Capitolo 14. Faccia a faccia con la realtà

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Capitolo 14. Faccia a faccia con la realtà

"Spazi vuoti mi riempiono di buchi, facce distanti senza un posto dove andare. Senza di te, dentro di me, non riesco a trovare riposo.
Dove sto andando? Nessuno lo sa.
Ho provato ad andare avanti come se non ti avessi mai conosciuto, sono sveglio ma il mio mondo è mezzo addormentato. Prego perché questo mio cuore non si rompa, ma senza di te tutto quello che sarò è incompleto.
Delle voci mi dicono che dovrei andare avanti, ma sto nuotando in un oceano tutto da solo. Baby, è scritto nella tua faccia: ti chiedi ancora se non abbiamo fatto un grosso errore."

L'unica cosa che ricordo è di avere stretto forte una mano, mentre mi lasciavo sopraffare dai miei sentimenti

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L'unica cosa che ricordo è di avere stretto forte una mano, mentre mi lasciavo sopraffare dai miei sentimenti. Non poteva essere vero... Speravo solo di svegliarmi da quel brutto sogno, e rendermi conto che si trattasse tutto della mia crudele immaginazione, ma quando aprii gli occhi e mi ritrovai il volto dispiaciuto di Jimin a pochi centimetri dal mio, tutto in una volta, il peso di ciò che era accaduto, mi precipitò addosso come piombo lanciato da una considerevole altezza proprio sul mio petto. Non mento quando dico di essermi sentito spinto via da una forza sovraumana e che, per colpa dell'attrito, le mie vie respiratorie venivano a meno; ma non c'era niente di cui preoccuparsi, tanto ero di nuovo lì in ospedale, attaccato alla bombola dell'ossigeno, sparato da così tanta vicinanza da sentire le mie pupille lacrimare e bruciare. Se quella doveva essere la mia esistenza, meglio se cessassi di vivere subito. L'avevo già detto in fin dei conti, no? Se avessi scoperto che Jungkook non faceva più parte di questo mondo, allora lo volevo raggiungere immediatamente. Il notiziario non aveva proprio confermato la sua morte, ma avevo una brutta sensazione e non volevo sentirmi dire che si, quelle ossa appartenevano proprio a Jungkook. Una lacrima mi rigò la guancia, mentre mi sforzavo di restare sveglio quanto meno il tempo di non fare preoccupare il mio migliore amico, ma in quel momento non possedevo nemmeno la voglia di fingere di stare bene. Mi coprii la faccia con le mani, nascondendo quelle lacrime copiose che ormai non facevano altro che scendere in continuazione, quasi come se non ne volessero sapere niente di celarsi dentro ai miei occhi. Un singhiozzo mi scappò di bocca, ma a dire il vero non mi sforzai per nulla di inghiottirlo insieme alla bile, ai risentimenti e i sensi di colpa. Volevo che restassero alla luce del sole, non meritavo di sottrarmi da loro.
Un leggero dolore al braccio m'informò che Jimin mi aveva attaccato anche a una flebo, forse troppo debole per evitarne la necessità. O probabilmente, come sempre, esagerava perché mi voleva bene. La mia vista era appannata, ma cercai comunque Jay con lo sguardo, senza però trovarlo. Ero deluso, mi aspettavo che almeno lui aspettasse il mio risveglio, che mi confortasse... E invece il vuoto dentro lo stomaco si spalancò ancora di più, facendomi venire voglia di vomitare sui pavimenti lisci e puliti dell'ospedale tutta l'ansia accumulata in quei giorni dentro di me. Seoul non sarebbe più stata la stessa ora che avevo scoperto di Jungkook... Seoul si sarebbe oscurata per me, anche se era piena di luci e schermi accesi che la rendevano così luminosa da sembrare sempre mattina.
E tutto poi... Tutto avrebbe perso il suo gusto, sarebbe diventato insapore e insipido: i tteokkbokki, il ramen, il soju... La semplice voglia di svegliarsi con il sorriso, pronto ad affrontare le giornate e la vita, uscire con Jimin, guardandosi intorno e sentirsi grati di essere vivi, realizzare i propri sogni e progetti, amare ed essere amati. Non sarebbe esistito più nulla di tutto questo, e non solo perché Jungkook era morto... Anche per Jay, per la terribile sensazione che mi attanagliava da dentro se lo pensavo. Non so come potesse essere possibile una cosa del genere; fino al giorno prima ci eravamo baciati, avevamo dormito insieme e sorriso, ma in quel momento sentivo come se si trattasse tutto di una bugia, come se lui non esistesse davvero e fosse stato creato dalla mia mente per smettere di soffrire la mancanza di Jungkook. Eppure sapevo che Jay era reale... Anche se adesso non lo sentivo più vicino come prima. Possibile che mi sentissi così solo perché non c'era al mio risveglio? In fin dei conti non sapevo nulla... Non sapevo per quanto tempo avevo dormito, se Jay fosse stato lì fino a quel momento e fosse andato via solamente da poco, o forse era andato a comprare qualcosa e sarebbe subito ritornato, ma... Il petto mi faceva troppo male, e le mie sensazioni riguardo a quella faccenda non erano del tutto tranquille.
