Capitolo 7.

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Io e Xavier avevamo abbandonato il campo di tiro con l'arco e ci eravamo diretti nel suo studio per parlare con un po' più di privacy.
Il ragazzo procedeva davanti a me a passo sostenuto ed il silenzio si era inserito tra di noi come una barriera appuntita.

Mille domande mi frullavano il testa impazzite. Sbattevano l'una contro l'altra aggressive, generando un baccano assurdo tra i miei pensieri.
Entrammo e Xavier si chiuse la porta a chiave dietro di sé.

"Ti ascolto." Gli dissi. Continuava a lanciare sguardi nervosi nella mia direzione, senza guardarmi mai dritto negli occhi.
Si avvicinò ad uno scaffale in legno e si mise a scartabellare l'innumerevole quantità di fogli che era stata impilata in modo disordinato.

Afferrò due disegni e me li piantò davanti.
Su uno, c'era una casa in fiamme. Sull'altro, una figura indistinta era in piedi davanti a quello che sembrava un fienile.
Aveva scritto a penna, in fondo a ciascun foglio, una data.
Sul primo c'era scritto tredici agosto. Sull'altro dodici. 'I giorni degli incidenti' pensai sbigottita.

Mi passò un altro disegno: un cartello color verde acceso con su scritto "Hethersgill" occupava il foglio.
Dietro, si intravedeva solo un enorme prato.
Avevo superato quel cartello miliardi di volte. Annunciava il confine della piccola città da dove provenivo. 28 luglio, diceva la data a pié pagina.
Le parole mi si erano bloccate in gola come un boccone troppo grande da mandar giù.

Continuò a passarmi disegni su disegni, ognuno dei quali rappresentava uno stralcio di una vita che non mi apparteneva più. Riconobbi la cucina in cui passavo ogni pomeriggio a studiare, il giardino in cui avevo imparato ad andare in bicicletta con mio padre e la chiesa in cui mia madre si recava.

Era come se Xavier fosse stato accanto a me per mesi come uno spettatore invisibile, costretto a guardare un programma di cui non conosceva i personaggi.

"I primi sogni che ho avuto erano confusi ed ogni volta che mi svegliavo me ne scordavo. Mi ritrovavo a vagare in una città ignota ed entravo in posti in cui non avevo mai messo piede." Iniziò a spiegarmi.

"Dopo un paio di giorni, iniziai a vederti ogni notte. Non riuscivo a capire chi fossi e perché apparissi in continuazione. Ne ho parlato subito con mio padre." Si fermò, per poi raccogliere i disegni che mi aveva passato.

Da quanto avevo appreso da Iris, il padre di Xavier era uno psichico affermato nel mondo degli outcasts. Tutti lo conoscevano ed aveva pure un suo personale programma televisivo.
Era famoso per avere visioni chiaroveggenti, in cui riusciva a prevedere il futuro o guardare in maniera più chiara il passato.
Quando lo avevo cercato su internet per curiosità, si erano aperte numerose pagine, mostrandomi interviste, riprese e conferenze.

Non avevo trovato nessuna foto con suo figlio e nelle didascalie bibliografiche non si menzionava  neanche che ne avesse uno. Sembrava un uomo austero, asettico e rigido nella propria forma mentis.

"All'inizio trattava la cosa come di poco conto. Diceva che erano solo stupidi sogni privi di significato.
Quando poi ho iniziato a mostrargli i miei primi disegni, ha fatto un paio di ricerche ed ha visto che combaciavano con luoghi reali. 
Solo in quel momento ha incominciato a preoccuparsi." Lo ascoltavo con il fiato sospeso, avida nel recepire più informazioni possibili su quella storia che, frase dopo frase, mi sembrava sempre più assurda.

"Quello che stavo sperimentando ha una definizione precisa nella chiaroveggenza.
Si chiama testimonianza e si manifesta quando una persona in pericolo imminente  si mette in contatto, anche inconsciamente, con un altro individuo, per cercare di salvarsi.
Mio padre già era a conoscenza di questo fenomeno ed ha subito contattato la Weems, per cercare di capire come procedere."

Madness | Xavier Thorpe Where stories live. Discover now