Capitolo 20. Missioni

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Capitolo 20. Missioni pt2

"And every time my heart beat..."

C'era buio nel video, la chiamata era stata effettuata la sera prima che svenissi per via dell'asma mentre mi trovavo in un locale insieme a Jay, lo capii dalla data segnalata in alto a destra sullo schermo; il giorno prima eravamo stati a Incheon...

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C'era buio nel video, la chiamata era stata effettuata la sera prima che svenissi per via dell'asma mentre mi trovavo in un locale insieme a Jay, lo capii dalla data segnalata in alto a destra sullo schermo; il giorno prima eravamo stati a Incheon, e quei ricordi mi appannarono la mente nel momento stesso in cui me ne accorsi. Che fine avevano fatto quegli istanti lì? Quando sembrava che tutto andasse bene, quando la sensazione che Jay sarebbe sempre stato al mio fianco non mi lasciava mai. Invece, negli ultimi giorni, sembrava che nulla fosse così scontato come avevo immaginato, e me ne accorgevo mentre cercavo di controllare le mie emozioni strazianti e trattenevo quelle dannate lacrime che non facevano altro che scorrere, pietose e senza ritegno. Io, quella vita lì, non la volevo più. Ero stanco di lottare per qualcosa di cui non ne valeva per niente la pena, ero stanco di soffrire e di aspettare che l'amore mi venisse a bussare sulla porta di casa. Certe cose non sono destinate a durare, aveva ragione lui. Probabilmente eravamo davvero solo due barche nella notte: ci siamo incontrati per caso, ma non ci saremmo mai rivisti. Incredibile, davvero. Nemmeno il tempo di godermi la meravigliosa sensazione di essere finalmente felice, che la realtà mi aveva buttato addosso un secchio d'acqua ghiacciato, facendomi svegliare dai miei sogni a occhi aperti. Era il mio destino, crudele, ma pur sempre destino. Con il tempo ho imparato che il fato va accettato, anche se non mi piace, perché non è qualcosa che dipende da noi, siamo solo tenuti a imparare a prendere la vita per quella che è.
Quella conclusione è stata sudata con le lacrime e il sangue, ma era finalmente giunto il momento di andare avanti, sul serio quella volta. Sì, faceva male e avrei preferito mille volte sparire dal mondo piuttosto che viverci senza Jay, ma in fin dei conti meritava davvero tutto questo da parte mia? Meritava davvero ogni lacrima versata sul cuscino? Ogni asma, ogni battito perso dal mio cuore, ogni parte del mio corpo e della mia mente che lo amava, ne valeva davvero la pena? Non so dare una risposta certa. Non si può, quando quella persona ti ha fatto sentire, anche se per veramente poco, importante. Non puoi scegliere di cancellarla dalla tua vita con un solo schiocco della dita, se fosse così semplice non esisterebbero le canzoni d'amore strappalacrime, nemmeno i libri drammatici, né le poesie più belle che ho letto nel corso della mia esistenza. Tutto perderebbe il suo valore, e al mondo non esiste una sola emozione, o persona, o addirittura luogo, che non lo possegga. Siamo fatti di carne, ossa e lacrime.
Sostengo che a volte bisogna lasciare perdere. Bisogna mollare la presa, bisogna smettere di combattere per qualcosa che non è destinata a durare. Non ci credo più alle frasi motivazionali che mi ficcava Jimin in testa quando mi demoralizzavo a lavoro, o nella vita sentimentale.
"Se ci credi si realizza" esiste solo nei libri, e la mia vita non lo era, e se per una qualche ragione a me sconosciuta lo fosse stato, si sarebbe trattato sicuramente di un dramma disperato. Non per essere pessimista, ma ormai non mi importava più niente se tutto andava a rotoli. Era destino, e di sicuro non ero stato io a sceglierlo.
Per tanto mi munii di una buona dose di apatia mentre osservavo il video che il maggiore Jun aveva scelto di mostrarmi. Mi sentito ancora scombussolato, febbricitante e malinconico come il paesaggio a Parigi: il cielo sopra la mia testa era grigio, anche se fuori c'era il sole.
«Sembrerebbe un ragazzo giovane, qualcosa non torna» bisbigliò il maggiore, svegliandomi dai miei pensieri.
Mi ero distratto di nuovo, anche se mi ero ripromesso di non pensarci.
Scossi la testa, come se potesse aiutarmi ad allontanare tutte le congetture che l'abitavano, e mi concentrai a guardare il video, pizzicandomi la gamba nel tentativo di restare attento.
