Figlio di Odino

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Grazie a chi ha già letto questo racconto ai tempi dell'antologia e magari oggi lo rileggerà. Grazie a chi lo vorrà scoprire per la prima volta. Grazie anche alle mie beta bellissime Elco22 e olympia-valentin e MarikaGrosso che ha anche creato la copertina *_*

Buona lettura.

Figlio di Odino.

Höðr sollevò il capo al primo approssimarsi dei visitatori.

Era cieco da quasi dieci anni ormai, ma proprio per questo i suoi sensi si erano fatti più acuti e poteva avvertire anche i rumori più lievi. Figurarsi un baccano come quello.

Il tintinnio delle armi e delle piastre di metallo sulle giubbe di pelle spessa precedeva i guerrieri in marcia lungo il sentiero, e le grida animalesche che li accompagnavano denunciavano la presenza di Bragi.

Dunque era vivo.

Pur sapendo che nel giro di pochi minuti si sarebbe ritrovato ad affrontare la sua furia straripante, Höðr trasse un lungo sospiro di sollievo.

Alla vigilia della battaglia aveva divinato il suo fato, traendo presagi incerti. Dopo ore d'insonnia, aveva percorso il crinale della scogliera e scrutato un orizzonte che non poteva davvero vedere. Con gli occhi spenti puntati sui flutti, in quella maniera che tutti al villaggio ritenevano innaturale, Höðr aveva ascoltato le strida dei gabbiani e affidato preghiere al vento, mentre la prua dei due drekar in partenza iniziava a fendere le onde.

I due giorni successivi si erano trascinati con una lentezza straziante e a nulla era valso dedicarsi al lavoro, o recarsi a raccogliere erbe.

Le rune avevano continuato a non dargli risposte certe e il mare a giacere immobile ai piedi delle alte pareti di roccia, come se non volesse più restituire le lunghe navi che gli erano state affidate, con il loro carico di uomini.

Höðr si era confortato dicendosi che se Bragi fosse morto, anche senza l'aiuto della divinazione, lui l'avrebbe saputo. Ne era certo. Lo avrebbe sentito in fondo al cuore con la medesima nitidezza con cui a volte vedeva pur essendo cieco.

Lui e Bragi si appartenevano, sebbene il guerriero non lo avesse mai ammesso.

Höðr avrebbe dovuto andargli incontro, invece rimase seduto accanto al fuoco. Doveva fare tesoro del sollievo che stava provando e degli ultimi istanti di pace. Presto gli sarebbe servito tutto il suo coraggio.

Il frastuono si stava avvicinando. Il tono delle voci si fece più alto, i ringhi e le urla anche. Sembrava che gli uomini stessero trascinando un orso infuriato.

Quando superarono la pesante tenda di pelli che chiudeva l'accesso, la grotta in cui Höðr viveva rimbombò di quei suoni aspri e minacciosi.

Lui si voltò e dinnanzi ai suoi occhi si formò, per qualche momento, un'immagine vivida: sei robusti giovani del villaggio che trascinavano una montagna umana in catene.

Le sue visioni erano qualcosa che nessuno era mai riuscito a spiegarsi, se non con un prodigio. Dopo l'incidente che lo aveva reso cieco, Höðr era rimasto a lungo convinto di possedere ancora la vista. Perciò nessuno si era accorto del danno, almeno al principio.

Quando poi gli avevano fatto notare, compatendolo, la sua disgrazia lui aveva continuato a insistere che dovevano essere pazzi.

Era andato avanti così per settimane, finché un giorno Bragi l'aveva scosso e aveva gridato in un tono minaccioso: «Smettila! Sei cieco, ed è solo colpa mia. Se stai facendo così per vendicarti, ti prego, basta, non riesco a tollerarlo. Domandami di ripagarti col sangue, ma smettila con questa bugia.»

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