Capitolo 12. Confini

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Capitolo 12. Confini
Pt1

"Memories follow me left and right"

Mi tremavano le mani mentre la mattina seguente, alle otto, guidavo come un pazzo in direzione del mio vecchio quartiere, arrabbiato come non mai e nero di collera

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Mi tremavano le mani mentre la mattina seguente, alle otto, guidavo come un pazzo in direzione del mio vecchio quartiere, arrabbiato come non mai e nero di collera. Adesso era tutto più chiaro, adesso i pezzi si erano tutti collegati. Era stata Somin a raccontare di Jungkook a mio padre e Daehyun, ed ero sicuro che l'avesse scoperto leggendo il mio diario, mai tenuto nascosto in casa mia. Rischiai seriamente di andare a schiantarmi in un vicolo, stavo perdendo controllo di me stesso e l'unica cosa che desideravo in quel preciso istante era sfogare tutta la frustrazioni delle ultime settimane su di lei, la causa dei miei problemi. Non potevo credere che fosse stata tanto meschina da spiattellare ogni cosa di me, tradendo i nostri sei anni di fidanzamento per via del risentimento creato dal nostro separamento. Che senso aveva? Che senso aveva aver amato una persona, per poi tradirla alla prima occasione e farle del male? Che senso aveva farmi delle ripicche solo per il suo tornaconto? Che senso aveva mettermi in mezzo alle sue frustrazioni? Ho seriamente creduto che prima o poi avremmo fatto pace, essere amici che condividono emozioni e segreti, ma dovevo smetterla di sognare, dovevo tornare alla realtà.
Questa volta non lasciai l'auto davanti casa mia, non avevo proprio voglia di affrontare nuovamente i miei genitori. Parcheggiai la macchina davanti al portone di casa di Somin, e come una furia mi precipitai a bussare violentemente sulla sua porta. Avevo due inalatori con me, anche se non pensavo sarebbero stati necessari: in fin dei conti lei non mi aveva mai suscitato metà delle emozioni che mi aveva provocato Jungkook. Somin era insignificante per me, era appena morta.
Dopo qualche secondo di attesa, finalmente la porta si aprì rivelando la persona che più desideravo vedere in quel momento. I suoi occhi si spalancarono quando mi riconobbe. Deglutì quasi a fatica, e fece un passo indietro. Vidi un barlume di amore veleggiarle ancora nelle sue iridi colore caffè, ma non m'importava per niente. La odiavo, la odiavo come non avevo mai odiato nessuna prima di lei.
«Taehyung, che ci fai qui?» Mi chiese Somin chiudendosi la porta alle spalle. Non era mia intenzione fare casino in strada, per cui le diedi le spalle e camminai in direzione dell'auto.
«Dobbiamo parlare. Andiamo a fare un giro» non so quanto sarebbe stato saggio mettermi alla guida mentre i nervi rischiavano seriamente di sopraffarmi senza modo di calmarli, ma di certo non volevo che la folla del quartiere uscisse di casa per assistere allo spettacolo che si stava svolgendo pochi metri lontano da loro.
Somin mi seguì in silenzio. Sapeva già cosa stava per accadere? Era consapevole dell'enorme danno emotivo che mi aveva procurato? Se ne pentiva almeno? Aveva un briciolo d'interesse per la mia salute mentale?
Misi in moto e partì sulle strade deserte e spente. Tutto mi appariva così triste senza Jay, e la situazione non era già delle migliori. Rimasi qualche minuto in silenzio, cercando di calmare la rabbia. Ogni tanto guardavo Somin con la coda dell'occhio, mi osservava e giocava con un bracciale che aveva al polso. Sembrava abbastanza nervosa anche lei, forse sperava che non venissi a sapere di ciò che mi aveva fatto, ma visto e considerato che l'aveva detto a mio padre era stupido anche solo sperarlo. Probabilmente credeva che non mi sarei arrabbiato tanto, né che sarei andato a cercarla ma si sbagliava di grosso in entrambi i casi.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto, Somin?» Quelle parole uscirono dalla mia bocca come in un sussurro debole e sfinito.
