Capitolo 18. Baci sotto le stelle

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Capitolo 18 baci sotto le stelle. Pt1

"Imagine your face say hello to me, then all the bad days they're nothing to me*

Non so spiegare esattamente cosa è successo dopo aver lasciato Jay da solo, davanti alla porta

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Non so spiegare esattamente cosa è successo dopo aver lasciato Jay da solo, davanti alla porta. Non mi sono voltato per guardare i suoi occhi, temevo di pentirmi delle mie scelte e di tornare indietro per chiedergli scusa, rinnegando a me stesso la possibilità di capire se fosse davvero amore o no il nostro.
Dopo aver raggiunto di nuovo Yoongi, mi sono riseduto al posto lasciato vuoto, evitando come meglio potevo il suo sguardo. Avevo paura che mi chiedesse di Jay, ma per fortuna lui parlò di tutto all'infuori di quello che era accaduto pochi minuti prima in sua presenza, togliendomi di dosso un peso enorme. Ma non vidi l'ora di tornare a casa di Jimin, onestamente. Volevo buttarmi a letto e disperarmi per ciò che era accaduto, da solo e senza la pietà di nessuno a vegliarmi addosso. Se Jay non fosse venuto a cercarmi, se non mi spiegava i suoi atteggiamenti a cosa erano dovuti e perché non mi aveva fatto sapere di essere tornato a Seoul, io non avrei più mosso un solo dito nella sua direzione. Anche se era difficile, anche se sarebbe stata la cosa più dura che potessi decidere di fare, mi sarei sforzato di restare fedele alle mie scelte, per il bene di me stesso. I suoi modi vaghi iniziavano a infastidirmi, e se non mettevo una fine a quella pseudo relazione mi sarei bruciato inevitabilmente, fino a restarne ustionato.
Per tanto finsi una leggerezza che non mi apparteneva per niente mentre passavo il resto della serata insieme al mio psicologo. Risi forzatamente delle sue battute, che seppur divertenti non mi trasmisero nessuna allegria, e parlai tanto di qualsiasi argomento che mi passasse per la testa, senza però volerlo davvero. A un certo punto mi resi conto che Yoongi avesse compreso le mie menzogne, e guardando l'orologio mi fece sapere che sarebbe andato a casa perché era tardi, e io mi ritrovai subito d'accordo, volendo scappare da due ore e mezza per rifugiarmi lontano da occhi indiscreti.
Quindi guidai come un pazzo verso casa di Jimin, nel frattempo le lacrime mi rigavano le guance. È strana veramente la vita: per pura coincidenza, la canzone che passarono in radio, parlava di un amore impossibile, unilaterale, rendendo i miei sforzi per non farmi assalire dalla tristezza vani, fino al punto di piangere disperatamente. Le lacrime appannarono la mia vista, ma per fortuna ero quasi arrivato in villa Park.
Mi trattenni ancora una volta dentro la macchina, fissando il vuoto con gli occhi colmi di asfissiante tristezza. Le parole di Jay continuavano a rimbombarmi in testa come un deja-vu che si ripete all'infinito, e il cuore mi supplicava di smetterla di farmi da solo del male, ma non ci riuscivo. Jay mi era mancato così tanto in quelle settimane orrende senza di lui, e l'unica cosa che volevo era rivederlo, riabbracciarlo, parlargli ancora una volta e bearmi dei suoi sorrisi imperfetti e della gioia che mi donava la sua sola e semplice presenza, e invece... Sebbene fossi stato molto contento in un primo momento di rivederlo, erano bastate poche parole e atteggiamenti a rendermi vuoto e depresso; non aveva detto niente di quello che avrei voluto sentirmi dire; mi manchi, ti amo, stiamo insieme, scusa sono scappato via e mi dispiace per averti fatto soffrire. Niente di questo gli era uscito di bocca, nulla se non frasi preparate e per niente sincere. Mi chiedevo solo che cosa avessi fatto di male per meritare tanta sfiga, ma ormai stavo perdendo le speranze di trovare la felicità.
Passai più di mezz'ora fermo, dentro l'auto. Dopo aver cercato vanamente di calmarmi e di fingere di stare bene, un freddo inaspettato mi costrinse a scappare verso il calore dentro l'appartamento di Jimin. Speravo solamente non si accorgesse dell'angoscia racchiusa dentro le mie pupille, che non capisse i motivi per la quale mi sentissi tanto perso, che non mi chiedesse niente su Jay, perché sarei scoppiato nuovamente, mi sarei messo in macchina e sarei andato a cercarlo come un pazzo per tutta Seoul. Niente al mondo poteva farmi dimenticare quel ragazzo dai capelli scuri e gli occhi neri come la notte, e nessuno al mondo poteva prendere il suo posto. Avrei preferito mille volte restare da solo piuttosto che con qualsiasi altra persone che non fosse lui, Kang Jay.
