Capitolo 21. Un sentiero fatto di ricordi

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Capitolo 21. Un sentiero fatto di ricordi pt2

"I love you for infinity"

Non era il momento perfetto per darmi una notizia del genere, non mentre guidavo la macchina, già in stato confusionale e amareggiato per i ricordi svegliati insieme alla mamma di Jungkook, non mentre ero già assalito dall'ansia per motivi legati ...

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Non era il momento perfetto per darmi una notizia del genere, non mentre guidavo la macchina, già in stato confusionale e amareggiato per i ricordi svegliati insieme alla mamma di Jungkook, non mentre ero già assalito dall'ansia per motivi legati al passato e al contempo al presente. Che ci facevano le mine antiuomo a Seoul? La teoria allora che ci fosse una spia era appena stata confermata. Un giovane ragazzo nordcoreano era stato mandato nel sud a compiere una missione, una missione che portava il nome di "guerra". Non poteva trattarsi che di questo, massacro, desolazione, sangue.
«C-cosa?» La mia voce era un sussurro terrorizzato.
«Ti aspettiamo al confine Taehyung, sbrigati.» E la chiamata terminò.
Il cellulare mi scivolò dalle mani, cadde ai miei piedi e il silenzio mi avvolse. L'unico suono che veleggiava l'aria dentro la macchina era quella della mia tachicardia: il mio cuore sembrava un tamburo impazzito, e non riuscivo a calmare i nervi. Tutto quello che avevo sempre temuto si stava realizzando, e avevo paura che quella faccenda finisse nei peggiori dei modi esistenti. Non c'erano già abbastanza traumi nella mia vita? Dovevo aggiungere altri problemi a quella misera esistanza?
Non potei non pensare al sogno fatto la sera prima, quando Jungkook, cresciuto, sano e bello, mi chiese di lasciare l'esercito. Una strana sensazione adesso mi aggrediva, ovvero che veramente fosse un angelo venuto a informarmi di una tragedia che sembrava stare per scoppiare. Non poteva esserci una guerra, non in quel momento… dovevo chiarire molte cose con Jay, tante altre con i miei, non potevo scomparire da quel mondo senza aver prima compreso la verità sulla sparizione di Jungkook, e dovevo ancora trovare la mia felicità.
Quasi quasi mi passò per la mente di scappare via, correre a casa, prendere qualche vestito e volare per un luogo lontano, ma non ero pronto a essere etichettato anch'io come un disertore traditore della patria. Non se ne parlava proprio di abbandonare il mio Paese in quel modo.
Per tanto accelerai, distruggendo in un solo secondo tutti i buoni propositi che mi ero promesso di portare a termine: niente più Jungkook, niente più Jay e niente più normalità. Il dovere mi chiamava a prestare servizio, e se dovevo morire per salvare Seoul l'avrei fatto. Tanto, di vivere in quel mondo, non me ne fregava più niente.
Eppure, per una strana ragione, stavo piangendo mentre superavo il limite di velocità. Le lacrime appannarono i miei occhi, rendendo la mia vista inutile. Forse avrei fatto qualche incidente, e allora i miei sforzi sarebbero stati vani. Ma avrei trovato la mia pace, in questo modo? Avrei incontrato Jungkook in un paradiso lontano?
Per mia sfortuna arrivai sano e salvo alla zona demilitarizzata. C'erano un gruppo di militari e uno della polizia, e ispezionavano la zona con circospezione, nel frattempo posavano qualcosa all'interno di valigette ventiquattro ore. Sembrava un'operazione delicata.  Anche se tremavo, scesi dall'auto e mi precipitai verso il maggiore Jun. Ci salutammo con il solito saluto militare, poi si portò le mani sui fianchi e fece un sospiro.
«Ci prendono in giro?» Domandò guardando la vastità della zona: l'erba alta nascondeva qualsiasi piccola cosa nascosta lì dentro, la celava tra le ombre scure della natura.
«Allora? Ci sono davvero delle mine antiuomo?» Chiesi velocemente.
«No, le abbiamo esaminate. Anche queste sono false. Mi chiedo che cosa stiano escogitando quelli lì.» Rispose.
