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Dal suo ufficio al ventinovesimo piano del palazzo Jeon Jungkook guardò il cielo senza nubi e seguì con lo sguardo un aereo che si dirigeva verso il mare finché divenne un puntino argenteo e infine scomparve.
Durante la notte non era riuscito a chiudere occhio.
Forse si era abituato a tenere tra le braccia il corpo snello e caldo di Taehyung, o forse il ricordo della loro ultima conversazione gli era rimasto nella mente come un tarlo.
Quel giorno Taehyung sarebbe partito. Presto sarebbe stato sull'aereo diretto in a casa e lui avrebbe ripreso la sua vita.
Voltandosi, vide il caffè che si stava raffreddando sul suo scrittoio, vicino a un giornale su cui era posata la statuetta di una ninfa regalatagli da suo padre.
Non c'era nessuna fotografia.
La sua scrivania non assomigliava a quella di altri dirigenti, non c'erano i ritratti incorniciati di una moglie, di bambini sorridenti o qualche loro disegno pieno di colori.
C'era solo la sua agenda zeppa di inviti importanti e...di infinite possibilità.
Jungkook si sentiva così terribilmente vuoto e spaventosamente solo. Tutta la ricchezza e il prestigio lo isolavano dal resto del mondo. Era solo in una torre dorata.

Taehyung si é sentito così quando l'ho portato ad Atene subito dopo il matrimonio?
L'ho costretto ad accettare la situazione senza offrirgli nessuna via di fuga? Probabile.
Quando non è più riuscito a sopportarlo è fuggito nell'unico posto che conosceva. Casa sua.
A Londra, dove quella disparità tra i ruoli sociali non esisteva, dove le persone convivevano senza necessariamente fare sesso.

Jungkook si era innamorato di un ragazzo di quel mondo e l'aveva sposato per poi disprezzarlo per la sua incapacità di distaccarsene.
Per la prima volta riconobbe di non averlo aiutato ad ambientarsi in Grecia.

L'ho portato nel mio paese, tra persone estranee e ostili, persone che parlavano un' altra lingua. L'ho lasciato ad arrangiarsi.
Sono stato stupido! Arrogante e coglione. Cosa mi aspettavo? Che Taehyung accettasse tutto? Perché? Perché Jeon Jungkook gli ha fatto un favore a sposarlo?
E adesso lo sto lasciando andare. Non posso farlo cazzo!

Ubbidendo a un impulso improvviso, sollevò il telefono e parlò rapidamente in greco.
Pochi istanti dopo udì un suono seguito da quella voce dolce e profonda.
"Taehyung?"
"Ciao, Jungkook " rispose fredda la voce dall'alta parte.
"Vuoi pranzare con me?"
Ci fu una pausa.
"Perché?"
"Non abbiamo concluso la nostra chiacchierata."
"Non è rimasto altro da dire sull'argomento, mi sembra."
"Allora cambiamo argomento. Parliamo di qualcosa di nuovo."
Taehyung emise una risatina stanca. "Che cosa significa?"
Jungkook chiuse gli occhi.
"Non voglio che tu vada via in questo modo."

Anzi, non voglio che tu vada via. Punto.

Taehyung si lasciò cadere sul divano ricoperto di broccato e fissò il lampadario.

E così vuoi un addio civile.

Guardò l'orologio.
Mancavano sette ore al decollo del suo aereo e non aveva niente da fare, a parte sedere in quella stanza, imponendosi di non piangere, oppure uscire e dimostrare al mondo e soprattutto a lui che sarebbe sopravvissuto benissimo.
"Dove vuoi portarmi?" gli domandò con impertinenza.
Jungkook trattenne il respiro, colto alla sprovvista "Nel migliore ristorante di Atene" promise "E manderò la macchina a prenderti."
"No" disse Taehyung sottovoce. Stava cominciando la sua nuova vita post-Jungkook e doveva ricominciare a comportarsi come un comune mortale. I giorni di autisti in divisa, di suite lussuose e di jet privati erano finiti. Ma non erano queste le cose che gli importavano.
La sua disperazione nasceva dal fatto di dover lasciare l'unico uomo che avesse amato: suo marito.
"Prenderò un taxi" decise. "Come si chiama il ristorante?" "
"Perché sei così cocciuto?" borbottò lui. "È vicino al mio ufficio. Hai una penna?"


Il portiere dell'albergo l'aveva avvertito che a quell'ora il traffico sarebbe stato caotico perciò Taehyung partì con grande anticipo e giunse a destinazione mezz'ora prima del previsto.
Pagò l'autista e, quando scese nel caldo torrido, rimase qualche istante incerto sul da farsi.
Poteva entrare nel ristorante e bere qualcosa di fresco, in attesa che lui lo raggiungesse. Oppure...palazzo Jeon era alla fine dell'isolato. Infatti il biondo pensò sarebbe stato meglio andare là e fare una sorpresa a Jungkook , invece di sedersi da solo in un ristorante che non conosceva.
S'incamminò in direzione del grattacielo ma bastarono pochi metri perché si bagnasse di sudore.
L'aria condizionata dell'ingresso l'accolse come una benedizione e mentre sollevava i capelli dal collo si accorse che la brunetta delle reception, la stessa che aveva visto il giorno del suo arrivo, la osservava attentamente.
La sua espressione non era più cordiale di quanto lo fosse stata una settimana prima, al contrario.

Jungkook avrebbe dovuto assumere una persona che possa sembrare contenta di lavorare qui.

Poco importava che avesse l'aria di una modella. Mentre si avvicinava al suo scrittoio, sentì di avere le gambe appiccicose mentre la ragazza pareva un cubo di ghiaccio uscito in quell'istante dal congelatore.
"Posso esserle d'aiuto?" domandò l'impiegata senza sorridere.
" Buongiorni" la salutò Taehyung con educazione. "Vorrei vedere Jeon Jungkook"
"Ha un appuntamento?" "
Taehyung corrugò la fronte.

Ma soffre di amnesia questa? Mi ha visto solo una settimana fa!

"Se non le dispiace" rispose con calma. ""Non credo d'aver bisogno di un appuntamento per vedere mio marito."
La giovane donna tacque un attimo.
"Ma state per divorziare!" obiettò.
"Scusi?"
La brunetta non batté ciglio.
"Lei sta per divorziare, non è così?" ripeté. "Perciò lui non è propriamente suo marito." "
Taehyung per un moemento non riuscì a parlare.
"Mi scusi ma come si permette di rivolgersi a me in questo modo?"
"Ma è la verità, no?" "
Taehyung esitò, poi raddrizzò le spalle.

Perche sto perdendo a parlare con te?

"Non sono affari che la riguardano" rispose.
"Io credo di sì." rispose la ragazza rivolgendogli uno sguardo carico di malizia. "Vede... lui e io abbiamo una relazione."
Taehyung scoppiò a ridere.
"Se lo sogna!"
"Siamo amanti da sei mesi."
Per Taehyung quello fu uno di quei momenti in cui sembra che la terra ruotasse in modo vorticoso e lui si trovava nel bel mezzo di un incubo a pregare di sveglairsi al più presto.
Sentendosi vacillare, si aggrappò allo scrittoio.
"Non ti credo" dichiarò.
"Fa male."
La brunetta sbatté le ciglia irrigidite dal mascara ma non riuscì a nascondere l'odio che le incupiva lo sguardo.
"Perché dovrei mentirle? Il giorno in cui lei telefonò da Londra, ricorda? Io ero con lui e gli facevo... quelle cose che gli piacciono tanto. Non glielo ha detto?"
La vista gli si offuscò.
"No" mormorò Taehyung, mettendosi una mano sulla bocca per la paura di vomitare.
"Si. Lei gli chiedeva di concedergli il divorzio e lui non voleva. Immagino si sia accorta che sembrava..." fece una risatina e scelse il perfetto termine inglese. "Distratto?"
Taehyung ebbe voglia piangere, lamentarsi come un animale ferito e lasciato a morire, oppure sbattere i pugni sul ripiano di marmo dello scrittoio, facendolo traballare. Ma la donna la osservava aspettando la sua reazione e l'orgoglio le impose di mantenere il controllo.
Rimangiandosi delle inutili offese, girò sui tacchi e uscì a testa alta dal palazzo, pregando di non andare in pezzi prima di aver raggiunto la strada assolata.
Con le lacrime che gli rigavano la faccia, si mise a correre finché le scarpe che si era messa per fare colpo sull'uomo che dominava ancora i suoi pensieri, lo costrinsero a rallentare.

Come ho fatto ad amare ancora un simile bastardo infedele e senza ncuore?

In quel momento Taehyung si convinse che con ogni probabilità avrebbe dovuto ringraziare quella ragazza maleducata e volgare per avergli aperto gli occhi.
A un certo punto fermò un taxi e si fece portare al suo hotel con l'intenzione di andare via il più presto possibile dall'albergo e da quella città che gli aveva procurato solo dolore e disperazione. L'unica cosa di cui aveva bisogno era il passaporto. I pochi abiti suoi erano ormai avvelenati dai ricordi e non sopportava nemmeno di toccare quelli che Jungkook gli aveva regalato.
Gli ci volle molto coraggio a passare davanti alla portineria senza pagare. Avrebbe voluto dire che a saldare il conto ci avrebbe pensato Jungkook , ma non osò.
Per prima cosa temeva di scoppiare a piangere e secondo... che cosa avrebbe fatto se loro avessero preteso di telefonare ad Jungkook per avere una conferma e lui fosse piombato lì.

Comunque la colpa è soltanto mia! Mi sono illuso! Figurati se mi trattava da essere umano dopo che ho accettato un patto del genere. Taehyung sei proprio un idiota senza cervello!

Il percorso fino all'aeroporto gli sembrò eterno. Temeva che Jungkook gli corresse dietro.
L'addetto alla biglietteria lo avvisò che avrebbe potuto prendere l'aereo per Londra in partenza di lí ad un'ora dopo.
Taehyung fu sollevato da quella notizia ma respirò di sollievo solo quando fu seduto al suo posto ed Atene divenne piccola come un plastico colorato per poi scomparire.
Tuttavia, il sollievo durò pochi secondi e il viaggio non gli recò alcuna gioia. Era contento di partire ma non voleva tornare a casa. Non voleva andare da nessuna parte, salvo nel posto in cui era stata prima di entrare nel palazzo Jeon con l'orgoglio ancora intatto.
Ebbene, si era comportato come uno stupido per l'ultima volta in vita sua.

Ti odio per quello che hai fatto, Jeon , ma odio ancora di più me stesso per avertelo permesso.

Poi, siccome il passeggero seduto vicino si era messo a russare, fece quello che desiderava da ore.
Si mise a piangere.









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