La rabbia si stava trasformando in tristezza, in delusione. E non c'è nulla di peggio che una persona a cui hai dato tutto che ti tradisce alle sue spalle solo perché non l'ami più. Ero stato sincero, giusto. Perché lei non lo era stata con me?
«Di che cosa stai parlando?»
Forse fu quella domanda a farmi scattare di nuovo. La presa in giro, il tono di voce altezzoso come se non avesse fatto di nulla di così grave. Feci una risata priva di gioia, stavo solo cercando di nascondere le mani che mi tremavano e la bile che risaliva dai punti più profondi dentro di me.
«Hai davvero il coraggio di prendermi in giro? Sei davvero così meschina?» Rimasi sorpreso anch'io dal tono freddo della mia voce. Non era mai stato tanto gelido, tanto alterato.
«Sei venuto qui per litigare? Non ci parliamo da quando sono venuta l'ultima volta a casa nostra e vuoi davvero discutere?»
«Casa nostra?» Ripetei con disprezzo.
Somin parve accorgersi dell'errore che aveva fatto, e arrossì immediatamente. «Casa tua»
«Non è mai stata casa "nostra", per me non esiti più. Sei meschina e spregevole, e hai ragione su un punto. Non avrei dovuto venire qui a discutere con te, perché effettivamente non meriti nemmeno un briciolo di confidenza da parte mia, nemmeno per dirti che sei una stronza con cui non voglio mai più avere a che fare.»
Somin rimase in silenzio, poi fece una risatina che mi alterò ancora di più.
«Sei venuto a sfogare la tua frustrazione nei riguardi di Jungkook su di me?»
«Non ti azzardare a dire il suo nome.» Dissi, e in un impeto di rabbia pressai il piede sull'acceleratore e andai più veloce.
«Era veramente così importante da lasciarmi? Un dannato bambino sparito nel nulla diciassette anni fa?»
«Non ti permettere a parlare di lui!» Gridai con tutte le mie forze.
Somin spalancò gli occhi, si teneva una mano sul cuore e mi fissava come se fossi uno strano spettro comparso da chissà dove.
«Come ti sei permessa di leggere il mio diario? Come hai potuto spiattellare tutto a mio padre e al tuo nuovo ragazzo? Chi ti ha dato il diritto?!» Ormai la gola mi faceva male, ma non riuscivo a contenere la mia rabbia. Non avrebbe dovuto nominare Jungkook, non avrebbe dovuto dargli del dannato.
«Tuo padre è venuto a cercarmi! Mi ha chiesto come mai ci fossimo lasciati, e io gli ho detto la verità.» La sua voce tremava.
Sembrava parecchio impaurita del mio atteggiamento, e a me non importava per niente di vederla respirare tanto forte, con il cuore a mille.
«Sei entrata in casa mia e hai avuto la sporca indecenza di prendere il mio fottuto diario e leggerlo come ne avessi il permesso!»
«Volevo solo scoprire se ci fosse un'altra, non mi aspettavo di leggere quelle cose su un ragazzo.»
«Che cosa stai insinuando, Somin? Eh? Che cosa cosa? "Non mi aspettavo di leggere quelle cose su un ragazzo"? Cosa vuoi dire?» Adesso le mani tremavano a me.
«Non mi aspettavo che fosse per colpa sua che mi hai lasciata.»
Risi malignamente, come un demone cattivo che coglie di sorpresa la sua vittima e la divora in un solo boccone mentre urla disperata.
«Ti ho lasciata perché eri diventato uno stress. Mi hai fatto venire gli attacchi di panico e non contenta corri a raccontare della mia vita a dei perfetti sconosciuti! Quel Daehyun... non ne avevi alcun diritto Kang Somin» mi fermai davanti casa sua.
C'erano delle lacrime che brillavano dentro i suoi occhi, ma non mi fecero alcun effetto. Volevo che sparisse dalla mia vista, dalla mia vita.
