Capitolo 22. Forse sono state le stelle

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Capitolo 22. Forse sono state le stelle pt 3/3

Rimasi un attimo bloccato quando il senso delle parole di Jay mi arrivò addosso con tutta la sua potenza

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Rimasi un attimo bloccato quando il senso delle parole di Jay mi arrivò addosso con tutta la sua potenza. Ogni dubbio e ogni teoria erano appena state confermate, e tutto in solo secondo. Guardai la parete con una fitta al cuore, nel frattempo Jay continuava a tenermi la mano, quasi temesse che scomparissi sotto ai suoi occhi, come per una strana magia. La tachicardia aumentò, e nella mia testa ricordai di un paio di episodi che avrebbero anche potuto destare dei sospetti, se solo fossi stato più attento. Per esempio, la faccia preoccupata che assunse quando, notando la differenza d'accento tra noi, gli chiesi se fosse del sud. In quella occasione, intendevo dire, se fosse originario di Seoul, e Jay cambiò d'improvviso espressione, come se si fosse sentito scoperto. Balbettando allora m'informò di essere del sud, ovviamente, e che non c'erano dubbi a riguardo. In quel momento mi sembrò ambiguo il fatto che si fosse tanto agitato, ma non avendo alcun dubbio sulla sua persona non mi ero soffermato troppo su quel dettaglio. Adesso che invece mi aveva confessato il suo Paese d'origine, la terra sparì da sotto ai miei piedi, come nuvole solitarie che si aggirano in un cielo agitato nella notte. D'un tratto tutte le somiglianze che avevo notato tra lui e il ragazzo ripreso nelle telecamera di sicurezza divennero vere e proprie certezze, ma ebbi comunque bisogno di un po' di tempo prima di metabolizzare quella dura realtà. Jay era arrivato in Corea Del Sud strisciando attraverso le rocce di una grotta situata in una spiaggia vicina.  Una volta arrivato si è cambiato, sperando che nessuno trovasse la sua divisa da militare; questo faceva di lui un soldato. Riflettendo velocemente, però, mi ricordai che in Corea Del Nord la leva militare durava nove anni, sette anni in più di noi del sud. La sua non era una vera e propria volontà quella di stare nell'esercito, era stato costretto da un sistema più grande di lui. Se in qualche modo, lui fosse stato obbligato a venire nel sud per fare scoppiare una guerra, di certo, non potevo biasimarlo. Rischiava la vita e persino l'orgoglio, ma io ero appena stato ficcato una una situazione abbastanza scocciante. Tecnicamente, da quel momento in poi, ero un disertore anch'io; stavo nascondendo e proteggendo un nemico. Come avrei mai potuto prenderlo di forza e portarlo al comando per farlo processare? Il cuore mi si spezzava alla sola idea di vederlo dietro le sbarre, da solo e indifeso. Quindi una lacrima mi rigò la guancia mentre mi voltavo, sconvolto, verso di lui. Avevo sperato che mi stessi sbagliando, e invece era tutto vero.
«Cosa hai detto? Sei del nord?» Domandai, ancora scosso.
Jay fece un cenno debole, era stanco e ammalato, si notava da chilometri di distanza. Mi avvolse le dita sul polso con leggerezza, così privo di forze che sembrava fosse l'aria a colpirmi la pelle.
«Mi dispiace aver aspettato tanto prima di confessarti tutto questo. Mettiti nei miei panni, è qualcosa troppo grande per essere raccontata con leggerezza» sussurrò senza voce.
Strinsi i pugni, e con un passo indietro mi liberai dalla sua presa. Nervoso mi misi a fare avanti e indietro per la stanza, passandomi le mani in mezzo ai capelli, con frustrazione. Che cosa dovevo fare, adesso? Se avessi tradito la patria, che ne sarebbe stato di me? Dio, mi ero innamorato di un nord coreano. La nostra storia non poteva andare avanti, sotto mille punti di vista. Eravamo due mondi a parte, troppo diversi e distanti. Non eravamo stati fatti per metterci insieme.
«Non posso crederci» sussurrai tremando.
Jay poggiò i piedi sul pavimento, sembrava avesse tutta l'intenzione di venire da me.
«Non avvicinarti! Ti rendi conto di cosa mi hai appena confessato?» Alzai leggermente i toni.
Lui si bloccò, mi fissò con un paio di occhi rossi e lucidi, le labbra strette tra i denti.
«Dovevo dirtelo. Se per caso lo avessi scoperto da solo, e mi avresti odiato per questo, io non avrei saputo cosa fare.» La sua voce era instabile e triste.
«Avevo i dubbi già da prima… che cosa sei venuto a fare a Seoul? Perché sei scappato dal tuo Paese per venire nel mio? A quale scopo?» Domandai di tutta fretta.
Quanto è duro amare? Per quella persona si farebbe di tutto, e io stavo andando contro ogni etica morale per cercare di trovare una soluzione a quel problema.
«È una storia molto lunga» rispose con lo sguardo basso.
«Abbiamo tutto il tempo del mondo per parlarne.»
