Capitolo 22. Forse sono state le stelle

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Capitolo 22. Forse sono state le stelle pt 2/3

"No one can rewrite the stars."


«Jay? Che ti succede? Grondi d'acqua» dissi dandogli dei leggeri colpi sul viso.
In risposta lui mi strinse forte una spalla, nel frattempo aveva nascosto il suo sguardo nell'incavo del mio collo, e il suo respiro caldo mi fece venire i brividi dalla base della schiena fin sopra il punto in cui Jay si era rifugiato. Doveva smetterla di atteggiarsi in quella maniera… prima mi abbandonava, poi tornava all'improvviso e si comportava come se non fosse accaduto nulla tra di noi, e le cose fossero uguali a prima. Non era così, per niente. Era tutto cambiato, c'erano nuovi dubbi nella mia testa e non sapevo più se fidarmi o meno di lui. Sì che era tutto cambiato, e Jay non poteva fare finta di niente, ma la sua faccia era molto pallida e la sensazione che stesse veramente male mi martellava nella testa come un deja-vu continuino. Potevo lasciarlo in quelle condizioni? Certo che no. Io quel ragazzo continuavo ad amarlo, più della mia stessa vita e oltre al fatto che potesse essere una spia venuta dal nord per fare scoppiare delle guerre indesiderate nel mio Paese. Eppure Jay era stato tanto gentile con me… e forse non riuscivo ad accettare la possibilità che mi avesse preso in giro e che di vero, nella sua persona, c'era veramente poco.
«Grazie per essere qui. Pensavo che non saresti venuto» sussurrò sul mio orecchio.
La sua fronte scottava, gli era venuta la febbre. Chissà per quanto tempo aveva aspettato sotto la pioggia, sperando nel mio arrivo. Forse i suoi sentimenti erano reali, non avrebbe preso sennò tanta acqua per una cosa che non era sicura accadesse.
«Sei bagnato fino alle ossa! Mi spieghi che diamine ti passa per questa testa?» Mi alterai.
«Soffro. Soffro per tutte le cose che sto facendo» la sua voce era un soffio impercettibile, debole e spento.
«È un motivo valido per startene qui, sotto il temporale, e ammalarti?»
«Sarebbe opportuno che morissi, ora e subito tra le sue braccia, così me ne andrei felice»
«Smettila di parlare in questa maniera! Cosa diamine ti prende adesso? Queste parole dure mi stanno facendo soltanto innervosire»
Jay rimaneva attaccato a me, stretto stretto, come se questo potesse aiutarlo a sentirsi meglio. E non capiva che così facendo il mio cuore urlava di felicità, perché credeva che lui avesse bisogno di me quando in verità si era comportato male per più di una volta, convincendomi del contrario.
«Taehyung, non merito la tua compassione, né il tuo cuore o qualsiasi parte di te e del tuo corpo. Ma, adesso, lascia che il tuo profumo mi faccia sentire protetto e amato una volta ancora, l'ultima, poi ti giuro che scomparirò per sempre e non ti farò mai più del male.»
Finalmente si mise dritto per potermi guardare negli occhi. Mi passò due pollici sulle guance, fissandomi come se potessi scomparire da un momento all'altro, e un sorriso debolissimo si fece largo sul volto pallido e umido. Era sincero, lo vedevo nella lucidità delle sue pupille.
«Per ora stai zitto e andiamo a casa mia. Hai bisogno di una doccia calda e dei vestiti asciutti. Forza» gli presi una mano e cercai di trascinarlo verso la mia auto, ma lui fece resistenza.
«Aspetta… ti prego, devo dirti tante cose e…»
«Me le dirai a casa mia. Non capisci? In questo modo mi stai solo facendo preoccupare. Prima ti metti al sicuro e prima ascolterò cosa hai da dire, ma se cerchi ancora di restare qui fuori, con il freddo e la pioggia mentre hai la febbre, perdi solo il tuo tempo. Non ascolterò nemmeno una parola, se prima non sarai al caldo»
Jay tremava di freddo. Istintivamente intrecciai le mie dita alle sue, e i suoi movimenti si fecero più leggeri e morbidi. Continuava a fissarmi con quella disarmante tristezza, mischiata alla malinconia e alla, probabilmente, gioia di avermi lì, insieme a lui. Poco convinto mi seguì dentro la macchina, e si accomodò sul sedile del passeggero. Misi subito in moto, e accesi il motore così che tutto lo spazio si scaldasse.
«Togliti questa giacca e questa felpa. Sbrigati!» Gli dissi mentre mi liberava del mio giubbotto, ma lui mi fermò.
Mi mise una mano sulla spalla e con debolezza scosse la testa.
«Non lo merito» sussurrò
«Vuoi stare zitto e ascoltarmi? Togliti questi vestiti bagnati e indossa il mio giubbotto.»
Jay deglutì, non riusciva a togliermi di dosso lo sguardo nemmeno un attimo. Sembrava innamorato.
