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A Manuel quel ti amo di Simone continua a rimbombare nel cervello, continua a trovare assurdo che qualcuno che non sia sua madre provi addirittura amore per lui.

Per lui, lei è obbligata a volergli bene, le ragazze lo trovano carino ed attraente e tutti gli altri mostrano chiaramente il loro disprezzo.

Ma Simone?

Simone non è costretto a volergli bene, Simone non è stato obbligato ad innamorarsi di lui. Anzi, continua a pensare che forse - tornando indietro - quello che attualmente è il suo ragazzo avrebbe preferito non conoscerlo affatto.

Non riesce a capacitarsi del fatto che qualcuno possa guardarlo e pensare che lui, Manuel Ferro, da sempre il caso perso, sia quanto di più vicino al concetto di amore possa esistere.

È proprio quello a cui pensa mentre prepara i biscotti il 21 Dicembre.

In realtà, è in cucina con sua madre e proprio mentre sta ritagliando dei cerchi di pasta frolla, parla, senza riflettere.

«Simone m'ha detto che mi ama.» dice, pigiando una formina nell'impasto.

Anita sorride. «E tu?»

«E io ero troppo impegnato a sembrare un coglione con la mano scottata.»

Ci guadagna uno schiaffetto dietro la testa Manuel.

«Sono contenta perché ti vedo che sei felice. Con Simone, sei felice. Ma dovresti dirglielo.» dice poi.

«Che cosa scusa?»
«Che anche tu lo ami, no?»

Quella realizzazione colpisce Manuel forse in maniera più sconvolgente di quella che gli ha permesso di comprendere che esiste al mondo qualcuno che tiene a lui perché vuole e non perché deve.

«Io lo amo?» mormora, recuperando la glassa bianca per i biscotti.

«Eh, tu. Oppure non staresti qua a fa' biscotti da venti giorni, non te pare?» gli fa notare sua madre.

«Mh... e forse c'hai ragione.»
«Forse?»

Anita ridacchia, lui è incredibilmente serio mentre ricopre quei cerchi di pasta frolla di bianco.

Dovrebbero essere pupazzi di neve.

«So' spaventato.» ammette.
«Perché?»
«Perché io 'n so' bono, faccio solo casini, faccio soffri' le persone... io me lo ricordo Simone dopo l'incidente. Te forse t'o sei scordato, io no...»

Anita approfitta del fatto che Manuel si sia spostato per recuperare dei cerchietti di cioccolata da usare come occhi dei pupazzi per abbracciarlo forte.

«Io me lo ricordo Manu, mi ricordo pure come stavi tu però. Mi ricordo de come hai fatto l'impossibile per farlo stare bene dopo e soprattutto vedo la luce nei suoi occhi adesso. E poi che ti credi... Dante con me ci parla! Me lo dice che lo vede sempre sorridente finalmente.»

Finisce il discorso con una piccola risata, quasi impercettibile, per alleggerire l'atmosfera.

«Non pensare di non meritare l'amore di Simone, o il mio, perché nessuno c'ha costretti. A te piace tanto la filosofia, gli amici tuoi filosofi l'hanno mai trovata una ragione dietro l'amore?» scherza, lasciandogli alla fine un bacio sulla guancia.

«Ci penserò ma'... grazie però.» ribatte lui, emozionato.

«Però su una cosa c'hai ragione: co' Simone so' felice.» ammette dopo un po', mentre inforna i biscotti.

Il tempo di cottura lo trascorre a riflettere e non sa se sia pronto per dire tutto a Simone, nonostante riconosca le ragioni dietro il discorso della madre.

Una volta recuperati tutti i biscotti, posiziona le scagliette di cioccolato in modo da ottenere gli occhi ed il sorriso del pupazzo di neve e poi disegna, con la glassa arancione, la carota che funge da naso.

È piuttosto soddisfatto anche se non sono perfetti. Non gli resta che attendere che si raffreddino per portarli a Simone.



Giunge a villa Balestra che ormai fuori è buio e resta sorpreso di vedere la luce della camera di Simone spenta.

«Professò perché Simone non c'è?» domanda, appena si ritrova davanti il suo professore di filosofia.

«Buonasera anche a te Manuel!» ribatte l'uomo, facendolo entrare.

«Il tuo fidanzatino sta solo dormendo perché aveva la febbre, non è scappato, non temere.» spiega.

«Ma come la febbre?» esclama Manuel, preoccupato.

«E poi non è divertente!» aggiunge subito.

«La tua espressione lo è, fidati!» replica però l'uomo.

«Seh vabbè, posso anda'? Come sta?»
«Vai, te lo regalo, non fa altro che lamentarsi!»
«Io me lo porto pe' davvero prof!» è l'ultima cosa che urla prima di entrare in camera di Simone, lasciandosi alle spalle un Dante estremamente divertito.

La prima cosa che istintivamente gli viene da dire, non appena vede gli occhi lucidi di Simone nascosto sotto due coperte, lascia sconvolto il minore tanto quanto lui.

«Amore.» mormora infatti, avvicinandosi, piazzandogli le labbra sulla fronte, trovandolo fortunatamente sveglio.

Simone crede sia un delirio dovuto alla febbre. «Che?» biascica.

«Come stai Simò?»
«No, come m'hai chiamato?»

E Manuel non ha molta scelta se non quella di ripetere.

«Amore. Sei tu l'amore mio.» spiega, stendendosi leggermente per abbracciarlo, per quanto possibile.

«Sei anche caldo però, ma l'hai preso qualcosa?» borbotta, preoccupato, senza sapere che Simone non ricorda neppure più di avere la febbre, dopo le sue ultime parole, non potrebbe mai rispondere a quella domanda.

«Simò, oh! Me fai preoccupa'.» lo richiama infatti Manuel.

«S- sì ma no, c- cioè... amore. Tu mi hai chiamato amore.» continua a mormorare, sentendosi anche stupido.

«Daje Simò, poi ne riparliamo, mo' facciamo qualcosa pe' farti state bene.»

L'obiettivo di Manuel non è certamente disquisire sui suoi sentimenti mentre il suo ragazzo sembra in procinto di raggiungere l'ebollizione, tanto è caldo.

«- ti qua.» bofonchia allora Simone, incastrando la testa nel suo collo.

«Non ho capito.»
«Mettiti qua. Vicino a me. Così sto bene.»

Il cuore di Manuel minaccia di sciogliersi e non per l'eccessivo calore emanato dal corpo del ragazzo ormai avvinghiato a lui.

«Hai freddo?» sussurra, dopo un po', sentendolo stringersi maggiormente a lui.

Simone scuote il capo in diniego.

«Ho portato i biscotti, se dopo vuoi. So' pupazzi di neve.» dice allora, con un sorriso nella voce.

«Tu aspetti che mi sveglio?»
«Io aspetto tutto il tempo del mondo per te, Simò.»


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