Parve che la mia tensione si fosse del tutto sciolta dopo aver compreso che non c'era alcun attacco di guerra. Certo, si trattava di terrosimo mediatico ed era grave, ma almeno non erano vere provocazioni.
«Io non capisco. Prima le ossa false, poi le mine finte. Si stanno davvero prendendo gioco?» Chiesi arrabbiato.
Volevo rintracciare quel ragazzo, quello ritratto dai video della sorveglianza. Lui sapeva ovviamente cosa stava accadendo, molto probabilmente era stato l'artefice di tutto. Doveva continuarmi a tormentare in quella maniera?
«Qualcuno si sta divertendo a giocare con la nostra pazienza. Hai recuperato i video davanti a casa Jeon?»
domandò cambiando discorso. Nel frattempo un poliziotto chiuse la valigia con un rumore sordo.
«Sì, sono dentro la macchina.» Dissi distratto.
C'era freddo, avevano paura di scoprire la verità e… poi si era appena accesa una strana paranoia dentro la mia testa. Ma non poteva essere, ci speravo. All'improvviso, il fatto che Jay fosse scappato dall'ospedale mi sembrava strano. Curiosa anche la strana somiglianza con il ragazzo ripreso dalle telecamere di sorveglianza: stessa corporatura, stesso colore di capelli… non è che fosse scappato dalla Corea Del Nord? In fin dei conti, pensandoci bene, gli avevo raccontato di Jungkook, di cosa gli era successo. Sapeva che lavoro facevo… non sarebbe stato strano, effettivamente, persuadermi per sottotrarmi informazioni e poi creare diversivi così da non essere scoperto mentre tramava chissà cosa. E poi, era stato ritrovato un piercing nero vicino le rive del fiume Han: tutto pareva ricondurre a Jay… anche se speravo che così non fosse. Eppure ci fu un secondo in cui l'asma mi soffocò. D'un tratto non mi andava più di mostrare quelle registrazioni al maggiore Jun, temevo che Jay sarebbe stato condannato, temevo che veramente riconoscessi in lui tutti gli scandali che stavano accadendo a Seoul, e lo amavo tantissimo ma, se avessi saputo che Jay era venuto a Seoul per creare danni, non sarei riuscito a perdonarlo.
Troppe coincidenze, troppe cose che si somigliavano.
«Andiamo a vederli allora» mi diede una pacca sulla schiena, facendo strada in direzione della mia auto.
Rimasi bloccato per qualche secondo, con le gambe che rifiutavano di muoversi. Prendere quelle registrazioni significava scoprire che, molto probabilmente, chi aveva lasciato il pacchetto a casa Jeon fosse lo stesso ragazzo che aveva denunciato il ritrovamento delle ossa. Significava temere che fosse Jay, e non mi andava di ricevere un'altra delusione. Quindi cercai di formulare una scusa plausibile per non dover vedere quei video, magari potevo dire che avevo un impegno, così sarei corso via con la chiavetta stretta tra le mani, ma ero sicuro che l'avrebbe voluta portare con sé in un luogo sicuro, dove poteva conservarla senza il timore che qualcuno la prendesse e se ne sbarazzasse.
«Capitano Kim?» Mi distrasse lui.
Alzai gli occhi sui suoi, mi sentivo stordito e confuso. Non sapevo cosa fare.
«Stai bene?» Mi domandò.
Feci un leggero cenno della testa. Non potevo fare altro che seguirlo, non avevo idea di cosa inventarmi per evitare di vedere i video dentro la chiavetta usb.
Senza dire una parola tirai fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni e aprii la macchina; la fonte delle nostre informazioni si trovava dentro lo sportello del cruscotto.
Speravo che non funzionasse, che i file fossero danneggiati e non fosse possibile vedere anche un solo secondo di quei video. Camminavo a fatica, barcollando qua e là come se fossi ubriaco marcio. Sbattei la spalla sulla porta dell'ufficio, inciampai sui miei stessi piedi e mi cadde il cappello di mano un paio di volte.
«Sicuro che stai bene? Sembri nervoso» disse prendendomi alla sprovvista.
«Eh?» Dissi.
«Sei distratto. Hai rischiato di farti male tre volte in un paio di secondi o poco di più mentre entravamo dentro l'ufficio.»
Abbassai gli occhi, non sapevo mentire ma non avevo altra scelta che provarci.
«Sì sì, va tutto bene. Sono solo in convalescenza ancora, mi gira la testa» non era vero, ma speravo mi lasciasse andare se avessi mentito sulla mia salute.