Rimase immobile mentre osservava tutti i miei movimenti. Mi ritrovai a dover sbuffare sonoramente quando lui si rifiutò di nuovo d'ascoltarmi. Allora, senza pensare, lo afferrai per il colletto della giacca e gliela sfilai, la felpa fece la stessa fine. Il suo petto bianco era coperto di piccoli brividi e goccioline d'acqua. Con le mani cercai di asciugarlo, notando un livido violaceo sul fianco che mi preoccupò. Lo sfiorai con le dita, e lui immediatamente lo coprì con il palmo, scansandosi da me.
«Che cosa hai fatto?» Domandai a voce alta.
Jay si morse una guancia, tratteneva le lacrime e il dolore.
«Hai detto che avremmo parlato una volta arrivati a casa tua» disse, le sue labbra erano viola per il freddo quindi, anche se volevo scoprire quanto prima possibile come si fosse procurato quella ferita, mi affrettai a fargli indossare il giubbotto e a partire sulle strade scivolose.
«Mi aspetto che tu sia sincero, Jay. Se vuoi parlarmi faresti meglio a dirmi la verità su ogni cosa.»
Dissi concentrato sulla guida. Lui annuì.
Mi faceva tenerezza, sembrava indifeso e piccolo in quel momento, e si nascondeva da me come se si vergognasse anche solo a farsi guardare. Che stupido! Ero così bello che cercare di non mangiarselo con gli occhi era una sfida. Avrei dato via ogni cosa pur di annegare in lui, sentirlo tanto vicino da poter ascoltare i battiti del suo cuore, sfiorarlo e avere la certezza che lui mi apparteneva come io appartenevo a lui, senza il timore di soffrire.
Lo ressi sulla mie spalle mentre lo aiutavo a raggiungere il calore di casa mia; suonai il campanello e aspettai che Jimin venisse ad aprirmi, e quando i suoi capelli scoloriti sbucarono oltre lo stipite della porta, le sue sopracciglia si alzarono e i suoi occhi si spalancarono. Corse immediatamente ad aiutarmi, e mentre prendeva Jay per un braccio gli rivolse un'occhiata obliqua.
«Che cosa diamine è successo, Taehyung? Perché Jay è così bagnato?» Domandò preoccupato.
Adagiò Jay sul divano, che si rannicchiò in se stesso per cercare un calore che sembrava non raggiungerlo. Andai a prendere una coperta e il mio pigiama, Jimin mi seguiva.
«Allora?» Chiese.
«Ha aspettato sotto la pioggia chissà quanto tempo. Credo abbia la febbre, in più ho rinvenuto un livido sul suo fianco. Vorrei che lo visitassi» risposi senza guardarlo.
Afferrai anche un asciugamano, e feci per tornare da lui ma Jimin mi prese un polso e mi costrinse a fermarmi.
«Aspetta! Ti ha dato una motivazione valida ai suoi comportamenti? Ti ho detto che non lo avrei perdonato se ti avesse fatto del male» commentò, poco contento.
«Jimin, ancora non ci siamo detti un bel niente. Non riesce nemmeno a parlare chiaramente e sta male. Non credi che il fatto di aver aspettato il mio arrivo sia una chiara dimostrazione? Fallo stare un po' meglio, ha promesso che mi avrebbe detto la verità»
«Se solo lo meritasse…» digrignò i denti.
«Fallo per me, Jimin» lo interruppi.
Il mio migliore amico sbuffò, poi fece un cenno della testa.
«Ok»
Tornai di corsa da Jay; mentre Jimin cercava il termometro e metteva sul fuoco dell'acqua per riscaldarla e preparargli un tè caldo, io aiutai Jay a liberarsi dai vestiti bagnati, cercai di asciugarlo e poi gli feci indossare il mio pigiama. Dopodiché lo accucciai con la coperta, nel frattempo Jimin lo costrinse ad aprire la bocca, ci ficcò dentro il termometro, poi gli spostò i capelli dalla fronte e gli controllò la temperatura con le mano.
«Scotta troppo» disse fissandolo come se fosse in procinto di morire in quel momento.
Il cuore mi batteva troppo forte per la paura.
«Fai qualcosa, Jimin...» sussurrai.
«Jay, ascoltami. Da quanto tempo senti di avere la febbre?» Gli domandò, strofinando le mani sulle sue spalle per cercare di scaldarlo.
Mi commossi. Jimin stava aiutando il ragazzo che amavo e ce la stava mettendo tutta per farlo stare meglio. Volevo piangere, ma non era il momento giusto per farlo. 
«Jay, se non parli non posso aiutarti» aggiunse Jimin quando non ricevette una risposta.
«Non voglio nessun aiuto. Fammi solo parlare con Taehyung, e poi lascia che la febbre mi consumi» lo sforzo gli costò un paio di colpi di tosse.
Jimin stava per dire qualcosa, ma a quel punto feci un passo in avanti e, stringendo i pugni, alzai la voce.
