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Mi scusai e cercai di uscire da lì ma lei mi richiamò nuovamente e mi fermò tenendomi per l'avambraccio.

«Kaylee, che significa?»

La professoressa Lancaster fu la prima a sapere della mia situazione. Vedeva che stavo trattenendo i singhiozzi e mi pregò di parlarne con lei. Avrei potuto mentirle, inventare una scusa. Invece le dissi la verità spiegandole a grandi linee quanto successo solo dopo aver avuto la sua promessa sul non farne parola con nessuno, nemmeno con mia madre.

A fine discorso vidi i suoi occhi lucidi e mi scusai ancora. Lei, di contro, scosse la testa e mi abbracciò. Si scusò per aver insistito e mi disse che per qualsiasi cosa ci sarebbe stata. Anche solo per parlare e sfogarmi dato che oltre al dottor Kang era l'unica a saperlo.

Uscimmo dallo spogliatoio dopo circa venti minuti totali. Pattuimmo che avrei dato la notizia a fine allenamento, dopo aver visto le nuove aspiranti. Rimasi in panchina, osservando ciò che amavo fare senza poterne prendere parte. Feci la cosa giusta per non peggiorare le mie condizioni; eppure, in quel momento mi sentii privata della libertà.

A fine allenamento, annunciai la cosa alle mie compagne di squadra, dissi semplicemente che per problemi familiari non avrei potuto continuare poiché da lì a poco mi sarei trasferita. Margareth pianse, Lucy ed Emma si dispiacquero e mi abbracciarono, in particolare Sam e Kelly non la presero bene.

Con la squadra in generale il rapporto era stretto, quasi come se fossimo una famiglia. Cercavamo di aiutarci sempre in tutto. Con Sam e Kelly avevamo stretto amicizia alle selezioni, fra noi nacque una sorta di sana competizione che alimentava sia i nostri allenamenti che la nostra amicizia.

«Ci abbandoni? Così? Torniamo dalle vacanze estive, ultimo anno che avremmo potuto giocare insieme e tu che fai? Te ne vai?! Ci molli come una stronza!?»

Erano uno l'opposto dell'altra, Sam era ormai capitano della squadra e rispecchiava la razionalità e la pazienza della sua figura. Kelly, invece, da sempre era stata una testa calda. Sul campo e nella vita era l'impulsività e l'adrenalina a guidarla. Io ero una via di mezzo tra loro, appoggiavo le pazzie realizzabili di una e cercavo di dare manforte all'altra quando serviva aiuto per tirar su il morale.

«Quello che Kelly vuole dire è che...»

«Io volevo dire quello che ho detto, Sam! Ti dispiace un cazzo, Kaylee! Eravamo rimaste solo noi tre! Dovevamo finire questo percorso in bellezza e fare il culo alle Tigros al campionato scolastico! Era questo che ci eravamo promesse l'anno scorso quando siamo arrivate seconde! Sei proprio una m...»

«Stuart! Linguaggio!»

Ci pensò la professoressa a frenare le sue parole. Abbassai la testa e sospirai. Kelly prese il suo borsone e mi superò dandomi una spallata e uscendo dalla palestra. Sam scosse la testa.

«Sawer seguila e falle un bel discorsetto. Non ammetto un comportamento simile.»

Così Sam annuì e dopo aver salutato tutti si avviò. Mi poggiò una mano sulla spalla rallentando leggermente. Non alzai la testa e lei sospirò nuovamente per poi andare via.

Le altre, dispiaciute quanto me, mi abbracciarono e così dopo averle salutate me ne andai, lasciando la mia divisa al coach che mi promise di non assegnare a nessuno il mio numero, perché di numero 99 ce ne sarebbe stato solo uno nella sua squadra. Risi, perché alla fine il 99 in pochi lo avrebbero mai richiesto ma capii il significato del suo gesto.

Mi diressi verso l'uscita e mandai un messaggio a Elizabeth per dirle che l'avrei aspettata lì. Così mi sedetti sullo stesso muretto di quella mattina. Non attesi molto e come promesso le feci fare il giro della scuola.

Mi rallegrava passare il tempo con lei e senza accorgermene alla fine l'accompagnai fino a casa dato che ormai si erano fatte le sei del pomeriggio tra una cosa e l'altra. Non abitava lontano da me, circa due isolati.

Ci salutammo con la promessa di vederci in giro o a scuola. Infine, tornai a casa.

Nei giorni successivi, sebbene Elizabeth non fosse del nostro anno, finimmo a pranzare insieme per la maggior parte delle volte. Susan e Leo l'accettarono subito nel gruppo asserendo che la ragazza gli stava simpatica. In poco quindi iniziò a uscire con noi.

Era passata una settimana da quando avevo annunciato il mio ritiro, Sam se mi incrociava mi salutava e mi parlava normalmente, ma Kelly faceva finta di non vedermi e passava oltre. Mi ignorava anche durante i pochi corsi che condividevamo.

La rabbia non le era passata, questo era ovvio.

I miei pomeriggi, così come le mie mattinate le passavo a studiare con Susan, Leo ed Elizabeth. Mentre la sera, tranne il sabato, lo passavo con mia madre a casa. Stavo facendo tesoro di quei momenti con loro. Volevo che di me ricordassero solo momenti felici.

Alla metà della seconda settimana di scuola iniziai a sentirmi più spossata, perdevo spesso la presa sugli oggetti e mi sentivo spesso confusa. Cercai di non dar peso, pensando fosse solo una questione psicologica. Insomma, credetti che sapendo di star male il mio cervello faceva passare ogni minimo dolore come il peggiore di essi.

Non fu una grande idea ignorare quei segnali, infatti il mercoledì non riuscii nemmeno ad alzarmi dal letto. Non ne avevo le forze e mi era salita la febbre alta. Convinsi mia madre ad andare al lavoro promettendole che sarei rimasta a riposo in casa. Potevo già sentire il dottor Kang borbottare di quando fossi stata incosciente, venerdì alla visita.

Quella mattina riuscii a dormire solo dopo che mia madre uscì di casa e aver preso una delle pillole che mi erano state prescritte. Mi svegliai verso le undici, quando il campanello iniziò a rimbombarmi nelle orecchie come un martello pneumatico. Mi trascinai verso la porta, letteralmente, reggendomi dal muro. Le mie gambe sembravano gelatina.

Aprii la porta senza nemmeno curarmi di controllare dallo spioncino o di chiedere chi fosse. Fui sorpresa però di trovarmi davanti Susan e Leo, data l'ora dovevano essere a scuola.

Avevano un'aria strana. Leo sembrava dispiaciuto mentre Susan arrabbiata. Feci in tempo a farmi da parte e farli entrare che Susan sbottò non appena chiusi la porta.

«Quando pensavi di dircelo!?»

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