«Ancora? Allora non ti ruberò troppo tempo. Guardiamo questi video e vai a riposare. Ci sarà molto da fare prossimamente, e voglio che tu sia al massimo delle tue forze.» Rispose accendendo il pc.
Non dissi niente, mi tremarono solo le dita quando gli passai la chiavetta. Il maggiore Jun non aspettò un solo secondo, la collegò immediatamente alla porta usb del computer e fece partire la registrazione.
Il sole era alto sul quartiere in cui sono cresciuto: le casette a schiera brillavano di colori vivaci e allegri, e casa Jeon si trovava proprio in mezzo, si vedeva perfettamente nell'inquadratura. Un cane si trovò a passare da lì, era un dobermann marrone scuro. Scodinzolò qualche secondo guardando qualcosa che non era ritratta dalle telecamere, poi zampettò vicino la cassetta della posta della casa di Jungkook, e rimase lì fermo ad aspettare qualcuno, che non tardò a entrare nell'inquadratura. Il mio cuore perse un battito quando vidi un ragazzo alto camminare a passi lenti e strascicati verso quella casa. Indossava la mascherina nera, il cappuccio della felpa sulla testa nascondeva i capelli, ma la sua copertura era proprio quella del ragazzo ripreso vicino il fiume Han, lo stesso identico corpo di Jay.
Istintivamente iniziai a sbattere le unghie sul tavolo, non toglievo gli occhi di dosso lo schermo.
Il ragazzo sembrò lasciare qualcosa sugli scalini, un pacchetto marroncino e malconcio, poi scese di nuovo, chiamò il cane a sé e gli accarezzò la testa. Mentre lo faceva però i suoi occhi si persero nel vuoto, quasi stesse pensando a qualcosa di molto importante.
Il mio cuore batteva all'impazzata. Si trattava sicuramente dello stesso ragazzo, ma se fosse Jay o meno non riuscivo ancora a dirlo con sicurezza. Di certo, le coincidenze che avevo appreso, e le somiglianze di lui trovate anche in Jay, mi mettevano inquietudine addosso. Avevo la strana sensazione che le mie teorie fossero vere.
Dopo essersi passato la manica della felpa sugli occhi si allontanò insieme al suo cane, e allora mi ricordai di un dettaglio sconvolgente; Jay aveva detto a Jieun, la ragazza che ha intavolato una conversazione con me e lui la mattina della colazione, che anche lui aveva un cane. Spalancai gli occhi non appena constatai quella realtà. Forse veramente non mi sbagliavo.
«Sbaglio o è lo stesso ragazzo della cabina telefonica?» Domandò il maggiore Jun interessato mentre spegneva tutto.
Faticavo a respirare.
«Dice?» Mentii.
«Sì. Le due cose sono sicuramente collegate, ma non trovo alcun aggiornamento della situazione. Poniamo caso che sia lui il disertore nordcoreano, come faceva ad avere il bracciale del piccolo Jungkook? E come fa a conoscere la sua storia?»
Il mio petto martellava. Forse c'era la possibilità che allora non fosse Jay, e un po' mi sentii più leggero. Effettivamente lui non poteva sapere che Jungkook possedesse quel braccialetto, la situazione cambiava in quella maniera.
«Non ho completamente idea di quello che sta accadendo.» Dissi, meno teso.
Mi allontai dall'edificio con mille ipotesi nella mia testa, ma finalmente Jay non ne faceva più parte. Ciò di cui convinsi però, fu che qualcuno a Seoul conosceva la storia di Jungkook, ed era anche una persona molto giovane. Pensai addirittura che potesse trattarsi proprio di lui, e il mio cuore tremava alla possibilità che Jungkook fosse vivo, che stesse bene e non avesse dimenticato il suo passato, anche se… speravo non fosse un disertore, ma la persona sembrava la stessa.
Sbuffai scocciato quando fui all'aria aperta. Possibile che non si potesse venire a capo di quella dannata situazione?
Mi appoggiai sul muro vicino con gli occhi socchiusi, stanco e avvilito. Volevo cambiare città, distrarmi da tutto quello che stava accadendo… i miei pensieri furono distratti dalla notifica del mio cellulare. Me lo portai sotto gli occhi con distrazione, poi spalancai la bocca mettendomi dritto;

Jay: Ciao Taehyung. So che non merito niente da parte tua, ma ho bisogno di parlarti. Ci possiamo vedere tra poco?

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now