«Non hai capito? Non ho alcuna intenzione di ascoltarti fino a quando non starai meglio! Anche se ci dovessero volere un paio di giorni, fino a quando non ti sentirai un po' meglio io non ho intenzione di ascoltare nemmeno una parola.»
Lo dissi piangendo, anche se mi ero promesso di non farlo. Jimin e Jay mi guardarono in silenzio, poi una lacrima rigò la guancia di quest'ultimo, che si voltò verso il  il mio migliore amico e gli mostrò la mano ferita, procurata dalla lama con cui si era tagliato.
«Da quando mi sono fatto male alla mano. Sono scappato dall'ospedale e da allora non mi è più passata la febbre»
«Poi sei stato sotto la pioggia ghiacciata e hai peggiorato la situazione. Quella mano andava medicata ogni due giorni. Ne sono passati cinque, ci sarà un'infezione in corso» disse Jimin controllando la data sullo schermo del telefono.
«Che si fa allora?» Chiesi, terrorizzato alla sola idea di perderlo. Nel frattempo Jimin cercò la ferita che gli avevo indicato, alzò la maglia del pigiama sul fianco e la sfiorò con le dita.
«Sembra un comune livido. Hai fatto a botte, Jay?»
Lui fece un piccolo cenno.
«Ho bisogno di antibiotici. Li ho comprati a te la volta scorsa, intanto fagli bere il tè e dagli una pillola. Io vado a prendere il disinfettante, garze e bende in ospedale. Tornerò in un battibaleno»
«Ti prego Jimin, stai attento.»
«Ha smesso di piovere. Non ti preoccupare»
Il mio migliore amico prese le chiavi dell'auto e se ne andò di corsa, lasciandomi da solo con Jay. Di fretta riempì la sua tazza di tè, la poggiai sul tavolino di vetro e mi sedetti accanto a lui per aiutarlo a berla. Jay si appoggiò sulla spalliera del divano, ma si scansò quando gli passai la tazza fumante. Gli tolsi il termometro dalla bocca, scoprendo che la sua temperatura superava i trentanove gradi.
«Devi continuare ad avere questi atteggiamenti ancora a lungo?» Chiesi infastidito.
«Prima fammi spiegare, Tae. Non vorrai più cibarmi niente quando ti avrò detto la verità»
«Ti ho detto di non pensarci per ora. Bevi questo tè, e poi prendi l'antibiotico» avvicinai lentamente la tazza, ma lui si voltò nuovamente dall'altra parte.
«Sei un cocciuto» dissi a denti stretti.
«Taehyung, perdonami. Per tutto. Ti amo da morire ma… non merito il tuo perdono, né la sua compassione.»
«Non ti voglio ascoltare! Se prima non prendi questa medicina… io non voglio ascoltarti» adesso era la mia voce a essere bassa e triste.
I suoi occhi mi squadrarono con rammarico, poi fece un sospiro. Prese la tazza e con, le lacrime agli occhi, la sorseggiò piano piano. Lo osservai con tenerezza, mi veniva una voglia assurda di abbracciarlo e stringerlo forte a me, ma… dovevo ancora risolvere alcune cose.
«Con chi hai fatto a botte?» Domandai per rompere il silenzio.
Jay mi fissò in silenzio, le sue iridi mi urlavano in faccia un dolore immenso.
«Questo non è importante» disse dopo un paio di minuti.
«Lo è per me»
Jay finì di bere. Si passò le mani in mezzo ai capelli, sembrava frustrato.
«Prima di dirti questo, lasciami raccontarti un'altra cosa»
«Che cosa c'è di più importante? A me interessa della tua salute, non voglio raccontato nient'altro per ora.»
Volevo che capisse quanto m'importasse di lui, delle sue condizioni fisiche e anche di quelle psichiche. Poco m'importava in quel momento che mi dicesse cosa l'aveva spinto ad andare via, desideravo solo che si riprendesse.
«È importante, perché voglio che tu lo sappia dalla mia bocca e non dagli altri, perchè anche se so che non potrai mai perdonarmi, almeno spero tu possa capirmi prima o poi…»
«Dimmi soltanto se stai bene e se hai altri lividi oltre quello sul fianco.»
Riempì un bicchiere d'acqua e lo costrinsi a prendere l'antibiotico. Lui rabbrividì, poi mi prese una mano e la strinse. Le sue dita erano fredde come il ghiaccio.
«Adesso puoi ascoltarmi? Ho fatto tutto quello che mi hai detto di fare» aggiunse con un filo di voce.
«Appoggia la testa sul cuscino. Dai, riposati»
Mi alzai dal divano e feci per allontanarmi, ma lui mi prese la mano e mi fermò.
«Aspetta…» piagnucolò
«Non voglio che ti affatichi. Te l'ho detto… per adesso lascia stare ogni discorso a più tardi. Tutto può aspettare»
«Può aspettare anche il fatto di dirti che non sono del sud? Perché in verità io… vengo dalla Corea del Nord»

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋जहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें