Capitolo. 11 Gelosia?

239 33 10
                                    

Capitolo 11. Gelosia?
Pt1

"I had to fall to lose it all"

Casa Park era sempre stata accogliente, fin dai tempi in cui ero solo un giovane liceale costretto a dover fare i compiti di gruppo insieme al ragazzo popolare della scuola, quello bravo a cantare e a ballare, intelligente e adorato da tutti

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

Casa Park era sempre stata accogliente, fin dai tempi in cui ero solo un giovane liceale costretto a dover fare i compiti di gruppo insieme al ragazzo popolare della scuola, quello bravo a cantare e a ballare, intelligente e adorato da tutti. L'unico figlio del rinominato chirurgo Park Jeun, l'unico erede che poteva realizzare i suoi desideri più profondi. Fu veramente strano attraversare il giardinetto pieno di alberi dalle diverse forme, con il tramonto caldo alle nostre spalle, senza voler veramente stare lì. Jay abitava ancora i miei pensieri, e non li avrebbe abbandonati presto. Sentivo che sarebbe andato a cercarmi a casa, magari avrebbe di nuovo aspettato tutto il giorno, ma quando non mi avrebbe visto arrivare se ne sarebbe andato, senza cercarmi mai più. Il solo pensiero mi metteva un'ansia assurda addosso.
Ero così rapito dalle vocine che continuavano a suggerirmi quelle strane paranoie nella testa da non sentire la voce dolce di Jimin chiamare il mio nome. Mi ripresi solo quando lui mi schioccò due dita davanti agli occhi, fissandomi con preoccupazione.
«Ehi! Vuoi dirmi che cosa hai?» Chiese con timore.
Feci un sospiro, portandomi una mano in mezzo ai capelli. Dovevo mentire una volta ancora. «Ma niente! Sono solo stanco, Jimin. Oggi è stata una giornataccia.»
Il che era vero, ma in quel momento non era quello il problema principale. Erano quei due occhi scuri lontani chissà dove a fare chissà cosa con chissà chi, a turbarmi. Mi stavo torturando.
«Sì certo, capisco» rispose Jimin, ma non sembrava avermi creduto.
Salimmo i pochi gradini che portavano verso il portoncino battuto in oro, e quando Jimin stava per aprire la porta quella si spalancò e mostrò il viso gentile di suo padre. Un enorme sorriso gli spuntò in viso quando incontrò il mio sguardo, e io non potei fare a meno di ricambiare anche se con molta meno gioia. Non perché fossi infelice di vederlo, solo perché c'erano altre cose su cui rimuginava la mia testa.
«Taehyung, figliolo! Non ti vedo da molto tempo! Ma che ti è successo alla mano?» Disse stringendomi in un abbraccio stritola costole che, in fin dei conti, un po' mi aggiustò il cuore. Avrei tanto voluto che mio padre fosse così, ma in quegli ultimi tempi il nostro rapporto era cambiato fino a farci diventare quasi degli estranei, e pensarci mi faceva troppo male.
«Nulla, errori di percorso» dissi una bugia.
«L'importante è che non sia grave. Jimin, figlio mio! I tuoi turni sono finiti per oggi?» Si rivolse poi alla sua prole, stringendo anche lui tra le sue braccia.
Jimin fece un sorrisone smagliante. Suo padre lo aveva costretto, in un certo senso, a diventare medico, quindi Jimin aveva messo da parte i suoi sogni per realizzare quello dei suoi genitori, eppure il loro rapporto era così genuino e vero che un po' lo invidiai. La vita di Jimin era perfetta, avrei fatto di tutto per averla in cambio della mia, se solo non gli avessi voluto così tanto bene.
«Sì, oggi sono stato in ospedale la mattina e metà pomeriggio» rispose dandogli delle leggere pacche sulla schiena.
«Bene bene. Io e tua madre abbiamo organizzato un barbecue questa sera. Ci saranno alcuni medici, nulla di ché. Perché non vi unite? Mi farebbe veramente piacere se cenaste con noi.» Ci chiese.