La cabina telefonica grigia era situata a qualche metro dalla telecamera di sorveglianza. C'era un via vai di persone distratte, alcune dal cellulare, altre da chissà quali pensieri, e una era chiusa proprio lì dentro. Era un ragazzo poco più alto di me, vestito tutto di nero. Indossava una cappellino sportivo con visiera, la mascherina nera gli copriva metà volto e gli occhi erano nascosti da un paio di occhiali con le lenti scure. Mi ritrovai a trattenere un sorriso amaro mentre mi mordevo le guance e battevo i piedi, nervoso, sul pavimento: tutto somigliava a Jay, persino un ragazzo sconosciuto e con il viso coperto.
«Siete sicuri che la chiamata sia stata fatta da questo ragazzo?» Domandai, un po' per distrarmi e un po' per un quesito curioso che mi si era appena acceso in mente.
Fino a quel momento avevo pensato che ad averci segnalato le ossa fosse stato il rapitore, o l'assassino, di chiunque appartenessero: considerando che fossero i resti di Jungkook, sparito diciasette anni prima, il suo assassino non poteva che essere una persona grande, almeno sulla sessantina. La madre di Jungkook aveva ricevuto un sacchetto che conteneva il bracciale del figlio, e tutto combaciava secondo i suoi ricordi: era dorato, e una delle due J rovinata. Mi portai una mano sotto il mento mentre il video scorreva e il ragazzo lasciava la cabina per dirigersi sulla parte opposta della strada, dove il campo visivo delle telecamere terminava. Chi diamine era quel tipo? E chi aveva lasciato il bracciale sugli scalini di casa Jeon?
«Il video termina qui» la voce del maggiore Jun raggiunse le mie orecchie da lontano, come se fosse in un'altra stanza.
Sbattei le palpebre in maniera perplessa e pensierosa. Qualcosa non tornava da quella situazione lì. Cosa poteva saperne un giovane ragazzo? Possibile che fosse stato lui a buttare quelle ossa false dentro il fiume? E a quale scopo poi? Ci stava depistando?
«Non capisco, Signore» riuscii a dire.
Avevo la tachicardia, ormai il mio nervosismo era a fior di pelle.
«Nemmeno io. Sento una strana sensazione, in verità. Anzi, più che una sensazione è una teoria.» Rispose.
Rimasi in silenzio, forse ne avevo una anch'io. Tutto era iniziato quando la divisa e la spilletta nordcoreana era stata ritrovata, non poteva essere un caso. Secondo le indagini, il ragazzo venuto dal paese nemico era alto più o meno un metro e ottanta, aveva una corporatura slanciata e, dai resti del budge, anche i capelli scurissimi: tutto si ricollegava alla persona ritratta dal video delle telecamere di sorveglianza.
«Signore, e se fosse proprio lui il disertore arrivato dalla Corea Del Nord?» Le parole lasciarono la mia bocca nemmeno il tempo di formulare il pensiero.
Molto probabilmente la teoria del maggiore Jun non era uguale alla mia: fece una faccia sorpresa e spalancò gli occhi quando comprese il significato delle mie teorie.
Rimase in silenzio un solo attimo, poi si sporse in avanti come se quello che stava per dire doveva essere ascoltato solo da me. Che cosa stupida, non c'eravamo che noi due in quella stanza.
«È possibile. Ma un disertore nordcoreano come fa a sapere della cronaca nera del Sud?» Mi chiese a bassa voce, risvegliando dei dubbi all'interno della mia testa. Effettivamente era vero.
«I ragazzini spariti nel duemilacinque e nel duemilasei sono stati archiviati due anni e mezzo fa. Le informazioni del Sud non possono arrivate al nord, a meno che qualcuno faccia da tramite e le divulghi di nascosto in cambio di soldi. Ma, mi chiedo, cosa c'è d'importante nel sventolare ai quattro venti della scomparsa di un bambino? Chi pagherebbe per avere queste informazioni?»
Giusto, per alcune persone la perdita di Jungkook non era importante tanto quanto lo era per me. Mi ritrovai a stringere i denti allora mentre cercavo di digerire le parole del maggiore Jun, esagerando ancora una volta. Dovevo imparare a lasciare andare via anche Koo.
«La signora Jeon ha ricevuto uno strano pacchetto qualche giorno fa» sputai deciso.
Quel ritrovamento non era stato denunciato, per cui il maggiore Jun non era a conoscenza. Fece una faccia strana infatti, sembrava stordito.
«La signora Jeon?» Domandò.
«Sì, la madre di Jeon Jungkook, il bambino scomparso nel duemilacinque. Il giorno dopo il ritrovamento delle ossa, ha trovato questo pacchetto sugli scalini di casa. Conteneva un braccialetto che appartiene al figlio, che sembrava confermare la verità sulle ossa ritrovate dentro il fiume prima si scoprisse che fossero un falso.»
C'era una nota risentita nella mia voce, che avrei tanto desiderato nascondere, ma si trattava di qualcosa che andava ben oltre le mie semplici volontà. Non concepivo le persone che davano poca importanza a quell'evento terribile, mi colpiva in prima persona perché io, che speravo e pregavo ogni notte che potesse essere ritrovato, soffrivo la sua mancanza.
