Capitolo 13. Ansie

216 34 4
                                    

Capitolo 13. Ansie
Pt1

Rewrite the stars

Le torce che ci avevano fornito non bastavano a illuminare la stretta caverna, umida e pericolante

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

Le torce che ci avevano fornito non bastavano a illuminare la stretta caverna, umida e pericolante. I miei soldati camminavo comunque a tendoni, aiutandosi con le mani per non scivolare a terra. Quel passaggio segreto, lungo chilometri e chilometri, dava su una spiaggia dove i pescherecci bazzicavano per la pesca : era stato uno di loro a rinvenire la piccola spilletta a forma di bandiera rossa con illustrati i due dittatori più rilevanti della Corea Del Nord, e avevano immediatamente chiamato la polizia, che subito avevano informato i generali dell'esercito. Avvertivo una brutta sensazione alla bocca dello stomaco mentre aspettavo, fuori dall'entrata della caverna, che ritrovassero qualcosa. La cosa meno grave che poteva essere accaduta era che un disertore nord coreano fosse riuscito a scappare, quella più pericolosa che ci avessero mandato un spia.
Le parole del maggiore Jun erano chiare: era molto più sicura la prima opzione, ma l'ansia che sentivo addosso era comunque troppo alta. La possibilità che potesse essere l'una, o l'altra, era del 50% ciascuna, e se quel 50% che potesse trattarsi della seconda si fosse rivelata vera, una guerra sarebbe potuta scoppiare. Tra i due paesi non scorreva buon sangue da tempo ormai, e tutti gli anni passati a setacciare il confine tra Sud e Nord si erano rivelati vani adesso che era stata scoperta quella maledetta caverna nascosta nel nulla. Perché non avevamo mai saputo che esistesse un passaggio? Era tutto così scocciante.
L'ultima cosa che mancava per ammazzare completamente la mia salute mentale era una guerra indesiderata. E che pretendevo, in ogni caso? Ero stato io a scegliere quel lavoro, ero stato io a sperare di rivedere i fantasmi del mio passato nascondersi tra le file di giovani ragazzi in tenuta da militare, e adesso dovevo accettarne le conseguenze. Non che avessi paura di morire, temevo solo di andarmene prima di aver saputo la verità su Jungkook, e io avevo bisogno di avere il cuore in pace prima sparire per sempre.
Quando l'attesa divenne snervante, presi il cellulare e accesi la torcia. Odiavo dover essere lasciato appeso a un filo, e io necessitavo placare quella brutta sensazione che mi stava attanagliando da cima a fondo. C'era odore di terra bagnata e pesce. Nello stesso momento in cui attraversai la soglia di quel luogo, il caporale insieme agli ragazzi tornarono indietro; avevano in mano una divisa militare, e l'ansia mi scoppiò nello stomaco con ancora più intensità. Non significava niente, e soprattutto non era certo nulla. La leva obbligatoria durava nove anni in Corea Del Nord, era molto probabile che fosse un ragazzo stanco di vivere non libero, ma restava la stessa percentuale di possibilità che non fosse così.
«Rapporto, caporale Park» dissi al ragazzo con la divisa in mano.
«Sissignore!» Esclamò facendo il saluto militare. «Dopo un'ora a setacciare la caverna, è stata rinvenuta una divisa militare che sembra appartenere a un giovane ragazzo nordcoreano. Lo notiamo dalla taglia e dalla lunghezza. Secondo una stima, il ragazzo potrebbe essere alto circa un metro e ottanta, e dovrebbe avere un fisico pressoché simile al suo, Capo Kim.»
Spiegò la divisa mettendola sulla spiaggia, poi si abbassò su un ginocchio e mi indicò uno strappo all'altezza del cuore.
«Abbiamo trovato un buco nella stoffa proprio sul punto dove dovrebbe esserci cucito il nome del soldato.»
«C'è altro?» Dissi distratto dalle diverse congetture che si stavano susseguendo dentro la mia mente.