Avrei voluto chiudermi in stanza in verità, ma non mi andava di rovinare la festa a tutti, soprattutto a Jimin che si prendeva sempre cura di me. Per tanto m'impegnai a fare il sorriso più sincero che la mia espressione permetteva, ma il mio migliore amico rispose prima che potessi dire una sola parola.
«Non lo so papà, Taehyung non sta molto bene e vorrei che non si affaticasse.»
«Che ti succede, ragazzo? Hai bisogno di un'aspirina?» Chiese preoccupato.
Mi affrettai a scuotere la testa con vigore. «No, a dire il vero sto meglio. Possiamo benissimo partecipare» mentii al meglio delle mie capacità.
Jimin mi fissava da sopra la mia spalla, la sua espressione era così preoccupata che era difficile non farci caso.
«Dai Jimin, non fare quella faccia. Se Taehyung dice che sta meglio, sta meglio! Aish, da quando è diventato dottore si è trasformato in una persona responsabile» lo prese in giro facendogli il solletico nei fianchi.
Jimin ridacchiò per via del solleticamento, ma subito dopo tornò a essere serio. Mi rivolse un'occhiata intensa, che nascondeva qualcosa di molto più profondo di un semplice sguardo preoccupato. Temeva veramente che avessi qualche altro attacco di panico, e sembrava volerlo evitare a tutti i costi. Solo che non capiva quanto mi sentissi al sicuro in casa Park, lontano metri e metri dai posti che mi ricordavano di Jungkook.
«Sicuro di sentirtela? Hai avuto un attacco di asma particolarmente potente questo pomeriggio.» Mi sussurrò all'orecchio.
Annuii, dandogli un leggero pizzicotto sul fianco per convincerlo che era tutto a posto, e lui dopo un sospiro fece un cenno della testa.
«Suvvia Jimin! Se si fa troppo tardi e Taehyung sta male può sempre dormire da te» aggiunse suo padre.
«Sì, passerà a priori un po' di giorni qui. Devo monitorare una certa situazione» rispose massaggiandosi le tempie con due dita.
«È così grave, o sta solo esagerando Jimin?» Mi chiese sottovoce, non abbastanza da evitare di farsi sentire dal figlio, che divertito alzò gli occhi al cielo.
Anche la mia testa si stava svuotando un po', in fin dei conti stare in compagnia mi faceva solo bene.
«Sta solo esagerando» mentii ridendo.
I due m'imitarono, ma Jimin finse come me. Suo padre ci disse di scendere giù in giardino alle nove, quando il sole sarebbe sparito completamente e il buio avrebbe avvolto Seoul, e ci lasciò salire finalmente nell'appartamento di Jimin per riposarci un po' prima di cena. Quando io e il mio migliore amico fummo da soli dentro casa sua, lontano da altre orecchie, mi osservò con disappunto mentre posavo lo zaino su una delle poltroncine di pelle. Feci finta di nulla, massaggiandomi la mano fasciata per non dovermi concentrare su altro, nel frattempo Jimin mi raggiunse in salotto e mi fece sedere accanto a lui sul divano vicino.
«Sei davvero sicuro di voler partecipare al barbecue? Mio padre non ha veramente la concezione di "pochi"» fece due virgolette a mezz'aria che mi fecero sorridere.
«Mi aiuterebbe a distrarmi, Jimin. Va tutto bene, non preoccuparti»
«Ma ne sei davvero sicuro?» Ribadì.
Feci un sorriso di circostanza, ancora distratto dalle mie paranoie su Jay.
«La ragazza che ti piace è stata inviata?» Ripresi il discorso.
Jimin sbuffò mettendosi in piedi e allontanandosi per non farmi vedere la sua faccia bordeaux.
«No, non è stata invitata.»
«Peccato. Potresti sempre farlo tu, infondo» lo battibeccai osservandolo mentre si faceva il caffè.
«Non sarebbe male invitare anche Jay, se solo non mi odiasse.» Rispose dandomi le spalle.
Ridacchiai. «Non è vero che ti odia. E poi non ho il suo numero, quindi anche volendo non posso invitarlo.» Ero un po' rammaricato per questo.
«Sì che mi odia. Fa sempre quelle facce piene di sdegno quando mi vede insieme a te»
«È solo la tua impressione.» Grossa bugia.
Anch'io mi ero accorto troppo spesso che il suo atteggiamento cambiava quando Jimin era intorno a noi, o le altre persone in generale.
«Come no. Comunque, vuoi farla prima tu la doccia?» Cambiò discorso addentando una mela.
Feci un cenno della testa, subito dopo mi alzai e andai a chiudermi in bagno. Il getto fresco dell'acqua mi aiutò a riprendermi un pochino dopo quella lunga, faticante e calda giornata d'estate. I discorsi affrontati con la mamma di Jungkook continuavano a tormentarmi, così come lo faceva Jay. Non riuscivo a togliermi dalla testa la foto in casa Jeon, né il fratellino quasi identico di Jungkook e gli occhi spenti di sua madre. In più, mi stavo torturando con le paranoie su Jay, per non parlare di come mi aveva trattato mio padre e cosa aveva scaturito il suo comportamento ostile. Erano successe troppe cose in una sola giornata.
Quando fui fuori dal bagno e mi sdraiai sul divano, in attesa che Jimin fosse pronto, mi ritrovai a sbuffare mentre osservavo il soffitto basso in salotto. Non avevo proprio voglia di mischiarmi con la gente, e il mio malumore aumentava con il passare delle ore ma più pensavo a Jimin più mi sentivo in dovere di essere meno d'impaccio possibile. Sperai almeno ci fosse un posto dove poter stare più appartati, così che non mi sarei sentito a disagio. Pensai anche che se ci fosse stato anche Jay, restare in compagnia di tanta gente non sarebbe stato poi così male. Non che Jimin mi facesse sentire poco a mio agio, ma lui era un dottore e quella era la sua cerchia d'interessi. Non potevo mica pretendere che lui restasse accanto a me per tutto il tempo, senza unirsi ai discorsi che tutti quei medici avrebbero fatto con ardore e passione.
Le nove di sera arrivano più velocemente del normale. I minuti parvero volare come secondi, e in men che non si dica era già sera. Jimin chiuse la porta dell'appartamento mentre io scendevo già le scale, ma prima che arrivassimo nel pianerottolo che portava al giardino, mi prese una mano e fermò i miei movimenti. Confuso lo guardai, lui mi mise i palmi sulle spalle.
«Tae, se non ti va di stare insieme a tutte quelle persone ti prego di dirmelo. Possiamo ancora salircene a casa e guardare un film tranquillo. Ordiniamo una pizza e beviamo qualcosa insieme.» Disse.
Lo fermai con un sorriso, facendo un passo indietro. «Non avevi detto che devo fare una dieta più sana ed equilibrata? Tuo padre sta cuocendo la carne, è molto più salutare della pizza.»
«Allora ci riempiamo i piatti e torniamo indietro»
«Jimin, perché ti stai preoccupando tanto? Va tutto bene. Respiro alla grande e camminò sulle mie gambe. È solo una cena informale»
«Sì ma i tuoi occhi sono tristi.»
Quella risposta mi prese alla sprovvista. Lo guardai trattenendo il fiato per un paio di secondi mentre lui si appoggiava al muro con le braccia dietro la schiena. La sua espressione era depressa, quasi come se il mio umore avesse influenzato il suo. E mi sentii spiazzato, ancora più giù di morale. Volevo evitare che il mio migliore amico passasse tutto il tempo che sarebbe stato insieme a me in quel modo. Non potevo evitare di pensare a tutto ciò che mi stava accadendo in quel periodo, e il mio umore continuava a cambiare e ad avere alti e bassi, per cui mi avrebbe visto tanto rattristito per più di una volta, che volessi o meno.
«No, non è vero» risposi a bocca asciutta.