«Aspetta Taehyung, non capisco! Come fai a saperlo? Non è stato segnalato nulla al comando delle forza armate.» Il suo tono di voce si alzò, quasi lo infastidisse la sola idea che potesse essere all'oscuro di qualcosa di molto importante come quella.
«Lo so perché... io ero molto legato a Jungkook quando eravamo piccoli. Conosco la madre, e mi ha raccontato del ritrovamento del bracciale non appena ci siamo incontrati.» Sputai fuori.
Il maggiore mi rivolse degli sguardi confusi, il suo petto faceva su e giù in maniera irregolare.
«Questo cambia completamente la faccenda! Siete sicuri che il bracciale appartenga davvero a lui?» Domandò interessato e sconcertato insieme.
Fu una vera sfida abbassare la testa, per dire che sì, era più che sicuro. La situazione mi metteva una certa ansia addosso, perché qualcuno lì fuori sapeva di Jungkook, aveva i suoi effetti personali e probabilmente conosceva anche la verità sulla sua scomparsa. E io, più che mai, volevo trovare quella persona e interrogarla, anche a costo di farmi male per la realtà che mi sarebbe stata rivelata.
«Siamo sicuri. Il bracciale di Jungkook aveva due J nel ciondolo, stavano per "Jeon Jungkook". Ecco, una J si era rovinata, esattamente come quella del bracciale rinvenuto dentro il pacchetto.»
Mi sentii come più leggero adesso che lo avevo detto. Un sospiro risalì dai miei polmoni per trovare fuori dalla mia bocca la libertà, lasciando con sé
una traccia di malinconia.
«Vicino casa Jeon ci sono delle telecamere di sicurezza?» Domandò lui appuntandosi qualcosa sul taccuino.
Mi ero perso sul sentiero dei miei ricordi, quello che mi riportava passo dopo passo a Jungkook, per tanto fui costretto a chiedere al maggiore Jun di ripetere.
«Come?»
«Vicino casa Jeon, ci sono delle telecamere?»
«Non lo so.»
«Allora vai, t'incarico di andare a controllare la zona. Chiedi a chiunque, anche alla madre di Jungkook. Se veramente la spia nordcoreana e il ritrovamento delle ossa sono collegate, riusciremo a beccare il disertore.»
E con quelle ultime parole mi congedò.
Guidare in quelle condizioni fu una cosa così difficile che rischiare di non colpire un palo della luce, o schiantarsi su un muro, era impossibile, ma contro ogni mia aspettativa, e forse un aiuto dal cielo, ero arrivato sano e salvo alla mia destinazione.
Parcheggiai l'auto davanti la casa di Jungkook, ma ebbi bisogno di un paio di minuti di solitudine per trovare dentro di me il coraggio di scendere e suonare alla sua porta. In quel momento, ogni cosa passata mi si proiettò davanti agli occhi, come se in punto di morte: qualcuno mi ha detto che quando la vita volge al termine, tutte le parti più belle di essa fioriscono dai punti più profondi dell'anima, anche quelli che pensavi di non ricordare. Solo che c'erano due controversie fondamentali a cui dare conto: ero vivo, e ciò che era tornato alla mia mente non era per niente bello, o felice.
Ho ricordato dell'asma dopo il sogno, dei pianti, delle grida di Jay, dell'abbandono. E non so perché ci pensai proprio in quel momento, ma mi spiazzò. Il mio petto si riempì d'aria, ma mi sentivo comunque soffocare. Istintivamente respirai la medicina dentro l'inalatore, calmandomi all'improvviso. Era da tanto tempo che non mi accadeva di trovare nell'inalatore l'unica fonte di vita. Mi chiedevo cosa sarebbe accaduto se avessi lasciato che l'ossigeno non raggiungesse le mie vie respiratorie. Chissà se in quel modo avrei trovato la mia pace.
Prima di uscire dall'auto controllai le notifiche del cellulare, rimanendo ancora una volta deluso dall'assenza di notifiche da parte di Jay. Controllai il suo ultimo accesso, e con un magone mi chiesi cosa stesse facendo in quel momento, dove fosse e se stesse bene. Non si collegava da tre giorni, quando eravamo stati insieme. Era straziante non sapere nulla di lui.
Decisi di non soffermarmi troppo su quel dettaglio, tanto avevo tutta la mia esistenza davanti per rammaricarmi delle cose che non erano andate bene. Chiusi l'auto con più violenza di quanta ne volessi mettere, e camminai sulle strade del mio vecchio quartiere con un buco nello stomaco. Ero pronto a cercare la qualsiasi fonte che mi rivelasse chi era stato a portare quel bracciale a casa Jeon, e mi preparai mentalmente a incontrare di nuovo sua madre, ignaro che alla sede militare dove lavoravo era appena scoppiato il panico.

#spazioautrice
Ho creato la playlist ufficiale di tutte le canzoni usate fin'ora sul libro "sul sentiero dei miei ricordi", la trovate su Spotify con il nome della Fanfiction!🤩

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now