«Come fai a sapere che l'ho detto a Daehyun?» Mi chiese, spiazzata dalla mia gelida indifferenza nei suoi confronti. La mia volontà di esserle amico e sistemare le cose era finita dal momento in cui ho riconosciuto nel suo ragazzo la persona che mi ha reso ridicolo e violento davanti a un giardino colmo di persone, il giardino di Jimin, dei suoi genitori.
«Non ci ha pensato più di volta a rivelarlo in presenza di molta gente. Adesso non mi va più di parlare con te. Per me sei morta, non estiti più. E ne sono persino felice» non ascoltai le sue risposte pensate e architettate. Le chiesi si scendere immediatamente e me ne andai.
Ma non avevo ancora finito, mancava una cosa ancora. Andai verso casa dei miei genitori, soprafatto dalla depressione di essere incompreso e additato da tutte le persone che credevo mi amassero, e suonai al citofono. Avevo le chiavi, potevo entrate benissimo da solo, ma da quel momento in poi iniziai a considermi un estraneo per tutti loro. Adesso esistevano solo Jimin e Jay, ammesso e concesso che quest'ultimo restasse. Mi sentivo male alla sola idea di vederlo scappare via.
Mia madre aprì la porta, ma non le diedi il tempo di dire niente che entrai in casa e la superai.
«Taehyung! Taehyung, che succede?» Diceva nel frattempo alle mie spalle, ma la ignorai.
Andai dritto dritto verso il salotto, dove sapevo ci fosse mio padre. Effettivamente lui era lì, seduto sulla poltroncina con una sigaretta in mano. Alzò gli occhi verso di me quando sentì i miei passi nel soggiorno, nel frattempo mia madre mi raggiunse e rimase, in silenzio, alle mia spalle.
«Grazie» dissi duramente.
Lui mi guardò con una faccia confusa, si mise in piedi e mi guardò arroganteme dal sopra gli occhiali da vista.
«Che vuoi dire?»
«Grazie per avermi fatto capire che, se smetessi di considerarti mio padre, mi faresti solo in grandissimo favore.»
Mia madre mi prese un braccio, voleva fermarmi, farmi smettere di parlare, ma mi liberai dalla sua presa con uno strattone e feci un passo in avanti, i pugni stretti stretti nel patetico tentativo di mostrarmi forte, ma non lo ero. Non in quel momento, dopo quello che aveva fatto Somin.
«Prego, signor Kim. Viste le tue parole, deduco che non ci sarà una riappacificazione tra lei e la signorina Kang.» Mi prese in giro.
In quel momento l'adrenalina mi percorse il corpo. Feci un passo in avanti e gli rivolsi lo sguardo più crudele che la mia espressione permetteva. Avevo appena detto addio anche a lui.
«Riappacificazione dopo quello che mi ha fatto? Non la perdonerò mai per aver rivelato dei miei segreti a una persona chiusa e cattiva come te. Me ne lavo le mani.»
Mi girai e percorsi a passi veloci il corridoio. Mia madre mi seguì in lacrime, mi prese la mano e cercò di farmi ragionare, ma ancora una volta mi liberai dalla sua presa e mi chiusi in macchina, rifugiato nelle mie corse disperate alla ricerca di un po' di pace, che sembrava non volermi mai raggiungere. Non nego di aver pianto parecchio mentre guidavo verso una meta ancora sconosciuta. Mi fermai in un parchetto deserto lontano chilometri da casa dei miei. Mi misi da solo in un'altalena, sentendomi sempre più triste. Quei mesi dovevano essere la mia vacanza, e invece si stavano rivelando un vero incubo.
Afflitto cercai la chat di Jay e la fissai pochi minuti con un vuoto nello stomaco, poi le mie dita presero a scrivere velocemente sulla tastiera, senza sosta nè ripensamenti.
"Ciao Jay. Non so per quale motivo tu mi stia ignorando, ma sono da solo in un parchetto desolato ed è alquanto triste. Sto male, ho bisogno di stare in tua compagnia. Ti invio la mia posizione, se ti va vieni qui."

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now