Richiusi gli occhi, volevo addormentarmi di nuovo, se solo però mi fossi sentito al sicuro, e invece non era così. Proprio i sogni erano i posti più pericolosi  per me, perché li Jungkook veniva sempre a farmi visita e quando non c'era lui, spuntava Jay. Jay, che fino a quel momento mi aveva fatto sentire bene, adesso temevo di incontrarlo nel mio sonno per una ragione ancora a me sconosciuta, creata solo dai miei brutti presentimenti riguardo qualcosa che mi pungeva all'altezza dello stomaco, come mille spine conficcate nel mio addome: prima o poi avrei avuto un indigestione di paranoie.
Finsi di non essere sveglio, ma i singhiozzi scappati dalla mia bocca erano una chiara dimostrazione del contrario, e Jimin se n'era già accorto. Mi mise una mano sulla fronte per controllare la temperatura, poi fece un sospiro ma rimase in silenzio. Stava aspettando che trovassi il coraggio di aprire gli occhi e guardarlo, ma le mie palpebre rimasero serrate. Cosa dovevo dire? Cosa dovevo rispondere alle sue domande? "Sì, sto bene"? Ma non era assolutamente vero! Dentro di me avevo sempre sperato in un miracolo, ignorando le raccomandazioni di Jimin riguardo alle mie aspettative, e adesso mi ritrovavo a scappare dalla verità per non dover soffrire, anche se vanamente. Mi aveva ormai raggiunto, era troppo tardi per sfuggirle.
Afferrai il cellulare, sperando di trovare almeno un messaggio da parte di Jay, me le uniche notifiche che mi spuntarono davanti furono quelli di mia madre. Rischiavo di vomitarle tutte quelle delusioni.
«Tae, è tutto apposto?» Chiese Jimin con una vocina, probabilmente temeva che sarei scoppiato da un momento all'altro, ma rimasi inerte. Non aprii bocca, non fiatai. Volevo che tutto restasse così: sospeso, come in un sogno.
«Stavo pensando che dovresti allungare il tuo soggiorno a casa mia. Potremmo passare ancora più tempo insieme, così ci facciamo compagnia a vicenda.» Aggiunse.
Feci un cenno della testa, fissando ancora la parete davanti ai miei occhi.
«Tae, so che non è il momento giusto, ma la tua salute sta peggiorando. Vorrei che smettessi di pensare a cosa è e cosa sarà. Non c'è niente di confermato nelle parole che hai sentito oggi al notiziario, e non voglio che la delusione ti divori come è successo ieri. Non pensarci più.»
«Jimin, voglio stare in silenzio.»
«Taehyung... potrebbero essere le ossa di chiunque. Non hanno detto solo il suo nome quando le hanno ritrovate sul fondo del fiume Han.»
«La terribile sensazione che sento nel petto è una chiara risposta, Jimin. È come se dentro di me lo sapessi già, ma sembra che la mia testa si rifiuti di accettarlo.»
«Taehyung, non saltare a conclusioni affrettate. Non oggi, almeno. Riprenditi, mangia, dormi ed esci. L'unica medicina che adesso può farti davvero effetto è l'amore chi chi ti sta accato, e io ci sarò sempre con te.»
«Eppure manca un pezzo»
«Di cosa stai parlando?» Si mise più comodo sul materasso, e mi asciugò amorevolmente gli occhi con i pollici.
«Jay è stato qui?»
Non volevo veramente sapere la risposta, la sapevo già. La sentivo dentro di me, insieme alla sua assenza. Jay non c'era, e non mi riuscivo proprio a spiegarmi il motivo per la quale non fosse lì insieme a me.
«Non l'ho visto oggi. Perché? È successo qualcosa?» Domandò staccandomi dalla flebo, gli occhi guardinghi non mi lasciavano un solo attimo.
«No, no.»
