12.

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Le nostre mani fanno per cercarsi
Senza che a volerlo siamo noi.


Quella mattina il treno si fermò alla stazione di Napoli alle 10.20, permettendo a Simone e Manuel di scendere e godersi quel sole che illuminava la città e che, fino a quel momento, avevano guardato tramite il finestrino uno affianco all'altro.
Il minore strinse la bretella del suo zaino con la mano destra, mentre l'altra la infilò nella tasca del giacchetto seguando Manuel che sembrava essere di casa in auella stazione un po' confusionaria.

Lo osservò guardarsi attorno con gli occhi maliconici di chi stava riscoprendo una vita passata, come se fossero passati anni. Lo affiancò senza mai smettere di guardarlo e Manuel se ne rese conto solo dopo qualche metro, quando spostò gli occhi su di lui per dirgli qualcosa, ma un sorriso divertito precedette qualsiasi parola appena le guance di Simone si fecero rosse.

«ci mettiamo un po' ad arrivare all'istituto» spiegò.

Simone annuì, non aveva alcuna fretta e in ogni caso era la prima volta che metteva piede in quella città, nonostante suo padre ci avesse passato parecchi anni. Si era sempre rifiutato di raggiungerlo, incontrandolo solamente quando tornava a Roma durante i weekend o le vacanze. Mai una volta aveva voluto perdere ore di treno per raggiungerlo lì, ironico pensando che invece alla richiesta di Manuel di accopagnarlo non ci aveva riflettuto su più di un minuto.

Era felice, quindi, di potersi guardare anche un po' intorno mentre di fianco aveva Manuel che sembrava essere tranquillo nonostante da lì fosse scappato.

Si avvicinò ancora un po' a lui, facendo quasi sfiorare le loro braccia che dondolavano lungo i loro fianchi, lasciò a Manuel tutto il tempo di potersi godere quel ritorno in serenità, ascoltando le voci lungo la strada e godendosi il sole che sembrava essere molto più intenso di quello di Roma.
Il maggiore sembrava guidarlo per delle stradine meno popolate e gli venne spontaneo pensare ad una scorciatoia, quando però si fermò davanti ad una palazzina abbastanza anonima si girò verso di lui con la fronte corrucciata.

«questa era casa mia» spiegò, a quel punto anche lui osservò la facciata con alcune finestre aperte e dei panni che stesi che venivano mossi dal vento. «quella finestra là» indicò una finestra al terzo piano con le persiane accostate e Simone, dopo aver guardato lo stesso punto, abbassò la testa per guardare lui con il naso all'insù e un sorriso leggero sul volto. «era na casa piccoletta, dormivo nel letto insieme a mi madre»

Ridacchiò Manuel, come se fosse effettivamente una situazione confortevole per lui, ma se c'era una cosa che Simone aveva imparato era che il maggiore adorava avere i suoi spazi, ergo, quello era stato l'ennesimo sacrificio compiuto da lui e da sua madre.

Mosse piano la mano che già si trovava particolarmente vicina alla sua, ma dopo un movimento leggero riuscì ad agganciare il suo mignolo mordendosi l'interno della guancia. Manuel in un primo momento non sembrò nemmeno accorgersene, quasi come fosse abitudine, quando però sentì quanto fosse fredda la sua mano si affrettò ad interrompere quel contatto per incastrare l'intera mano tra le sue.

«ao ma te stai a congela', me pari morto» Simone abbassò lo sguardo sulla sua mano completamente coperta da quelle di Manuel, più calde delle sue ed anche più piccole.
«d'inverno ho sempre le mani fredde» mormorò, le guance si tinsero di un rosso ben distinto da quello causato dal freddo ma Manuel non sembrò preoccuparsene, piuttosto sfregò la sua mano per riscaldarla per poi infilarla insieme alla propria nella tasca del cappotto e tornare con lo sguardo sul palazzo.
«mo le scaldamo» disse. «certo che n paio de guanti te li potevi mette»
«scusa mamma» rispose divertito Simone, marcando l'ultima parola.

Entrambi sbuffarono una risata divertita davanti a quel palazzo che ora, per Manuel, custodiva l'ennesimo ricordo bello.

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Hygge. | Simuel.Where stories live. Discover now