CAPITOLO 9 - CAFFÈ NERO E PANE AL LATTE

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Si era ormai fatta l'alba che riaprirono gli occhi, i loro corpi ancora allacciati e le labbra distese in un sorriso appagato. Forse si erano appisolati per un po', ma le emozioni che stavano provando erano troppo intense per consentire loro di dormire davvero.

Oikawa si puntellò sul gomito, e restò a guardare Hajime senza parlare, sorridendo ancora, scorrendo con lo sguardo ogni più piccolo particolare del suo viso. Posò la mano aperta in mezzo al suo petto, in cerca del ritmo rassicurante del suo cuore.

Hajime gli scostò i capelli dalla fronte con una carezza mentre la luce del mattino lentamente riportava i colori sul suo viso; il rosa sulle guance, il cioccolato nei suoi occhi, e il vermiglio di quei baci troppo appassionati che gli avevano infiammato il collo e le spalle.

Scivolò con l'indice lungo la guancia, e poi passò il pollice sulle sue labbra arrossate e gonfie, incapace di staccare le mani da quella pelle di seta.

"E adesso cosa facciamo?" chiese Hajime dopo un po', tenendo il tono di voce basso, quasi timoroso che, se avesse parlato troppo forte, Tōru sarebbe potuto svanire.

"Lo rifacciamo?" propose lui, ammiccando.

Hajime sorrise all'idea, anche se chiaramente non era quello che intendeva.

Oikawa si fece subito serio, e si infilò di nuovo tra le sue braccia, la testa nell'incavo della spalla, la mano che continuava ad accarezzare il suo petto con un movimento morbido e delicato che faceva increspare la pelle di Hajime con mille brividi.

"Voglio trovarmi un lavoro." dichiarò, e Hajime aspettò che continuasse. Perché il tono era quello delle frasi solenni, delle decisioni importanti, e voleva lasciargli tutto il tempo che gli serviva.

Tōru infatti continuò.

"Ho riflettuto molto su quello che mi hai detto quella sera, che Wakatoshi non mi aveva salvato ma mi aveva comprato."

Hajime aprì bocca per scusarsi ancora una volta, ma Tōru gli pose l'indice sulle labbra in un gesto che chiedeva silenzio, e continuò.

"Ti ho detto che mi aveva restituito la dignità, ma mi sono reso conto che non era vero. Ho vissuto nella sua ombra per due anni, non avendo nulla da offrirgli se non me stesso. Non molto diverso da quello che facevo prima, tutto sommato."

L'amarezza di quella frase fu come una pugnalata in mezzo al petto di Hajime, che aveva avuto conferma da Kuroo ma ancora non conosceva i dettagli. E la semplicità dell'ammissione di Tōru lo lasciava senza fiato.

"Non voglio semplicemente cambiare letto, adesso. Non voglio vivere nella tua ombra."

E poi, dopo un istante in cui raccolse le idee, prese un respiro profondo e proseguì col volto sereno.

"Ma prima, voglio che tu sappia tutto di me, Hajime. Devi sapere quello che facevo."

"Tōru, io ti amo. Niente cambierà questo fatto." Hajime lo strinse forte a sé mentre gli dichiarava il suo amore, e gli deponeva un bacio tra i capelli.

"Meglio così, allora. Ma devo farlo lo stesso. Ho bisogno di farlo."

Hajime non lo interruppe più, e Tōru cominciò a raccontare la sua storia.

"Tralascerò la mia infanzia di bambino ricco e viziato, con genitori severi e assenti. Diciamo che tutto è cominciato quando mi sono laureato, e mio padre mi ha sorpreso a ringraziare un po' troppo affettuosamente il professore che aveva fatto da relatore alla mia tesi, e che oltretutto era un suo amico. La mia famiglia non tollera l'omosessualità, e semplicemente mi hanno cacciato di casa senza uno yen. Ero giovane e innamorato, Iwa-chan, ma anche il professore mi ha voltato le spalle, troppo preoccupato di uno scandalo. Era sposato e non voleva compromettere il matrimonio e la carriera universitaria per me. Così, mi sono ritrovato senza niente. Non avevo più una casa né una famiglia, e quella che doveva essere una brillante carriera nell'azienda di mio padre, mi era stata ormai preclusa per colpa di un pompino."

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