«Sì. Pare che chi sia arrivato attraverso questo grotta, abbia passato più di dieci ore a strisciare attraverso le rocce e le pietre. Il passaggio è molto stretto e basso per cui, l'unico modo per arrivare, è quello di stare in posizione prona.»
«Chi diamine  è disposto a passare più di dieci ore chinato a terra, a strisciare come un verme solo per arrivare qui?» Pensai ad alta voce.
«Qualcuno disposto a tutto pur di avere la libertà signore. O chi viene mandato a compiere una missione, credo.»
«Deve essere ancora qui a Seoul. Se fosse già andato via, avrebbe portato con sé la divisa.» Dissi.
I soldati stavano cercando altri indizi lungo la spiaggia, e ci fu un secondo di silenzio che venne rotto dagli squilli del mio telefono.
«Scusami un attimo» dissi allontandomi un po'.
«Sissignore»
Sfilai il cellulare dalla tasca dei pantaloni e mi ritrovai ad arrossire quando lessi il nome di Jay apparire sullo schermo. Mi guardai intorno prima di rispondere, onde evitare che qualcuno sentisse le mie conversazioni private, e mi misi a camminare sulla sabbia con il cuore palpitante.
«Jay?»
«Taehyung! Prima ero completamente addormentato e non ho capito che stessi andando al confine. Ci ho pensato quando ho visto che erano passate molte ore e non ti avevo ancora sentito. Che succede? È tutto ok?» Chiese allarmato. Mi fece sorridere.
«Tutto ok, non preoccuparti. Tu sei a casa?»
«Sì, stavo pensando che potevamo vederci questa sera. Non so, potremmo andare a mangiare dei tteokkbokki insieme, accompagnato da un po' di soju.»
«Non mi volevi sobrio?» Scherzai, rosso in viso quando mi ricordai degli avvenimenti di quella sera
«Hai ragione! Accompagnato da acqua allora, o da coca cola ghiacciata.»
«Per me si può fare. Dovrei tornare a casa per l'ora di pranzo, circa» mentre camminavo la mia attenzione fu catturata da un badge ai piedi di uno scoglio.
Mi piegai su un ginocchio per raccoglierlo, osservando minuziosamente i resti dei documenti che dovevano trovarsi al suo interno. Intravidi, dai pezzi di foto rimasti, dei capelli nerissimi, e una sola J ai lati del documento d'identità. Me lo rigirai tra le dita, ma non c'era nient'altro che quello. Probabilmente apparteneva al soldato infiltrato a Seoul.
«Taehyung?» La voce di Jay mi distrasse.
«Eh? Sì sì, ci vediamo questa sera.»
«Ok, a dopo»
«A dopo» chiusi.
Osservai meglio quel tesserino mettendolo sotto ai raggi del sole, ma la situazione non cambiò. Si vedevano solo la J e un po' di capelli scurissimi, per il resto il niente più totale.
«Ragazzi» dissi cammiando verso i soldati, impegnati a cercare delle tracce in mezzo alla sabbia chiara e umida. «Ho trovato questo» aggiunsi mettendolo nelle mani del caporale.
Il ragazzo lo ovvervò con attenzione, poi alzò gli occhi sui miei. «Signore, se trovassimo la parte mancante del documento potremmo risalire all'identità di questo ragazzo!»
«Sì ma potrebbe averlo gettato in mare.» Risposi pensieroso.
Guardai il cielo striato di nuvole bianche, volevo trovare a tutti i costi quel ragazzo, perché se veramente fosse stata una spia intendevo fermarla prima che accadesse qualsiasi cosa, anche a costo di condannarlo ingiustamente. Dovevo trovarlo a tutti i costi.
«Setacciate la spiaggia, io vado a portare questi reperti al maggiore Jun.»
«Sissignore!» Mi salutò il ragazzo, dopodiché mi misi in macchina e tornai al quartier generale.
Ebbi modo di pensare mentre guidavo in direzione della base sud coreana. La possibilità che una spia potesse trovarsi nel mio paese, e minacciarne la pace, mi stava facendo sentire nervoso e teso. Sembrava che nulla potesse farmi stare tranquillo in quel periodo: gli attacchi di panico, l'asma, i ricordi su Jungkook, i miei sentimenti per Jay e adesso... Dovevo fare i conti con un disertore, nella migliore delle ipotesi. La mia testa si era soffermata troppo a lungo sulla possibilità di una spia, e non mi lasciava respirare un attimo.
