Capitolo 25. Diverbi continui

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Capitolo 25. Diverbi continui pt2/3

"With u I'm feeling rich"

Calò un silenzio assordante quando i nostri occhi s'incontrarono

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Calò un silenzio assordante quando i nostri occhi s'incontrarono. Istintivamente chiusi la mano in pugno, stretto e deciso. Papà mi osservava con estrema riluttanza, ma da qualche parte nelle sue pupille e nel suo viso, che sembrava invecchiato di un paio di anni, ci lessi anche una nota di pentimento, qualcosa insomma che andava ben oltre il semplice astio che oramai legava le nostre vite. Fece un passo in avanti, quasi forzatamente. Ebbi una strana sensazione dentro lo stomaco, qualcosa che presagiva nuovi litigi, contornati da un senso di amarezza che mi stringeva la gola in un nodo molto stretto. Ero sicuro che non fosse venuto per chiarire, forse era solo stato spinto dalla mia condizione fisica fragile, e siccome non mi aveva visto per molto tempo, sicuramente mia madre lo aveva convinto a vedere se fossi ancora vivo e se stessi bene. Niente scuse per come si era comportato, niente rispetto per l'amore mio più grande. Solo altre discussioni, racchiuse nei suoi occhi e che non vedevano l'ora di essermi urlate in faccia. Sinceramente non mi andava per niente di subirmi altre ramanzine, per tanto un sospiro poco contento mi scappò di bocca mentre sbattevo le palpebre, in ricerca di qualcosa di sensato da dire perché lui non si mettesse a fare i suoi soliti discorsi, finendo la discussione sul nascere. Ma non ebbi neanche il tempo di aprire la bocca, che fui interrotto dall'arrivo di Jimin. Ci guardò con preoccupazione, poi mi mise una mano sulla spalla. Sembrava ancora parecchio scosso per la rivelazione che gli avevo dato nemmeno cinque minuti prima, e si vedeva che morisse dalla voglia di saperne di più. Difatti, dopo aver salutato mio padre educatamente, ma ancora un po' seccato per come si era comportato quando ero svenuto, mi informò che sarebbe andato a fare un giro, ma che sarebbe tornato entro poco tempo, troppo curioso di scoprire cosa intendessi dire chiamando Jay con il nome di Jungkook. Aggiunse di chiamarlo per qualsiasi eventualità, infine ribadii che ci saremmo visti poco dopo e andò via.
Rimanemmo solo io e papà. Jungkook probabilmente dormiva, nelle stanze da letto. Speravo che non sentisse nulla sulla conversazione tra me e mio padre, ma immaginando la natura della sua visita non riuscivo a non pensare alle possibili urla che da lì a poco avrebbero riempito il silenzio. Al momento ci stavamo limitando solamente a squadrarci dalla testa ai piedi, io con tanto rammarico, lui pieno di odio. Seriamente poteva avercela così tanto con me, il suo unico figlio, solo perché non avrei sposato Somin? Eppure, non bastava che io fossi felice per rendere i miei genitori felici pure? In fin dei conti, non capivo cosa cambiasse se al mio fianco ci fosse Jungkook o lei. Io amavo quel ragazzo, e questo doveva bastare per mettere in pace i cuori di tutti quelli che mi stavano accanto. Non avrei accettato nessuna scusa a riguardo. O con me, o contro di me.
«Ciao papà» trovai finalmente il coraggio di dire quando la quiete iniziò a starmi stretta.
Lui mi rivolse un'occhiataccia.
«Buongiorno» si limitò a dire.
Il suo tono formale sapeva di risentimenti, ancora freschi e brucianti sulla sua pelle pallida. Per quanto tempo ancora avrebbe continuato a farmi così tanto male? A essere sinceri, anche se i miei presagi erano drammatici ancora speravo di sistemare le cose.
«Vuoi entrare?» Domandai senza guardarlo.
Forse era meglio che dicesse di no, che si voltasse e andasse immediatamente via, ma lui fece un leggero cenno della testa e senza aggiungere una parola mi passò accanto e camminò a passi veloci verso il salotto immacolato.
Il nervosismo iniziava già a contorcermi le viscere. Temevo che Jungkook si alzasse e mio padre lo vedesse: e non è che non desiderassi far vedere a mio papà chi amavo veramente, però sapevo che lui lo avrebbe trattato male, e a me non andava di sentirgli uscire di bocca parole infelici su Jungkook. Mi sarei solo arrabbiato ulteriormente.
«Perchè non hai risposto alle chiamate di tua madre? È preoccupata a morte» disse quando lo raggiunsi.
Mi grattai la testa con le dita tremanti. Quelle strane sensazione continuavano a farmi sentire la nausea nello stomaco.
«Non avevo voglia di farlo. In fin dei conti, vi è davvero mai importato di me?»
Sapevo di star esagerando mettendo mia madre nel mezzo della situazione, lei era sempre stata dalla mia parte ma se le avessi detto di stare bene, allora lei lo avrebbe detto a mio padre e lui non si sarebbe mai interessato delle mie sorti. Invece quello che volevo io era che fosse proprio papà a venirmi a cercare, e nonostante adesso fosse lì con me non ero comunque soddisfatto, perché la sua faccia continuava a essere schifata da me, quasi avessi fatto la più raccapricciante cosa del mondo. Ma l'amore non potrà mai essere raccapricciante, e lui non mi avrebbe mai convinto a rinnegare la mia natura.
«Che cosa hai detto?» Chiese mio padre, camminando pericolosamente verso di me.
Ormai non avevo più paura, rimasi fermo e immobile mentre lui avanzava ed era sempre più vicino.
«Non credo tu sia qui per vedere come sto realmente.»
«E perché sono qui, allora?» Il suo tono di voce si alzava in continuazione.
«Per le tue solite ramanzine. Non hai ancora accettato il fatto che non sposerò Somin, quindi se sei venuto qui a perdere tempo e a rivendicare la tua natura di padre padrone sappi che stai soltanto sprecando il tuo…» uno schiaffo in pieno viso mi costrinse a zittirmi.
Sentii la guancia formicolarmi e bruciarmi, anche gli occhi iniziarono a percepire il dolore provocato dall'ennesimo schiaffo che mio padre mi aveva dato per le sue incomprensioni. Mi veniva voglia di piangere, ma che senso aveva versare sempre tutte le mie lacrime per qualcosa che non si risolveva mai?
«Tua madre si sta ammalando per colpa tua. Lo capisci?» Mi prese per le spalle e le strinse forte per scuotermi.
«Anch'io lo sto facendo per colpa tua. Mi state divorando fino all'osso con i vostri desideri incompatibili ai miei» dissi velocemente, rivolgendogli sguardi duri.
«Un futuro per mio figlio, è qualcosa che puoi definire "divorare"?» Alzò la voce.
A quel punto anch'io mi alterai, e la rabbia prese posto della tristezza.
«Un futuro che non voglio! Comprendi il mio coreano? Non voglio un matrimonio con Somin, non voglio dei figli con lei! Non la amo, ma perché non lo volete capire?»
Mio padre alzò la mano un'altra volta per colpirmi, ma quella volta non ci riuscì. Alzai gli occhi su Jungkook, si era messo in mezzo a noi e stringeva forte il polso di mio padre per tenerlo lontano da me.
«Yah e tu chi sei?» Con una strattone papà cercò di liberarsi dalla sua presa, ma la stretta di Koo era talmente potente che non fu in grado di allontanarsi nemmeno di un passo.
«Le porterò rispetto solo perché è il padre di Taehyung, ma se prova un'altra volta a colpirlo in faccia, o in qualsiasi altra parte del suo corpo giuro che non risponderò delle mie azioni.»
«Cosa? Come ti permetti? È mio figlio e faccio quello che voglio»
«I figli non sono una proprietà privata. Dovreste iniziare a concepire che la vita è sua e per tanto ne fa ciò che vuole. Lo lasci vivere e basta, senza decidere per lui cosa è giusto e cosa no. È grande abbastanza per scegliere da solo.»
Con una spinta lo allontanò completamente da me. Mi batteva forte il cuore in quel momento, Jungkook aveva preso le mie difese nonostante quello fosse mio padre. Non potei fare a meno di osservarlo allora, notando come stringesse forte i pugni mentre guardava mio papà e spostando il peso da un piede all'altro. Sembrava nervoso e infastidito, e per più di un solo motivo. Insomma, forse le sgridate di mio padre erano state solamente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Quella mattina era apparso abbastanza strano, ed ero sicuro che non si trattasse solo della gelosia nei confronti di Jimin. C'era altro, qualcosa che avevano tenuto nascosto fino a quel momento.
«Non mi hai ancora detto chi diamine sei per parlarmi in questo modo. Mi metti le mani addosso e ti rivolgi a me come se fossi un tuo coetaneo. Sei stato educato a dovere dai tuoi genitori, piccolo insolente?» Alzò la voce e spinse a sua volta Jungkook.
Il cuore mi balzò in petto quando nominò la famiglia di Koo. Lui era cresciuto lontano da loro, in un luogo ben diverso dal nostro, e si trattava quasi sicuramente di un tasto abbastanza dolente per Jungkook. Vidi infatti come si irrigidì mentre apprendeva il senso delle parole di mio padre, e le parole gli morirono in gola. A quel punto non vidi altra scelta che difenderlo, come lui aveva fatto con me. M'intromisi nella discussione e prendendogli la mano lo accompagnai dolcemente dietro le mie spalle.