Presi il cellulare per chiamarlo, probabilmente c'era una spiegazione valida del perché non fosse lì con me, anche se sapevo già che non avrei ottenuto niente facendo così. Ma forse pretendevo troppo, forse lo stavo sopravvalutando, o peggio ancora esageravo su ciò che stava accadendo; in fin dei conti Jungkook era disperso da diciassette anni, non potevo fare tutta quella sceneggiata perché erano state ritrovate delle ossa che, probabilmente, appartenevano a lui. Eppure... Io per Jay l'avrei fatto. Gli sarei stato accanto anche per le stupide cose che lo rendevano triste, facendogli venire il buonumore, o comunque ci avrei provato.
Il telefono suonò a vuoto per un minuto esatto, niente risposta, niente di niente. Preso dalla rabbia lo lanciai contro il muro, mandandolo in frantumi e cogliendo di sorpresa Jimin, che fece un sussulto spaventato. Ci fu un momento in cui le lacrime mi smorzarono fiato e respiro: non riuscii a fare altro che singhiozzare come un bimbo stupido che non ha ottenuto il regalo di Natale che desiderava.
«Taehyung...» Sussurrò Jimin dispiaciuto.
Nascosi le mie lacrime dietro le mani, sentendomi solo e abbandonato da chi più volevo al mio fianco in quell'istante. Non che la presenza di Jimin non fosse importante quanto quella di Jay, ma il mio migliore amico era lì con me, e sapevo che non si sarebbe mai mosso da quella sedia. Di Jay invece che certezze avevo? Si era persino rifiutato di inviare anche solo un messaggio!
«Taehyung, è per Jay? Stai male per questo motivo?»
Mi limitai ad annuire. Allora Jimin mi avvolse nelle sue braccia calde, e lasciò che appoggiassi la testa sulla sua spalla.
«Magari ha solo avuto degli impegni, vedrai che entro questa sera lui verrà.»
«Ho una brutta sensazione Jimin. Ho... Questo nodo nella gola e nello stomaco che... che mi stanno facendo sentire così male»
Jimin mi strinse più forte.
«Sei solo scosso per via del notiziario. Spegni i pensieri per un po', riposa, stai tranquillo. Jay verrà sicuramente, è un bravo ragazzo e ci tiene a te.»
«Non sono più sicuro di niente ormai»
«Dai Taehyung...»
Non volevo deludere il mio migliore amico, ma stavo così male, e anche se provavo ad andare avanti, a non pensarci, a chiudere gli occhi e fare finta di niente, in verità i miei pensieri erano sempre lì, passavano da Jungkook a Jay in ripetizione, come in un circolo vizioso.
Mi rigirai sul letto, mettendomi comodo su un fianco e coprendomi fino alla testa con le leggere lenzuola bianche, lontano dagli occhi pieni di tristezza di Jimin. Non ce la facevo a guardarli ancora a lungo.
Cercai di dormire, di dimenticare soprattutto, ma il sonno non ne voleva sapere proprio niente di raggiungermi, si rifiutava persino lui di collaborare per me. Erano passate due ore da quando mi ero rifugiato sotto le mie coperte, e Jimin era uscito dalla stanza per andare a visitare altri pazienti. Mi misi seduto a gambe incrociate sul materasso, e mi passai una mano in mezzo ai capelli madidi di sudore. Jay non si era fatto sentire, né aveva inviato alcun messaggio. Questa per me era già una risposta, e a malincuore constatai che c'ero rimasto veramente male, ma che dovevo farmene una ragione. Sarebbe passata anche quella delusione.
Trattenendo le lacrime mi misi in piedi e cercai le mie scarpe. Avevo bisogno di correre a casa di Jungkook, di parlare con sua madre e scoprire se la scientifica gli avesse fatto sapere qualcosa, ma le gambe mi tremavano e fui costretto ad aggrapparmi alle pareti, trascinandomi verso l'uscita della stanza. C'era il sole alto, e brillava con così tanta luminosità da farmi male agli occhi. Cercai di passare inosservato, non volevo farmi scoprire da Jimin, ma la sfiga mi perseguitava; Jimin stava camminando verso di me, e sembrava parecchio arrabbiato.
«Taehyung, sei pazzo? Che cosa stai facendo in piedi?» Mi prese un braccio e cercò di riportarmi indietro, ma mi scansai e feci resistenza.
Non so quanto sarebbe durata, ero molto debole e mi sentivo ancora scosso, ma non mi andava più di stare sdraiato in quel dannato letto, senza fare nulla. Avevo bisogno di risposte.
«Fammi andare. Non riesco a stare qui.»
«No! Sei ancora sotto osservazione»
«Jimin, ti prego. Devo andare in un posto. Sto bene comunque, non devi preoccuparti minimamente di me»
«Scherzi, vero? Sei pallidissimo e a malapena ti reggi in piedi. Come puoi mentirmi così? E poi, dove devi andare si tanto urgente che non puoi aspettare fino a domattina almeno?»
Mi morsi una guancia; era vero, non riuscivo a stare in piedi, mi girava la testa e sentivo il mio intero corpo appesantito, come se mi avessero messo addosso chili di vestiti. La scelta più saggia sarebbe stata quella di rimanere in ospedale, sdraiato a letto. Di certo, in quel momento, andare a crearsi altri tipi di problemi mi avrebbe solamente fatto più male, ma non riuscivo davvero a stare fermo, in bilico tra i miei pensieri più acuti, mentre aspettavo risposte che nessuno mi avrebbe portato fino alla mia stanza.
«Sto bene.» Mentii, ormai era diventato il mio stile di vita.
«Taehyung, ormai ti conosco. Dimmi la verità, stai andando a cercare Jay?» Chiese in tono morbido, quasi come se non volesse ferirmi nonostante i suoi occhi fossero taglienti come lame affilate e pronte all'uso.
«N-no… cosa stai dicendo?» Sentii le guance prendere colore, forse però, in questa maniera, Jimin mi avrebbe lasciato andare.
«Taehyung,  vai a letto. Non hai nemmeno la macchina, non puoi fare tanti metri a piedi in queste condizioni.» Mi mise una mano sulla spalla e fece per guidarmi nella mia stanza, ma mi fermai e lo guardai con disperazione. E sinceramente non ebbi nemmeno la forza di fare questo, sentivo la pressione abbassarsi a ogni singolo sforzo.
«Accompagnami tu. Vieni con me.» Gli presi una mano e la strinsi forte nella mia.
«Taehyung…»
«Ti prego. Non… non ce la faccio così»
«Mi dici che ti prende? Dove vuoi andare?»
Abbassai gli occhi. Dovevo dirglielo?
«Se te lo dico… mi prometti che mi accompagnerai davvero?» Chiesi lentamente.
Jimin sbattè le palpebre con disapprovazione, poi scosse la testa. «Se è pericoloso per la tua salute perdonami Taehyung, ma non ti accompagnerò»
«Tu consideri qualsiasi cosa pericolosa, Jimin. Ti prego, per oggi fa finta di non essere un medico.»
«Dovrei anche fingere di non essere il tuo migliore amico, se mi chiedessi di aiutarti a fare qualcosa che potrebbe danneggiarti ulteriormente. Se vuoi chiedermi di portarti all'obitorio, o peggio, a casa di Jungkook, stai sprecando fiato prezioso. Ora fila a letto, Taehyung. Non farmi arrabbiare».
Jimin aveva uno sguardo che non ammetteva repliche, e con il braccio indicò la porta della mia stanza. Feci uno sbuffo abbastanza rumoroso, ma non mi mossi. Mi rifiutavo di tornare dentro quella camera spoglia e grigia.
«Se non mi accompagni tu vado da solo.» Sussurrai a mezzavoce.
Jimin mi rivolse un'occhiata severa. «Perché continui a fare del male te stesso? Cosa speri di ottenere andando a casa di Jungkook?»
«Una risposta che mi aiuti a smettere di pensare in continuazione a questa orribile faccenda.»
«Non otterrai nulla, non oggi almeno. A quest'ora le stanno ancora esaminando.»
Mi appoggiai sulla parete, passandomi le mani in mezzo ai capelli. Lo sapevo che non avrei ottenuto risposte immediate, ma con tutto quello che mi stava accadendo in quegli ultimi tempi era veramente difficile aspettare. Preferivo stare lì, nei paraggi di casa Jeon, e avrei atteso fino a quando non sarebbe arrivato qualcosa. Anche un minimo spiraglio di verità.
«Io ci voglio andare. Sono stanco di stare qui… Jay non c'è, ho mille dubbi in testa e non riesco a smettere di… pensare.»
«Pensare a cosa?» Adesso era più comprensivo.
«Al perché lui non sia qui. Al perché non abbia inviato un solo messaggio. Si comporta in maniera strana, non è venuto nonostante sappia delle mie condizioni fisiche e… non mi va di pensare che si stia disinteressando. Voglio evitare altre delusioni.»
Jimin mi guardò un attimo, poi fece un sospiro e guardò l'orologio al polso.
«Il mio turno finisce tra cinque minuti esatti. Prima di andare ho alcune raccomandazioni da farti, Tae. Io ti accompagno a casa di Jungkook, ma se la situazione diventa pesante e tu perdi il controllo di te stesso, ti prendo e ti porto immediatamente a casa. Promettimi adesso che non fai resistenza.»
«Te lo prometto Jimin, grazie»

Il viaggio verso casa Jeon fu un vero stress per me. La tensione, e l'ansia di rientrare lì dentro, mi facevano tremare all'altezza del petto, il mio cuore non avrebbe retto a lungo. Temevo di ricevere notizie negative, che la mamma di Jungkook, guardandomi in faccia, in lacrime, avrebbe detto che suo figlio era stato ritrovato, e che tutto ciò che restava di lui erano le ossa. Mi venivano i brividi solo a pensarci.
Quando la casa di Jungkook divenne visibile oltre gli alberi del parchetto vicino, sentii il cuore stringersi. Indicai a Jimin la casa giusta, poi finalmente scendemmo dalla macchina. Fu Jimin a suonare il campanello, i pochi secondi che passarono prima che la porta si aprisse sembrarono eterni, ma quando dallo stipite sbucò fuori suo padre, sentii la pelle d'oca coprirmi braccia e gambe. Ero alle spalle di Jimin, e mi sentivo veramente protetto insieme a lui, ma ciò non bastava a calmare i miei nervi.
«Prego» disse il signore Jeon.
Aveva un volto gentile, leggermente scavato dal tempo. I suoi occhi erano due enormi lune piene, somigliavano vagamente a quelli di Jay, ma scacciai immediatamente quel pensiero crudele. Doveva sparire dalla mia testa, almeno in quel momento. Temevo di perdermi nei sentieri creati insieme a lui di giorno in giorno, e che potessero essere abbattuti dalla forza spropositata della realtà che mi richiamava ad aprire gli occhi; non gli interessava niente né di me, né della mia salute.
«Salve signore. Sono Park Jimin, un medico dell'ospedale Chalmyeon a Seoul.» Disse Jimin facendo un inchino educato.
Il papà di Jungkook spalancò gli occhi, le sue labbra presero a tremare.
«Lei... lei lavora a...» le parole gli morirono in gola, così Jimin si affrettò a spiegare ogni cosa.
«Non si preoccupi signore, sono qui solo per accompagnare Taehyung.» Si spostò per dargli modo di guardarmi, mi fissava con un'espressione concentrata, e soprattutto più serena dopo che Jimin lo aveva tranquillizzato. Probabilmente temeva che Jimin fosse arrivato a portare cattiva notizie.
«Questo nome mi è familiare»
«Sono sicuro che si ricordi di me. Giocavo con Jungkook quando eravamo piccoli.» Dissi con la voce ridotta a un sussurro.
Suo padre parve ricordarsi, ma fu interrotto dall'arrivo della moglie; uscì di corsa fuori e mi abbracciò fortissimo. Fu una sorpresa piacevole, una sorpresa che mi stava riscaldando dentro e fuori.
«Taehyung, tesoro! Ho sperato così tanto che venissi di nuovo a trovarmi. Vieni, entrate.» Mi prese una mano e mi trascinò dentro casa.
Chiusi gli occhi quando entrammo in salotto, non volevo vedere il quadro di Jungkook così gli diedi le spalle.
Ci sedemmo tutti intorno a un tavolo, la mamma di Jungkook ci offrì succhi di frutta e merendine di ogni genere, ma il mio stomaco era chiuso. Mi limitai a forzarmi di bere un po' d'acqua.
«Taehyung, sei sempre pallido. Esattamente come l'ultima volta che ci siamo visti. A proposito, ho rimproverato tuo padre per come si è comportato qualche giorno fa. Non ci posso credere che ha rischiato di farti morire per una cosa da niente.» Disse tutto di fretta,
Abbozzai in un sorriso timido, torturandomi le pellicine sui lati dei pollici.
«Grazie, signora Jeon.»
«Chiamami Woo Young. Allora Taehyung, scommetto che sei qui per le ultime notizie divulgate dal notiziario ieri sera.»
Annuii immediatamente. Le gambe mi tremavano ancora, e la voglia di scoprire cosa stava accadendo mi attanagliava da dentro.
«Taehyung, c'è una speranza» aggiunse.
«Cosa vuol dire?» Domandai impaziente.
La mamma di Jungkook si alzò e raggiunse la libreria a muro.
«Ho ricevuto uno strano pacco questa mattina» iniziò.
Afferrò qualcosa che era nascosta in mezzo ai libri, sembrava una bustina di carta.
«Che vuoi dire?»
La signora Woo Young mi passò il pacchetto, mi tremavano le mani mentre lo afferravo, e sperai con tutto me stesso di non crollare proprio in quel momento.

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Место, где живут истории. Откройте их для себя