Jimin mi rivolse un'occhiata profonda. Era ovvio che si accorgesse di quanto stessi mentendo, lui mi conosceva più di chiunque altro e raccontargli bugie non aveva alcun senso, però continuavo a sperare che capisse quanto mi facesse male vederlo compatirmi. Volevo continuasse a comportarsi come sempre, come se non sapesse degli attacchi di panico, della confusione che avevo in testa per colpa di Jay, della tristezza che accompagnava le mie giornate da quando mi ero ricordato di Jungkook.
«Taehyung, sei strano da questa mattina. Non venirmi a dire che è per via dell'asma, perché non ci credo. So che sei sconvolto per la somiglianza tra Jungkook e suo fratello, e soprattutto deluso che nessuno abbia mai trovato traccia di lui né qui né a Busan. Ma c'è altro, qualcosa che non vuoi dirmi... e so per certo che c'entri Jay.»
Mi morsi la guancia e abbassai lo sguardo.
«Non è così»
«Non voglio costringerti a rivelarmi cosa sta accadendo, però mi fa veramente male vederti cosi. Se ti ha fatto qualcosa giuro che non glielo perdonerò mai.»
Sorrisi. Sì, Jimin era il tipo di persona che avrebbe rischiato la vita pur di salvare la mia.
«No, lui è perfetto. Non mi ha fatto nulla, giuro.»
Jimin mi guardò, ma io mi sentivo in imbarazzo così uscii fuori. Lui mi seguì a ruota. Raggiungemmo la folla in giardino e andammo a rifugiarci in uno dei divanetti bianchi sistemati nello spazio più largo del cortile. C'era parecchia gente, tutte sorridenti e chiacchierone. Molte persone vennero a salutare Jimin e intavolarono lunghe conversazioni sulla medicina di cui non ci capii nulla, ma non fu tanto terribile. Il mio migliore amico rimase tutto il tempo al mio fianco, riempiendomi in continuazione il piatto di carne calda e il bicchiere di soju ghiacciato. Suo padre ci coinvolse più di una volta in discorsi politici, ma non aprii mai bocca. Preferii ascoltare le teorie di Jimin, godendomi il suo tono molto dolce di voce mentre smontava con determinazione le opinioni degli altri. Fu divertente a dire al vero, almeno fino a quando non vidi un ragazzo dall'aria familiare fissarmi da oltre il bicchiere di vino rosso. Ero sicuro di averlo già visto da qualche altra parte, ma la mia mente era del tutto spenta. Nonostante mi stessi sforzando di capire chi fosse proprio non riuscii. Anche Jimin parve accorgersi degli strani sguardi che mi stava rivolgendo quel ragazzo sconosciuto, e mi pizzicò la gamba per dirmelo all'orecchio.
«Quel tipo lì ti fissa. Lo conosci?»
Stavo per rispondere, ma il ragazzo mi rivolse un sorriso e finalmente mi parlò.
«I miei occhi m'ingannano, o tu sei Kim Taehyung?» Chiese.
Corrucciai le sopracciglia, ma feci un cenno della testa. Jimin ci guardava interessato.
«Mi hanno parlato molto di te.»
«E chi?»
Fece un risatina che non mi piacque, ma rimasi fermo. Come faceva a conoscermi, e chi gli aveva raccontato di me?
«Una persona che conosci molto bene.»
«Se non vuoi dirmi chi è stato, che senso ha dirmelo?» Domandai irritato. Non mi piaceva chi parlava di me alle mie spalle.
«Perchè non è importante. Comunque, il mio nome è Daehyun.» Mi porse una mano ma non la strinsi. Iniziavo a sentirmi nervoso, quella persona non mi piaceva.
«Non credo di conoscerti.» Dissi mettendomi più vicino a Jimin.
Lui mi mise una mano sulla schiena per darmi coraggio, ma avevo una strana sensazione e non riuscivo a stare tranquillo. Mi massaggiai la mano ferita d'istinto, e Daehyun abbassò gli occhi sulla mia fasciatura.
«Comprensibile.» Disse ritirando il braccio.
Rimasi in silenzio, stavo quasi per alzarmi e allontanarmi, con Jimin al mio fianco, quando Daehyun riprese a parlare, inchiodandomi al divano.
«Sai, sarei curioso riguardo a qualcosa di molto importante. Sto studiando psicologia e ho saputo dei dettagli su di te che hanno destato la mia curiosità. Averti incontrato è una vera fortuna.»
Rimasi sbigottito. Mi portai una mano all'altezza del cuore e strinsi la camicia adiacente a quel punto. Sapeva di Jungkook? E se così fosse stato, in che modo aveva fatto a scoprirlo? Chi gliel'aveva detto?
«Puoi ripetermi il tuo nome?» S'intromise Jimin accavallando una gamba e rivolgendogli uno sguardo pieno di astio.
Mi batteva forte il cuore. La mia testa non faceva altro che ripetermi "sa di Jungkook, sa di Jungkook".
«Daehyun. Choi Daehyun.» Disse.
Non conoscevo nessuno che avesse quel nome, eppure il suo viso...
«Tuo padre è il dottore Choi? Il cardiologo?»
«Sì. Ma cosa c'entra questo?»
«Curiosità» rispose Jimin e gli rivolse un sorriso sprezzante prima di alzarsi e prendermi una mano.
Stavamo per allontanarci, ma Daehyun decise di imitarci ed esclamare:
«La tua asma da stress, è migliorata?»
Mi girai immediatamente. Jimin cercò di prendermi la mano, ma preso dalla rabbia mi scansai e camminai minacciosamente verso Daehyun. Mi tremavano le gambe, la testa iniziava a girarmi.
«Ok, dimmi chi ti ha detto queste cose di me, adesso.» Dissi a denti stretti.
«Informazioni personali»
Senza pensarci gli afferrai il colletto della maglia e lo avvicinai con violenza vicino al mio viso. Dovevo stare molto attento quando litigavo con gli altri. Io ero un soldato, conoscevo il taekwondo e il Ju-Jitsu, e se mi facevo prendere dalla collera potevo ferire in modo irreversibile le persone, e Jimin lo sapeva, per questo si mise in mezzo, anche se le mie dita non ne volevano sapere di lasciare perdere quel tipo.
«O me lo dici, o ti spezzo una gamba.» Sussurrai.
Daehyun ridacchiò. La gente iniziò ad accorgersi di ciò che stava accadendo nel ritaglio di giardino in cui ci trovavamo, e ci indicarono mentre spalancavano le bocche e si sussurravano frasi nelle orecchie.
«Non sarebbe meglio se diventassimo amici? Mio zio è nel comando di polizia. Posso mettere una buona parola per te e spronarli ad ampliare le ricerche, così forse i resti di Jungkook potranno essere ritrovati e-» la forte spinta che gli rivolsi lo fece finire sopra al tavolo.
Stavo per raggiungerlo, volevo pareggiare i conti e continuare a sfogare la rabbia che mi stava facendo scaturire per colpa di quell'unica frase che gli era uscita di bocca, ma Jimin mi fermò. Mi prese la mano e mi trascinò verso l'entrata di casa, nel frattempo tutti ci guardavano e parlavano sottovoce. Il padre di Jimin cercò di fermarci, ma bastò uno sguardo severo del figlio a lasciarci passare.
Non appena fummo lontano da occhi indiscreti, sugli scalini a chiocciola che portavano verso l'appartamento di Jimin, mi liberai della sua presa con uno strattone e mi passai una mano in mezzo ai capelli. Ero furioso, letteralmente. Il mio respiro affannato fece preoccupare il mio migliore amico, che provò a incintarmi a salire in casa, ma il mio unico desiderio era tornare indietro, prendere quel Daehyun per il collo e riempirlo di pugni!
«Taehyung, calmati! È un idiota. Dammi un po' di tempo, e domani andrò a parlare con suo padre. Si pentirà amaramente di quello che ha detto!» Esclamò infuriato.
Ma non bastava. Non bastava a placare la mia collera. Gli occhi iniziarono a bruciarmi di lacrime, le mani mi formicolavano.
«Voglio tornare indietro e ammazzarlo!» Alzai la voce in lacrime.
E stavo per muovermi, stavo per scendere di nuovo ma all'improvviso Jimin mi abbracciò e i miei nervi si rilassarono. Le lacrime caddero sulle sue piccole spalle e si persero nel tessuto bianco della camicia di lino che indossava. Era caldo e accogliente il suo petto. Una medicina per il mio umore instabile. Singhiozzai mentre lui mi stringeva forte e mi sussurrava all'orecchio di calmarmi, solo in questo modo riuscì a convincermi a seguirlo a casa sua.
Mi passò un bicchiere colmo d'acqua mentre, seduto in mezzo ai cuscini sul divano, mi soffiavo il naso con rammarico. Come aveva fatto a scoprire di Jungkook? Aveva detto che qualcuno gli aveva passato quell'informazione e solo in quel momento, riflettendoci, pensai che quella persona poteva essere la stessa che aveva detto di Koo a mio padre. Mi chiedevo solo chi! Nessuno lo sapeva, nessuno a parte me, il mio migliore amico e uno psicologo sconosciuto! C'era qualcosa che mi sfuggiva.
«Sei un po' più calmo?» Domandò Jimin quando si sedette accanto a me.
«Mmh» feci spallucce.
Jimin sospirò, comprensivo come sempre, nel frattempo mi disegnava dei ghirigori sulla spalla con affetto.
«Come diamine faceva quel Daehyun a sapere di Jungkook?» Chiese più a se stesso che a me.
Alzai di nuovo le spalle. «Non lo so. Non ho ancora capito come faccia anche mio padre a saperlo. Chi lo sta raccontando in giro?» Mormorai.
Jimin mi fissò preoccupato, io guardavo il vuoto come da dietro un velo.
«Se solo tuo padre ci dicesse chi gli ha raccontato di Jungkook...» sospirò.
«Quel Daehyun l'ho visto da qualche parte. Il suo volto non mi è del tutto sconosciuto.»
«Oh, davvero?»
Annuii. Ero confuso e ancora molto scosso. Jimin stava per dire qualcos'altro ma il suono del campanello ci interruppe. Senza aspettare un secondo solo lui corse ad aprire. Non feci molta attenzione a quello che stava accadendo, ma mi parve di capire che si trattava di suo padre, che era venuto a vedere come stavo e se per caso ero ubriaco. Credeva che non fossi il tipo da attaccare briga senza motivo, e se ero stato io a iniziare quella lite era molto probabile che fossi un po' su di giri. Jimin spiegò lui la situazione molto velocemente, omettendo i particolari su Jungkook, infine lo mandò via dicendogli che non volevo vedere nessuno.
Nel frattempo ebbi modo di riflettere ancora un altro po'. Stavo cercando di spremermi più che potevo per ricordarmi dove diamine avessi già visto quel Daehyun, ma vanamente. Notavo quella familiarità su sul volto che però la mia mente non riusciva a collegare a nessuno, e fu molto frustrante per me.
Il mio migliore amico armeggiava in cucina, continuai a sentirmi in colpa perché, quasi sicuramente, lui era in pena per me.
«Taehyung faccio del tè.» Disse mentre mi dava le spalle.
Mi alzai. Non riuscivo a stare un attimo di più sveglio, a pensare e pensare.
«No Jimin. Vado a letto, grazie lo stesso» sussurrai trascinandomi in direzione della mia stanza.
Jimin mi guardò, ma annuì arreso. Per quella sera niente mi avrebbe fatto stare meglio, né lui e nè nessuno poteva aiutarmi a dimenticare dell'accaduto. Indossai il mio pigiama e mi rifugiai sui cuscini morbidissimi, accucciandomi su me stesso. Una lacrima calda mi percosse il viso, ma la lasciai cadere. L'unica cosa a cui riuscii a pensare fu "Jungkook, dove sei?", mentre soffocavo i singhiozzi tra le lenzuola pulite.

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now