«Maggiore Jun» dissi portandomi una mano sulla fronte e mettendomi dritto.
Jun Seo-Jun, il capo reparto, si mise in piedi e mi salutò alla stessa maniera, poi i suoi occhi caddero sulle due bustine di plastica che avevo in mano, e un cipiglio confuso si presentò sulla sua faccia.
«Avete trovato qualcosa?» Chiese sorpreso.
Annuii, e con le mani tremanti gli passai il budge e la divisa militare. Il maggiore Jun le guardò attentamente, poi alzò gli occhi sui miei e un sospiro gli uscì di bocca. Non mi piaceva la sua reazione, ma rimasi zitto e immobile aspettando che mi dicesse come comportarmi. Si portò una mano sotto al mento, e iniziò a fare avanti e indietro per la stanza, assolto in chissà quali pensieri. Volevo sapere tutto, sentirgli dire che si trattava semplicemente di un disertore da interrogare e, nell'eventualità, integrare nella nostra società, ma avevo una strana sensazione.
«Questo cambia le cose.» Disse rimettendosi seduto sulla poltrona.
Le gambe mi tremavano. Cosa diamine doveva ancora accadermi?
«Che cosa vuole dire, Signore?»
«La probabilità che si tratti di una spia è salita a ottanta per cento»
«Crede che il NordCorea abbia mandato uno dei suoi a controllarci?»
«Il tesserino strappato... ci sono buone probabilità che si tratti di una spia. Capo Kim, affido a te la questione. Cercate la parte mancante del documento, setacciate Seoul e non perdete di vista il confine. Dobbiamo evitate lo scoppio di una guerra.»
«Sissignore» sussurrai impietrito.
«Taehyung, ho grandi aspettative su di te. Sei il mio soldato migliore, e presto sarai promosso. La prego di non deludermi. Lo faccia per il suo Paese.»
«Sissignore»
Quelle parole mi tormentarono tutta la giornata. Quando arrivai a casa, e mi buttai sul letto, con la faccia rivolta verso il soffitto, mi sentii ancora più teso, come se mille fili invisibili mi tenessero attaccato alle pareti, continuando a tirarmi da un lato all'altro. Il mio cuore non ne voleva sapere di calmarmi, e batteva all'impazzata alla sola idea di affrontare una guerra, che avrebbe portato solo morte e desolazione. Non potevo morire, non prima di aver visto Jungkook una volta ancora. Forse stavo solo viaggiando molto lontano con la mente, ingigantendo la situazione e facendola diventare più grande di quanto fosse in realtà, ma non riuscivo a essere sereno, e nonostante provassi in tutti i modi a distrarmi, la mia testa tornava a quella cruda condizione creata dall'intrusione di una persona sconosciuta, venuta da un Paese che era in conflitto con il mio.
Mi girai sul materasso e sospirai, quando Jimin entrò dentro la stanza e fece un sorriso caloroso. Non lo vedevo dal giorno precedente, e il suo primo pensiero dopo essere tornato da lavoro fu venire da me. Stavo ancora a casa sua, a dire il vero. Temevo che mio padre sarebbe venuto se fossi stato in casa e volevo evitare assolutamente qualsiasi tipo d'incontro con lui. Ormai, la sola idea di vederlo, mi metteva solo molta ansia addosso.
I capelli sbiaditi di Jimin creavano un'ombra strana sulle pareti; ci nascosi dentro lo sguardo per un paio di minuti, cercando dentro me stesso la forza di allontanare dalla mia mente pensieri e scenari negativi, solo che era veramente difficile. Avrei voluto che qualcuno m'insegnasse a vivere con più leggerezza, senza saltare subito a conclusioni affrettate o a stare male per cose ancora non accadute, ma io non ero nato per avere una vita facile. Io ero nato per affrontare difficoltà inaudite, avere a che fare con ansie, asme, stress e mancanze dentro al petto. La mia era un'esistenza destinata a svanire nel nulla, e solo Jay poteva aiutarmi a riemergere dal buio. Per fortuna, almeno, avevo lui al mio fianco. Speravo solo non mi stesse prendendo in giro perché se così fosse stato... Il mio cuore non avrebbe retto.
«Che succede, Taehyung? Sembri pensieroso.» Chiese Jimin sedendosi sul bordo del letto, allungando una mano per accarezzarmi la testa, riparata dal cuscino soffice.
«Si nota tanto?» Mormorai con la voce ovattata dal guanciale, praticamente stampato sulla mie guance.
«Hai praticamente scritto in faccia che sei tormentato da qualcosa. Il soggiorno con Jay non è stato come ti aspettavi?»
Mi misi seduto, a gambe incrociate, e mi persi a guardare il vuoto mentre facevo di no con la testa.
«Con Jay è andato tutto alla perfezione.»
«Uuh! Racconta, sono curioso» si mise più comodo, e appoggiò la faccia su una mano in attesa che mi decidessi a dirgli ogni cosa. Le mie guance si riscaldarono un po' e forse Jimin si accorse del rossore sulle gote, perché il suo sorriso diventò ancora più grande e luminoso.
«È stato molto premuroso. Si è persino preso la briga di pagare ogni cosa, dal pranzo, alla stanza in hotel, alla cena... sembrava proprio un appuntamento.» Strano da dire, ma ero a mio agio mentre parlavo con il mio migliore amico di lui e di ciò che avevamo fatto, senza nascondermi dietro false bugie, o omettendo alcuni particolari. Fui sincero, Jimin tanto non mi avrebbe mai giudicato e mi dispiaceva di essermene accorto tardi.
«Wow, mi piace! E non è successo niente? Nemmeno un bacetto innocente?» Chiese genuinamente interessato.
La faccia mi bolliva, ma con coraggio annuii e lui, portandosi le mani sulle guance, fece una faccia innamorata. «È successo?»
«Un bacio c'è stato, sì.» Ammisi.
Jimin fece un gridolino che, tradotto in parole, significava "approvazione".
«Non posso crederci! Quindi anche a lui piaci? È una cosa bellissima!»
Nascosi un sorriso. Jimin mi distraeva sempre, come al solito dopotutto.
«Sì beh, anche se non ne abbiamo parlato dopo. Sono stato distratto da altro oggi.» Gli spiegai facendo un sospiro stanco.
«Tipo?» Chiese lui d'un tratto preoccupato.
I suoi occhi caddero sulla divisa lasciata in disordine sulla sedia poco lontana dal letto, e si spalancarono per la sorpresa di vederla lì.
«È successo qualcosa?» Chiese di fretta.
«Pare sia stata ritrovata una spilletta nordcoreana in una grotta vicino il mare. È una specie di passaggio che collega le due Coree... speriamo sia un disertore, ma la probabilità che invece possa trattarsi di una spia è più alta.»
Jimin trattenne il respiro, poi si portò una mano sullo bocca. «Oddio... e quali sono le direttive?»
«Per ora di mantenere la calma, e di setacciare Seoul per scovare questa persona. Anche se non ti nego di essere veramente preoccupato, Jimin.»
Parlarne mi faceva bene, ma l'ansia non si placava. Jimin rimase con me tutto il pomeriggio, facemmo congetture, ci chiedemmo cosa stesse accadendo e perché, pensando a un modo per trovarlo al più presto possibile, ma era una situazione troppo difficile per essere risolta con facilità. Il mio stomaco rimase in subbuglio per tutto il giorno, mi calmai solo quando uscii dalla porta di casa Park e mi ritrovai davanti Jay, appoggiato con le braccia conserte in uno degli alberi a forma di scultura astratta. Si era precipitato da me subito dopo aver ricevuto il messaggio con la mia posizione.
Corsi subito di lui, speranzoso che la serata insieme mi portasse solo benefici e spensieratezza.

Spazio autrice: scusate per il ritardo e per il capitolo "corto", ma oggi sono stata molto impegnata! Perdonatemi 💜
Da oggi in poi pubblicherò da lunedì a venerdì, appunto per colpa degli impegni.💜💜💜

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now