, non lo era di sicuro. Il benessere che mi aveva procurato la sua sola vista era troppo reale per trattarsi di un sogno. Jay era seduto di fianco a me, e mi guardava con estremo disappunto.
Stavo per trovare il coraggio di dire "ciao" quando Jimin entrò nella stanza. Lanciò un'occhiata guardinga al ragazzo, prima di rivolgermi un sorriso preoccupato e caloroso. Jay non si distrasse, continuò a fissarmi nonostante ci fosse Jimin insieme a noi.
«Come ti senti Taehyung?» Mi chiese Jimin mettendomi una mano sulla fronte sudata, dopodiché mi spostò i capelli fradici e scrisse qualcosa su una cartellina bianca.
«Scombussolato, ma bene.»  Mi voltai un secondo verso Jay, sentendo il mio cuore bussare lievemente sulla gabbia toracica incontrando il suo sguardo.
«È normale. Com'è il tuo respiro? Ti senti affaticato, o il petto ti fa male mentre inali l'aria?»
«No, è tutto ok.»
Jimin scrisse ancora, velocemente.
«Taehyung, la tua asma da stress sta peggiorando. Sarebbe oppurtuno che tu vada da uno psicologo e-» Jimin si fermò. Sembrava che si fosse dimenticato della presenza di Jay dentro la stanza. Fece un sorriso di circostanza e poi un sospiro preoccupato.
«Ne parliamo dopo. Nel frattempo ti informo di aver raddoppiato la dose di medicinale, e che tua madre ha chiamato già quattro volte. Ha detto che verrà non appena il tempo si sarà sistemato.»
«Jimin, l'hai detto a mia madre?» Chiesi alzando gli occhi al cielo. Mi avrebbe fatto una lunga ramanzina.
Il mio migliore amico alzò le spalle, poi si portò entrambe le braccia dietro la schiena.
«Ho dovuto. Tua madre mi minaccia di non prepararmi il kimchi, e tu sai che amo il suo kimchi.»
«Sì, purtroppo lo so.»
Jimin ridacchiò, poi mi rivolse un'altra occhiata intimorita.
«Stai davvero meglio?»
«Sì Jimin, non preoccuparti.» Feci un sorrisino.
Jimin annuì poco convinto prima di andare via. Forse avrebbe voluto chiedermi di Jungkook, lui sapeva  che i miei attacchi d'asma era dovuti ai ricordi legati a quel ragazzino con i denti sporgenti, ma evitò di menzionarlo davanti a Jay, e gliene fui grato. L'ultima cosa che volevo era informarlo sui miei attacchi di panico dovuti a una persona scomparsa nel nulla. Rimasi di nuovo da solo insieme a Jay. Non sapevo cosa dire, quindi mi limitai a rivolgergli un sorriso un po' forzato prima di abbassare lo sguardo sulle mie mani, incrociate sul mio grembo.
«Questa cosa che soffri di attacchi di panico era una delle informazione private su di te che volevi rivelarmi questa sera?» Chiese con il solito tono morbido e gentile che apparteneva solo a lui.
Abbozzai in un sorriso sincero, poi annuii con vigore mentre lui rideva dagli occhi.
«Sì. Mi dispiace che tu sia qui, comunque. Per un ipocondriaco, l'ospedale non deve essere di certo il posto migliore da visitare.»
«No di certo. Ma ho la mia mascherina, e il disinfettante.» Si battè la mano sulla tasca dei jeans, dove si nascondeva la bottiglietta verdastra.
Ci fu un secondo di silenzio, ma parve durare ore e ore. Una mosca e il suo ronzio stonato riempivano lo spazio circostante, e la pioggia che batteva sulla finestra chiusa rese il tutto più malinconico che mai. Avrei voluto smetterla di soffrire, ma questo significava dimenticare. E io non volevo dimenticare Jungkook. Mi sentivo combattuto, perché da una parte volevo che almeno il suo ricordo, per quanto sbiadito, restasse vivo dentro di me,  ma dall'altra desideravo guarire.
«Soffri di attacchi di panico da molto?» Jay ruppe il silenzio.
Lo guardai smarrito, poi feci di no con la testa.
«Circa due settimane.»
Lui sembrò confuso.
«Solo due settimane? È successo qualcosa di così traumatico in quei giorni lì?» Chiese sbalordito.
Non volevo dirglielo. Non volevo parlare di Jungkook. Non in quel momento, non in quella vita.
«Se te ne parlo ora, che cosa ci racconteremo questa sera?» Cambiai discorso fingendo una risatina che fu ricambiata subito.
«Hai seriamente intenzione di uscire questa sera dopo l'accaduto? Credo che il dottor Jimin voglia  che tu riposa per oggi ormai. Non voglio essere la causa del tuo ulteriore affaticamento.» Rispose divertito.
Stavo per rispondere, ma fui interrotto dal mio migliore amico, che tornò in stanza con un bicchiere di acqua in mano.
«Il dottor Jimin in realtà vorrebbe che il signor Taehyung esca e svaghi questa sera. Tempo permettendo.» S'intromise passandomi il bicchiere con un sorriso smagliante.
Jay rimase in silenzio, come sempre quando qualcuno di esterno a noi prendeva parte alle nostre discussioni. Non ricambiò il sorriso di Jimin, nè lo guardò.
Ingurgitai l'acqua, a disagio nel silenzio di quei due, per poi schiarirmi la gola con un colpo di tosse.
«Chi sono io per contraddire i consigli di un medico?» Chiesi ridendo.
Jimin fece un piccolo sorriso, Jay un solo cenno della testa.
«Sicuro di stare bene?» Chiese quest'ultimo sistemandosi i lacci della mascherina.
«Sì»
Jay annuì, poi ci mettemmo d'accordo sull'orario e, salutando solo me, si allontanò a passi veloci. Fissai i suoi anfibi sparire oltre la porta, quando Jimin mi distrasse. Si sedette nella sedia lasciata vuota da Jay e mi rivolse un cipiglio confuso.
«Un po' antipatico. Il tuo nuovo migliore amico intendo.» Disse con un'occhiata pungente.
«Non è il mio migliore amico. Ci conosciamo appena, ancora.» Risposi ridendo.
Jimin si portò le braccia al petto. Sembrava non credermi, e appariva abbastanza geloso.
«È stato lui a portarti qui in ospedale. Voi due passate un sacco di tempo insieme, per essere uno "che hai incontrato una volta di troppo" e basta.» Rispose, ma io rimasi bloccato alla prima frase. Era stato Jay a portarmi in ospedale? Ma era andato via, l'avevo visto chiaramente uscire dalla porta e sparire nel temporale...
«Jay mi ha portato qui?» Chiesi sbalordito.
«Sì, proprio lui. Un giorno di questi, comunque, l'attacco di panico lo farai venire a me!» Esclamò preoccupato.
«Scusa Jimin.»
«Scuse non accettate, Taehyung. E comunque, cosa è successo? Hai di nuovo avuto pensieri su Jungkook?» Adesso il suo tono era comprensivo e gentile.
Si mise più comodo e dopo avermi sistemato i cuscini e le lenzuola mi guardò in attesa di una risposta. Pensare ai motivi dei miei attacchi di panico mi metteva ansia, temevo di perdere di nuovo la capacità di respirare normalmente alla sola idea di doverlo raccontare.
«Mi sono ricordato di una cosa. È stato improvviso... Un momento prima stavo salutando Jay, e quello dopo è spuntato Jungkook dal nulla. Mi ha rimproverato di essere ingiusto, e poi... Poi mi ha chiamato Tae.»
«Ti chiamo così anch'io» rispose pensieroso.
«Sì, ma credo che il primo ad avermi chiamato così sia stato lui.» Ammisi con uno strattone al cuore.
Per un attimo temetti di star per perdere di nuovo il controllo di me stesso, poi la voce di Jimin mi richiamò da lontano, come in un sogno. Mi risvegliò e mi riportò alla realtà.
«Hai bisogno di parlare con qualcuno, Taehyung. Conosco uno bravo psicologo, ti posso prenotare una visita e-»
«No Jimin. Non voglio andare da uno psicologo, io non sono ancora pronto a parlare di Jungkook con qualcuno... Non so nemmeno io cosa sento e perché, come posso a spiegarlo a un'altra persona?»
«Ti farebbe bene, e aiuterebbe molto a capire.»
«No, a me basta parlarne con te. E basta. Nessun altro deve sapere delle cose che provo.»
Jimin era lì lì per rispondere quando i miei genitori entrarono dentro la mia stanza. Mamma salutò Jimin con calore, poi si precipitò sul mio capezzale e mi accarezzò il volto. Mio padre si mangiava le unghie qualche metro più in là, mi fissava come se nemmeno riuscisse a vedermi. Ero confuso, ma bastò l'uscita di Jimin e la parlantina veloce di mia madre a distrarmi dai mille pensieri provocati dalle occhiature strane di papà.
«Taehyung, come stai? Quando Jimin ha chiamato mi è venuto un colpo. Questi attacchi stanno iniziando a essere troppo frequenti.» Disse con gli occhi lucidi, mi accarezzava i capelli con amore e terrore, come se temesse che smettessi di respirare in quello stesso istante.
«Sto bene, mamma. Veramente. Non sarei finito in ospedale se fossi stato più veloce a prendere il medicinale per l'asma, solo che è stato improvviso e...» dovevo mentire.
Non le avrei detto di Jungkook, e dei sensi di colpa per essermi dimenticato di lui. Non le avrei rivelato di sentire degli strani sentimenti dentro il mio cuore, e che l'unica persona in grado di calmarli fosse Jay, un ragazzo sconosciuto che incontravo in ogni angolo di Seoul.
«È stato improvviso. Un minuto prima stavo bene, e quello dopo la caffetteria in cui mi trovavo ha iniziato a riempirsi. Forse soffro di ansia sociale, non so.»
Abbassai lo sguardo, mentire non faceva per me e i miei occhi avrebbero rivelato tutto, se solo qualcuno ci avesse guardato dentro fino a leggerli. E mi madre mi stava fissando, per cui temetti che scoprisse tutte le mie menzogne.
«Papà, come stai?» Chiesi allora per cambiare discorso.
Non aveva detto una sola parola da quando era arrivato, e in più ignorava la mia condizione, come se fosse impegnato a pensare a qualcosa più importante che di me e i miei malanni.
«Eh? Bene, bene.» Rispose distraendosi da chissà quali pensieri.
«Comunque, ti ho portato del kimchi così riprendi le forze, e l'ho portato anche a Jimin.» S'intromise mia madre tirando fuori dalla borsa due contenitori.
Si comportavano in maniera abbastanza singolare quella mattina. Sembrava che volessero tenermi nascosto qualcosa.
«Allora Jimin sarà contento.» Finsi un sorriso di circostanza, ma la mia mente viaggiava lontana, anche quando mamma e papà andarono via, lasciandomi da solo.
Jimin mi tenne in ospedale per buona parte del pomeriggio, e veniva a controllare che stessi bene ogni mezz'ora esatta. Si convinse a lasciarmi andare solo quando mi misi in piedi e gli dimostrai di essere perfettamente in grado di camminare senza barcollare in giro. Aveva insistito per accompagnarmi a casa, e dopodiché andò a recuperare la mia macchina, lasciata parcheggiata davanti alla caffetteria dove avevo cercato di consumare la colazione con Jay.
Quando mi buttai sul letto mi sentii svuotato, come se un'enorme aspiratore avesse prosciugato tutto il mio corpo, lasciandone integra solo la carcassa. Jungkook mi avrebbe fatto impazzire prima o poi. Se continuava ad apparire in questo modo, se i ricordi non smettevano di colpirmi così alla sprovvista, prima o poi la mia condizione mentale sarebbe rimasta irreversibilmente intaccata.
Cercai di dormire un'oretta prima di sistemarmi per l'uscita con Jay, ma l'ansia mi tenne sveglio: sarebbe stata l'occasione buona per poterlo vedere senza mascherina, ma esattamente non sapevo perché fossi tanto impaziente di scoprirlo. Cosa speravo, che Jay fosse Jungkook? Speravo di vedere in lui i denti sporgenti, o i nei carini? O addirittura, la cicatrice sulla guancia? Mi stavo comportando da bambino. Jay era Jay, non Jungkook. Quel ragazzino era abbastanza grande da ricordarsi il suo nome e da dove provenisse. Non poteva trattarsi di lui, e se solo speravo che una cosa del genere potesse essere vera ero solo un pazzo. I suoi genitori erano morti, e lui si era trasferito da solo a Seoul. Era così, e basta. Mi sarei fatto male se continuavo a immaginarmi cose impossibili come quelle.
Jimin mi chiamò sette volte mentre ero in casa, mi chiedeva sempre come stessi e di considerare l'opzione di andare da uno psicologo. Ma non mi andava, non lo avrei fatto. Non avrei saputo cosa dire, come spiegarmi, cosa fare. La mia testa era in confusione e niente mi avrebbe aiutato a sbrogliare la matassa creata dalla mia mente, tanto meno uno strizzacervelli.
Fui costretto a subirmi una lunga ramanzina alla "dottor Park", come la chiamavo io, ventidue minuti di rimproveri su quanto trascurassi la mia salute, sia fisica che mentale, su quanto fossi incosciente e di riprendermi prima che potesse essere troppo tardi. Fui costretto a dire di "si" solo per non dover più sentire il suo tono deluso di voce, ma non specificai quando avrei chiamato il suo amico, il dottor Min, lo psicologo. Avevo bisogno di tempo, e soprattutto di coraggio.

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋حيث تعيش القصص. اكتشف الآن