«Non è il momento di parlare, papà. Vattene
I suoi occhi si abbassarono sulle mie dita intrecciate a quelle di Jungkook, e un vero pentimento parve scurargli gli occhi. Senza aggiungere altro uscì immediatamente fuori, e il silenzio calò nel salotto.
«Ti prego non ascoltarlo, Jungkook. È ancora ancorato al passato.» Mi affrettai a dire quando lui si lasciò cadere, con la mani sugli occhi, sul divano più vicino.
«Il concetto della famiglia è qualcosa che mi sta veramente a cuore. Non sopporto che un padre possa comportarsi così con suo figlio. Io sono cresciuto senza, e non voglio convincermi affatto che avere dei genitori sia questo. Questa mattina mi sono svegliato con una mancanza nel petto, ho sognato una figura che chiamavo mamma, ma io non ricordo più il suo volto e pensarla mi fa stare male. Chissà quanto ha sofferto me. Per questo motivo non voglio che tu abbia rimpianti, quindi Tae chiama tua madre e dille che stai bene. Ti prego»
Ecco svelato il punto dolente che lo aveva reso tanto strano. A Jungkook mancava la sua famiglia.
«Tu una famiglia ce l'hai. Aspetta soltanto che tu torni da loro. Se lo desideri andiamo, anche subito. Sarà una gioia per loro scoprire che sei vivo e stai bene.»
«Ma io ho paura…» la sua voce si ruppe.
«Di cosa?»
Lo avvolsi tra le braccia, lasciandogli piccolo baci gentili sulle spalle e sui capelli.
«Come faccio ad andare da loro, dopo diciassette anni e dirgli che sono cresciuto in Corea del Nord? Io non so ancora cosa mi accadrà da questo momento in poi, e temo di ferirli un'altra volta. Forse loro si sono fatti una ragione dopo la mia scomparsa e se adesso riappaio, per scomparire una volta ancora, gli farò ancora del male.»
«A te non accadrà niente Jungkook. Ci sono io a proteggerti»
«Non puoi saperlo. Non è detto che mi sarà concesso di stare qui» disse passandosi le mani sugli occhi.
Ebbi un tuffo al cuore. Dovevo trovare una soluzione, un modo per convincere le persone che lui era una creatura magnifica che non avrebbe mai fatto male a nessuno, e che per di più era originario del sud. Dovevano capirlo.
«Jungkook, tu sei di qui. Non è colpa tua se sei stato rapito. Non permetterò a nessuno di mandarti via, né di rinchiuderti in carcere.»
Rimase in silenzio qualche attimo. I suoi occhi lucidi dicevano un milione di parole, lui era infinito e immenso.
«Tae, ho sempre pensato che fossi stato sfortunato nella mia vita, ma più ti guardo e più non posso fare a meno di pensare a quanto il mondo sia stato generoso con me. Hai cambiato ogni cosa della mia esistenza, e giuro che un giorno ti sposo.» Mi prese la mano e con uno strattone mi avvicinò a lui, i nostri nasi si toccarono e il suo respiro caldo mi solleticò la pelle.
Mi baciò con amore e poi, mentre mi accarezzava la guancia con un pollice, fece un sospiro stanco.
«Com'è mia madre?» Chiese.
«Fantastica. È una donna forte. Quando ci ho parlato, mi ha svegliato tantissimi ricordi di te dentro. Lei aveva perso la speranza, ma quando ha trovato il bracciale… i suoi occhi si sono accesi di colpo, con un faro nella notte.»
«Quindi hai mantenuto i rapporti con la mia famiglia?»
«Solo di recente. Andare a casa tua mi faceva malissimo, perché tutto mi ricordava di te. Sai, hai un fratellino di quattro anni che si chiama Jung-Woo, è la tua fotocopia»
«Davvero?» I suoi occhi si spalancarono.
Ci vedevo tanto desiderio di andare da loro e abbracciarli, ma qualcosa lo fermava.
«Sì. Guardarlo mi faceva mancare il respiro. Rivedevo te nelle sue gesta.»
«Pensi davvero che posso andare da loro?»
«Assolutamente sì. Sarebbero solo felici.»
Jungkook parve pensarci un attimo, poi annuì e riprese a piangere.
«Li voglio vedere» singhiozzò.
I diverbi continui con mio padre andarono in secondo piano, l'unica cosa importante per me era Jungkook in quel momento.
Inviai un messaggio a Jimin dicendogli che ci saremmo visti in serata, spiegandogli anche il motivo della mia assenza. Io e Koo ci mettemmo in macchina, e lui iniziò a tremare d'ansia quando ci avvicinammo al nostro vecchio quartiere. Ero teso anche io, in più non vedevo l'ora di vedere i sorrisi pieni di felicità e gioia della famiglia Jeon, per cui strinsi forte la mano di Jungkook quando suonammo il campanello e aspettammo che qualcuno venisse ad aprirci la porta.

Ho inseguito le stelle|Taekook🦋Where stories live. Discover now