Afferrai una sedia dal tavolo e la trascinai verso il divano. Jay non mi toglieva mai gli occhi di dosso, mi guardava con un'espressione talmente abbattuta che costringermi a non abbracciarlo forte a me, e far svanire tutto il suo dolore, fu una cosa troppo difficile. Per tanto, con una voglia assurda di piangere, mi voltai a guardare altro, la gamba che tremava incontrollata.
«Scusa, Taehyung. È che non so proprio da dove cominciare» disse.
Lo guardai con la coda dell'occhio. Si massaggiava il fianco con una mano mentre tratteneva le lacrime alla mia vista indifferente.
«Comincia partendo dalla verità. Avevi promesso che mi avresti raccontato solo questa»
Jay annuì, combatteva contro se stesso. In fondo lo capivo… anche lui non desiderava tradire il suo Paese, e probabilmente, alla stessa mia maniera, lo stava mettendo da parte per amore.
«Ok Taehyung, io… vengo da Pyongyang,  e sono un soldato. Contrariamente da quanto sicuramente pensi, non sono un soldato comune. Sfortunatamente ricopro il ruolo di Generale di Corpo d'armata, poiché il migliore tra tutte le reclute e i soldati dell'esercito nord coreano. Sono il pupillo del dittatore, qualcuno insomma che va tenuto stretto stretto.» Ebbe bisogno di bere qualche sorso d'acqua mentre mi raccontava del suo passato, gli mancavano le forze e parlarne, per lui, doveva essere una cosa veramente ardua.
«Sono cresciuto sotto le regole rigide di mio zio, un generale molto vicino alla famiglia del capo governo. L'unica regola che mi è stata insegnata è quella di superare il dolore, di qualsiasi forma essa sia. Sono stato vittima di attacchi di panico potenti, ansia sociale e stress post traumatico. Il tutto, nel nome dell'orgoglio. Dovevo assolutamente diventare il migliore, avere il ruolo più alto di tutti e essere il preferito di chi di dovere. E per farlo dovevo superare troppe prove, allenarmi di continuo e stringere i denti quando il mio corpo cedeva a causa degli allenamenti troppo intensivi.» Piangeva a dirotto mentre lo diceva.
Avrei voluto dire qualcosa, qualsiasi pur di sollevarlo un po', ma avevo la bocca asciutta e le parole mi morivano continuamente in gola.
«Ho sopportato per undici anni, fino a quando, un giorno… ho perso il controllo di me stesso»
Jay si portò le mani in mezzo ai capelli e li strinse forte, sciogliendosi in un pianto disperato che mi strinse il cuore in una morsa molto stretta. Istintivamente gli misi una mano sulla spalla, cercando di farlo calmare, ma sembrava che lui fosse caduto in loop infinito dove, probabilmente, un'immagine molto crudele continuava a ripetersi all'infinito nella sua mente.
«Ehi, calmati…» sussurrai, ma lui pareva non sentirmi.
«E quindi io, io… con queste mani ho… ho…» i miei occhi si sbarrarono.
E quindi, forse, era stato costretto a uccidere lo zio, per via dello stress che gli aveva procurato la dura disciplina che gli impartiva fin da tenera età? I miei occhi si riempirono di lacrime. Chissà quante ne aveva passate…
«Shh shh, ho capito» lo strinsi in un abbraccio, ignorando tutto il resto.
Ignorando la cosa giusta da fare dato il ruolo che ricoprivo, ignorando il fatto che mi avesse lasciato da solo e avesse nascosto la verità per tutto quel tempo, pensando a lui soltanto, la persona che più al mondo amavo. Che paradosso terribile che mi aveva colpito.
«L'ho quasi ucciso Taehyung. Avevo solo diciotto anni… e ho una fatto una cosa terribile»
«Hai solo vissuto una situazione più grande di te. Non rimproverarti per questo. In ogni caso lui è ancora vivo, no?»
Jay tirò su con il naso, singhiozzava e continuava a rannicchiarsi su se stesso. «È in stato vegetale da sette anni» rispose stringendosi il pigiama all'altezza del petto.
«Per ciò che ho fatto, ho dovuto accettare di venire qui a creare scompiglio, cercando di scoprire le questioni interne dello stato per passare le informazioni.»
«Quindi hai attraversato la grotta e sei arrivato qui?» Domandai, come se non sapessi già la risposta.
Jay annuì. «Sì, è proprio così. Quando sono arrivato il mio unico obiettivo era quello di scontare la mia pena e tornare alla normalità, ma poi ho incontrato te.» La sua mano cercò la mia per stringerla. «Ti giuro che non ti fatto niente di male Taehyung. Ho solo seminato delle mine false per non destare sospetti, sono controllato da una persona che non fa altro che chiamarmi e assillarmi per sapere se sto obbedendo. L'ansia mi perseguita e non so cosa fare per liberarmene. Quando sono con te lei allora mi abbandona, perché tu copri ogni cosa con la tua presenza, ma quando vai via… l'ansia mi assale con ancora più potenza» aggiunse.
Rimasi in silenzio, c'erano tante cose che si rincorrevano nella mia mente, ma ero così confuso che non sapevo da dove iniziare, né che domande fargli e se farle; era terrorizzato e scosso, in più si sentiva anche male. Non mi andava di affaticarlo ulteriormente, e allo stesso tempo non sapevo nemmeno come comportarmi e cosa dire, quindi mi alzai nuovamente dalla sedia e mi allontanai un po'.
«Dove vai?» Mi chiese lui immediatamente, passandosi la manica del mio pigiama sugli occhi.
Feci un respiro profondo, mi doleva il petto.
«Voglio che tu riposi adesso» dissi, e feci per andare via ma lui si mise in piedi e cercò di raggiungermi.
«Aspetta Taehyung, ho ancora tante cose da dirti.» Barcollando camminò verso di me, ma era tanto instabile e io ero preoccupato a morte per lui.
«Torna a letto! Non ti reggi in piedi, ma non lo capisci?» Alzai la voce arrabbiato.
Lo costrinsi a tornare indietro, sul divano caldo, ma prima che riuscissi a farlo coricare lui mi mise le mani sul viso e mi guardò dritto dritto negli occhi.
«Non andare via. Stai con me, ti prego» piagnucolò.
«Non posso. Sono sconvolto e confuso. Non so come comportarmi e quel che peggio è che vorrei chiederti un milione di cose, ma stai male e non ho proprio intenzione di affaticare ulteriormente.»
«Lo so che sei sconvolto! Ma io ho bisogno di te, e non so stare qui fermo mentre tu sei lontano. Ti amo, e non sopporto l'idea di averti perso per sempre»
«Jay, lasciami stare per adesso. Ho bisogno di rilfettere.» Mi allontanai di un passo, e allora lui mi prese la mano e mi tirò verso di lui. Nel farlo perse l'equilibrio e cadde sui cuscini del divano, io gli finii addosso, facendogli male alle gambe. Preoccupato cercai immediatamente di mettermi in piedi, ma Jay mi avvolse la schiena con un braccio e mi tenne stretto verso la sua direzione.
Immediatamente le mie guance divennero calde, e anche quelle sue acquisirono finalmente un po' di colore.
«Lasciami! Se entra Jimin e ci vede in questa posizione le cose verranno sicuramente fraintese» balbettai imbarazzato, ma a Jay sembrava non interessare quel dettaglio.
«La notte in cui sono arrivato a Seoul c'erano una scia di stelle luminose che brillavano nel cielo e abbagliavano la mia via. Le ho seguite, pregando che mi portassero in un posto migliore, ed è stato allora che ti ho incontrato» sussurrò a un centimetro delle mie labbra.
Confuso corrucciai le sopracciglia. «Bugiardo, noi due ci siamo incontrati una mattina nel negozio alimentari, quando mi hai consigliato il ramen piccante» dissi alterato.
Jay scosse la testa. «No, ci siamo incontrati una settimana prima. Camminavi a testa bassa sul marciapiede, e piangevi. Ci siamo scontrati, abbiamo battuto le spalle e tu hai chiesto velocemente perdono prima di continuare il tuo cammino»
Feci mente locale per un attimo, ricordandomi di quando decisi che Somin non faceva più per me e mi presi una pausa da lei. È successo lo stesso giorno del sogno che mi ha ricordato di Jungkook: piangevo perché non sapevo cosa farne della mia vita da quando tutte le mie certezze erano crollate come una casa fatta di carte.
Per cui ero distratto mentre andavo in ospedale da Jimin. Avevo bisogno di parlare con lui, la mia mente era appannata. Non ho fatto molto caso al ragazzo che ho colpito con la spalla, desideravo solo sfogarmi con il mio migliore amico.
«Sono state le stelle a portarmi da te. Non avevo mai visto un ragazzo tanto bello, e ne sono rimasto affascinato.» Mi mise una mano sulla nuca e i brividi mi coprirono il collo.
Che strana sensazione. Era una coincidenza troppo assurda.
«Le stelle avrebbero dovuto essere spente quella notte» risposi con un nodo alla gola e gli occhi pieni di lacrime. Che cosa dovevo fare adesso? Come risolvevo quella questione, visto che erano nemici?
«Non dire così… io le ringrazio»
Scossi la testa, la gola mi faceva male per via dei singhiozzi che stavo cercando di trattenere da un paio di minuti ormai.
«Lasciami andare» sussurrai.
«Devo prima confessarti un'altra cosa molto importante. Vedi, il mio nom…» fu interrotto dalla porta d'ingresso che si aprì.
Di scatto mi misi immediatamente in piedi, indietraggiando fino a colpire la sedia che cadde sul pavimento. Jimin entrò in salotto con sue sacchetti in mano, mi rivolse un'occhiata veloce e confusa mentre correva da Jay, che si era rimesso sotto le coperte e aveva chiuso gli occhi, quasi volesse nascondere le sue lacrime.
Andai a chiudermi in bagno allora, e mentre mi appoggiavo sulla porta di legno mi lasciai scivolare a terra, stordito e indeciso su come comportarmi. Non avevo previsto cosa fare in una situazione del genere.

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now