Era arrivato come un arcobaleno nella mia vita per illuminare il mio cammino verso la guarigione dai traumi passati, quando il ricordo di Jungkook si era svegliato in me, e adesso... Una nuvola gigantesca l'aveva coperto, spegnendo la possibilità di rimarginare quelle ferite ancora tanto dolorose, lasciandomi da solo a combattere qualcosa che, di sicuro, non potevo superare da solo. Né ora, e né mai. Riuscivo a vivere solo quando Jay mi teneva la mano, ma adesso le cose erano cambiate.
Aprii la porta dell'appartamento sperando di riuscire a sgattaiolare in camera mia senza essere visto da Jimin, ma le mie speranze si distrussero nel momento in cui varcai la soglia di casa Park; Jimin era proprio davanti alla porta, e fece un respiro di sollievo quando incontrò il mio sguardo.
«Taeyung, ma lo sai che ore sono? Mi sono preoccupato tantissimo, stavo venendo a cercarti.» esordì passandosi le mani in mezzo ai capelli.
Continuavo a mettergli addosso solo tante preoccupazioni, dovevo smetterla. Dovevo tornare a casa mia.
Jimin si tolse la giacca e l'appese sull'appendiabiti attaccato alla porta, poi aspettò che facessi lo stesso per seguirlo in salotto. Non c'era modo di scappare dalla verità, non c'era modo di tenere nascoste le cose a Jimin. Avrebbe sempre chiesto cosa mi accadeva e perché fossi tanto spento e triste, anche se già lo sapeva, anche se non avevo proprio voglia di rispondere alle sue domande riguardo la mia situazione con Jay.
«Allora? Sei stato fuori? Potevi avvertirmi!» Esclamò esasperato.
Riuscii solo a fare un cenno della testa, poi ripensai a quanto accaduto e un sospiro stanco mi uscì di bocca.
«Taehyung! È tutto apposto? Hai bevuto un'altra volta?»
«Va tutto bene Jimin, e no non ho bevuto. Non alcolici, almeno. Ho preso un frappuccino e non l'ho nemmeno finito tutto.»
Il mio tono di voce aveva un non so che di flebile e indeciso, tanto da fare corrucciare le sopracciglia al mio migliore amico, che mi fissava come se avessi detto qualcosa di strano o indecente.
«Capisco. Eri da solo, o...» le sue guance si tinsero di rosso, forse temeva che fossi uscito di nuovo con Jieun, e le mie dita tremarono all'idea che potesse anche solo pensare che potessi fargli una bastardata del genere. Non appena mi aveva raccontato di esserne innamorato avevo tagliato tutti i ponti con lei, senza nemmeno pensare anche solo di invitarla a bere un caffè per dirle quelle cose di persona.
«Sono uscito con Yoongi, quel tuo amico. L'ho incontrato per caso mentre passeggiavo a Seoul. Suonava il pianoforte in una strada affollata, è molto bravo»
«Oh! Veramente? Hai passato tutto il pomeriggio e la sera con lui?» La sua espressione era sorpresa.
«Sì. Pensavo che potesse aiutarmi a distrarmi, in realtà. Le prima ore insieme a lui sono state d'aiuto. Ho scoperto che è bisessuale, sai? Non si farebbe nessun problema a uscire insieme a te, dice che sei un gran bel ragazzo» finsi un sorriso che non mi si addiceva.
Jimin quasi si strozzò, il suo viso divenne rosso per l'imbarazzo e si sventolò le mani davanti la faccia per riprendersi dal calore causato dalle sue guance colore cremisi.
«Come diamine ci siete finiti a parlare di queste cose? Aish, Yoongi non mi ha mai detto di pensare questo di me.» Balbettò.
Alzai le spalle con fare depresso. «Lui mi ha parlato un po' di se stesso. Dice che non prova più tristezza quando qualcuno che ha amato va via, lasciandolo. Allora gli ho chiesto di insegnarmi a spegnere i miei sentimenti, ma lui ha detto di no. È qualcosa molto triste, e non vuole che io smetta di amare. Poi, quasi come se fosse accaduta una magia, è spuntato Jay dal nulla.»
«Cosa? Vuoi dire che è tornato a Seoul? E avete parlato?»
Annuii, il dolore mi stava di nuovo strappando via le viscere. Era un continuo tormentarmi. Un continuo pensare a lui e solamente a lui, senza modo di poter cambiare la situazione.
«Ha ostentato una gelosia abbastanza forte, mi ha preso il polso e ha interrogato Yoongi. Credevo che sarei morto di felicità, ma...»
Gli raccontai ogni cosa con le lacrime agli occhi. Fu più forte di me, non riuscii a trattenermi. Jimin si preoccupò quando i singhiozzi mi smorzarono la voce, allungò una mano per prendere la mia e ascoltò in silenzio il mio racconto. Faceva male veramente parlarne, ma il mio migliore amico mi avrebbe aiutato a superarlo, ero sicuro che i suoi consigli si sarebbero rivelati utili anche se, di certo, non li avevo mai ascoltati.
«Io non capisco più questo ragazzo. Il fatto che sia geloso è più che palese, ma perché si comporta così?» Mi domandò.
Scossi la testa, non sapevo cosa dire, cosa fare e come comportarmi. Volevo semplicemente sprofondare, perdere la capacità di provare qualsiasi sentimento e fregarmene di quello che faceva Jay. Ma non ci riuscivo, non sapevo come si fa a diventare apatici nei confronti di una persona che amavo con tutto me stesso.
«Non chiederlo a me, Jimin. Non so più cosa fare con lui. La decisione che ho preso mi sembra la più plausibile di tutte, ma ho tanta paura di perderlo. Non reggerò il colpo, sarò assalito dalla tristezza e dalla voglia di sparire da questo mondo.»
«Non parlare così Taehyung. Lascia che sia lui a correrti dietro, senza però desiderare di sparire da nessuna parte.»
«Jimin non ce la faccio. Io voglio solo lui, negli ultimi mesi ha saputo farmi stare davvero bene e... pensare solo che potrebbe trattarsi di una bugia, mi distrugge.» Mi misi in piedi, non riuscivo a stare fermo e continuavo a fare avanti e indietro, sotto gli occhi tristi di Jimin.
«Taehyung, lo capisco. L'amore è la droga più crudele. Capisco benissimo cosa vuoi dire, ma non mi piace vederti ridotto in questo stato.»
Rimasi in silenzio. Volevo stare da solo. Anche se contro la volontà di Jimin gli diedi la buonanotte e andai a chiudermi in camera mia. La notte si presentava lunga e insonne; presi una sedia e la posizionai sotto la finestra aperta, catturato dal cielo pieno di stelle che brillavano come diamanti sotto la luce del sole. Non mi curai di asciugare le lacrime che ormai mi rigavano le guance, fissavo quei puntini lontani quasi come se sperassi mi dessero una risposta, e poi... per magia, sentii chiamare il mio nome. Per un attimo pensai stessi sognando, che il sonno mi stesse facendo dei brutti scherzi... ma quando abbassai gli occhi sul prato vidi Jay fare avanti e indietro davanti la casa di Jimin, guardava tutte le finestre e continuava a bisbigliare il mio nome. Mi misi in piedi di fretta, e con le gambe ridotte a gelatina mi affrettai a raggiungerlo al piano di sotto. Forse le stelle mi avevano ascoltato.

Giunsi nel giardino pieno di statue con il fiatone, avevo corso per due rampe e mezzo di scale con la sola volontà di incontrare quei due occhi nerissimi come la notte. Jay si guardava ancora intorno, in mia ricerca, e quando finalmente i nostri sguardi s'incontrarono le sue pupille divennero lucide e liquide come due pozzi pieni d'acqua. Un magone mi fece barcollare, ma rimasi ben saldo al terreno. Dovevo solo dimostrare di essere fermo e deciso sulla mia decisione, anche se volevo andare a stringerlo fortissimo alle mia braccia e baciargli la fronte.
«Taehyung...» sussurrò, camminando lentamente verso la mia direzione.
Stringeva i pugni lunghi i fianchi e non spostava mai gli occhi dai miei, neanche per sbatterli.
«Che ci fai qui, Jay?» Domandai, fingendo una durezza nella voce che risultò fragile e insicura.
Lui si fermò a due passi da me, tratteneva le lacrime e si mordeva le labbra, quasi stesse per scoppiare a piangere.
«Possiamo parlare?» Ecco, tremava anche lui.
Per un attimo rimasi in silenzio, poi feci un leggero cenno della testa, camminando verso le due dondole in casa Park, vicino una statua che aveva la forma di un bambino. Pensai istintivamente a Jungkook, ma lo scacciai via dalla mia mente. Ci mancava solo che mi mettessi a frignare per lui.
Ci sedemmo quindi sulle altalene, mi misi a spingermi con i piedi, lentamente e con costanza. Jay era al mio fianco, non aveva ancora aperto bocca e mi fissava, come se potessi sparire in quello stesso istante.
«Allora? Cosa volevi dirmi?» Domandai io.
Lui si mise in piedi all'improvviso, mi si parò davanti e... la sua mano avvolse il mio polso, mi tirò a sé e mi avvolse in un abbraccio stritola costole.
In quel momento cercai di respingerlo, di allontanarlo immediatamente da me e chiedergli prima delle spiegazioni riguardo a ciò che era successo in quelle settimane lontani, ma lui non aveva alcuna intenzione di lasciarmi andare e piangeva come un bambino sulla mia spalla.
«Jay, lasciami stare. Se vuoi parlare fai pure, ma non comportarti in questo modo» anche se provavo a essere duro in verità non ce la facevo. Sembravo solo un ragazzo patetico che fingeva di essere indifferente alle attenzioni di qualcuno che amava alla follia.
«Mi comporto solo come sento. Sono dannatamente triste, e l'unica cosa che voglio è abbracciarti forte. Solo così il mio cuore guarirà.» Sussurrò.
Misi ancora forza, spingendo il suo petto lontano da me.
«L'unico cuore che qui deve guarire è il mio.» Dissi con rancore.
A quelle parole lui mi strinse più forte.
«Lo so, ma anche il mio soffre. Non sopporto l'idea di vederti insieme a un altro, perdonami per prima.»
«Jay lasciami stare» Ribadii.
Forse lo facevo anch'io di proposito, a non mettere abbastanza potenza sulle braccia per staccarlo da me, dico.
«Ti prego, parliamone. Non ti voglio perdere in questa maniera»
«Puoi parlare anche senza fare tutti questi teatrini. Ci sediamo e chiacchieriamo di qualsiasi cosa tu voglia, basta che ti allontani da me.»
Non lo facevo per essere antipatico, temevo solo di soffrire.
Jay si staccò immediatamente dopo quelle mie parole, mi guardò con uno sguardo mortificato e dopodiché tornò a sedersi sulla sua altalena. Lo imitai, sentendomi sempre più in colpa per come mi stavo comportando, ma avevo resistito dal chiedergli scusa per ciò che gli avevo detto, e mi rimisi anch'io seduto sulla mia dondola, lanciandogli delle occhiate mentre lui si fissava i piedi con gli occhi lucidissimi.
«Prima ho detto quelle cose... che non pensavo. Non è vero che non m'importa nulla di te e con chi stai. Quando sono tornato a casa, la sola idea che tu fossi insieme a quel ragazzo lì mi ha chiuso lo stomaco. Allora mi sono messo a letto e ho provato a chiudere gli occhi per dormire, ma quella scena di te e lui mi continuava a spuntare in mente, e così mi sono alzato e sono corso da te.» Iniziò.
La sua mano voleva raggiungere la mia, ma continuavo a scansarmi di proposito.
«Il problema non è quello che hai fatto prima. Il problema sono le due settimane e mezzo lontano da me. Il problema è il tuo cellulare irraggiungibile, e il fatto che tu sia tornato senza dirmelo. Questi sono i problemi.» Il mio tono affilato di voce pareva sorprenderlo ancora.
«Ma sono stato davvero dai miei nonni, cerca di capirmi.» Rispose affranto.
«C'era davvero bisogno di spegnere persino il telefono? Sono stato giorni interi a cercare di chiamarti, e mi sentivo angosciato ogni volta che quella dannata segreteria mi informava della tua irreperibilità. Ho sofferto come un cane, in un periodo in cui non me la passavo bene già di mio, e ti ci metti pure tu con i tuoi atteggiamenti bipolari. Sono veramente deluso, Jay. Mi hai fatto sentire solo, e abbandonato.»
Mi misi in piedi di nuovo, non riuscivo a stare fermo.
«Non l'ho fatto con alcuna malizia. Temevo di farti soffrire, e allora ho deciso di non sapere cosa ti accadeva. Credi che io abbia avuto le cose più facili?» Domandò, nel frattempo tirava su con il naso.
L'immagine di lui che piange per via dei nostri litigi mi fece stare male. Forse mi amava davvero e stavo solo esagerando, come al solito.
«Sì, secondo me è stato più facile per te. Se così non fosse, saresti subito venuto a cercarmi una volta messo piede a Seoul. E invece hai taciuto, hai detto che eravamo solo due barche nella notte, e io ci ho creduto.»
Mi misi a fare avanti e indietro davanti ai suoi occhi tristi.
«Temevo solo... che fossi arrabbiato»
«Infatti lo sono. Torna a casa Jay, io ho sonno»
Ci volle tutta la forza dentro di me per non voltarmi e andare via, ma a un tratto mi sentii bloccato. Jay mi prese il polso e mi tirò a sé, poi mi baciò sotto un manto di stelle luccicanti.

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora